Le dittature islamiche preparano l’assalto alle libertà occidentali
di Mark Dubowitz
La scorsa settimana, Ekmeleddin Ihsanoglu – segretario generale dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC) – in un incontro a Kuala Lumpur ha avvertito i 57 membri che “biasimare o meramente dissociarsi dagli atti di coloro che perpetrano l’islamofobia” non è più abbastanza.
Ha raccomandato ai paesi occidentali l’importanza di limitare la libertà di espressione, e ha richiesto che i media cessino immediatamente di pubblicare “materiale odioso” come le vignette danesi. “È ora che azioni concrete estirpino il problema alla radice, prima che si aggravi ulteriormente”, ha concluso Ihsanoglu.
I paesi islamici hanno già conseguito una vittoria importante su questo fronte lo scorso marzo: hanno ottenuto che il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite emanasse un divieto universale contro la diffamazione pubblica della religione – ovvero dell’islam.
Questi sono solo alcuni esempi della campagna che sempre più si impegna ad utilizzare il potere giudiziario per mettere a tacere coloro che criticano l’islam militante. Nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite per la Revisione degli accordi di Durban, in programma a Ginevra dal 20 al 24 aprile 2009, l’OIC ed i suoi adepti avranno modo di promuovere ancora più radicalmente i loro progetti.
Torniamo tuttavia al primo incontro di Durban, la Conferenza Mondiale del 2001 contro il Razzismo, che si svolse solo pochi giorni prima dell’11 settembre. L’appuntamento scivolò rapidamente in un festival dell’odio verso gli ebrei, l’America e Israele. Disgustate dalla retorica vile e dalle immagini caricaturali del popolo ebraico presentate, degne di un novello Stürmer, le delegazioni degli Stati Uniti e Israele abbandonarono l’evento.
Le speranze che la conferenza Durban numero due il prossimo anno si riveli un evento più illuminato sono già state cancellate, visto che sono stati alcuni tra i peggiori criminali contro i diritti umani a deciderne il programma. In seguito alle richieste incessanti dell’OIC, la Libia si è assicurata la presidenza della commissione preparatoria, sia l’Iran che il Pakistan parteciperanno a tale commissione e l’Egitto, un altro membro dell’OIC, rappresenterà il gruppo dei 53 Stati africani durante i dibattiti.
Dunque, invece che purificarsi dai peccati commessi, quest’ultimo forum delle Nazioni Unite tenterà di minare le fondamenta delle società libere invocando lo spettro dell’islamofobia.
L’OIC rappresenta in ogni caso il blocco di voti più saldo e potente: come le democrazie delle Nazioni Unite hanno ripetutamente avuto modo di realizzare, l’OIC – che con i suoi 57 membri controlla il gruppo delle 130 nazioni in via di sviluppo – può nella maggior parte dei casi promuovere i propri obiettivi senza grosse difficoltà.
Quello che molto probabilmente accadrà durante il nuovo incontro sarà che su tutti gli Stati dell’ONU verranno fatte pressioni per l’approvazione di leggi restrittive della libertà di parola e di azione nell’interesse della lotta all’”islamofobia”. Certamente la discriminazione e la diffamazione dei mussulmani, così come di ogni altro gruppo, è chiaramente da condannare.
Ma l’”islamofobia”, come definita da Libia, Iran e dagli altri organizzatori di Durban numero due, include qualsiasi forma di critica all’islam, ai mussulmani e alle loro azioni. Se i capi di queste nazioni avranno la meglio, gli articoli che criticano l’islam radicale, che condannano i terroristi mussulmani o – ovviamente – la pubblicazione di vignette sul profeta Maometto, verranno presto considerati esempi criminali di razzismo.
Nel corso dei più recenti incontri preparatori in aprile e maggio, tutti i membri dell’OIC – dall’Iran all’Indonesia – hanno ribadito che l’islamofobia è una conseguenza della libertà di espressione. “Il fenomeno più preoccupante è la convalida intellettuale e ideologica dell’islamofobia”, ha affermato il rappresentante pachistano alle Nazioni Unite, Marghoob Saleem Butt, per conto dell’OIC. “Nonostante si manifesti attraverso la diffamazione della religione, si maschera altresì dietro la libertà di espressione e di opinione”.
Dando voce alle richieste del blocco mussulmano e dei suoi molti leader autoritari, Butt ha richiesto che i colloqui di Durban “diano origine a standard normativi in grado di fornire garanzie adeguate” contro l’intolleranza verso i mussulmani, incoraggiata proprio dalle libertà di parola e di opinione.
I difensori dei diritti umani hanno espresso serie preoccupazioni per queste recenti minacce alle libertà civili, ma senza successo. Tra tutti, Juliette De Rivero – direttore del Human Rights Watch di Ginevra, ha lanciato un segnale d’allarme già lo scorso aprile. “Le preoccupazioni legittime per la relazione tra intolleranza razziale e religiosa e l’odio non dovrebbero costituire il pretesto per mettere in discussione libertà fondamentali come la libertà di parola”, ha dichiarato davanti agli organizzatori della conferenza di Ginevra.
Il pericolo fondamentale di Durban è che la conferenza inneschi il tentativo di cambiare le leggi internazionali e nazionali. Se l’OIC avrà successo, una definizione molto generica di “islamofobia” verrà inclusa nel documento finale di Durban. Dopodiché gli organi delle Nazioni Unite, tra i quali la Commissione per l’Abolizione della Discriminazione Razziale, presumibilmente chiederanno ai singoli paesi di applicare tali direttive. Altri organismi del sistema internazionale adotteranno e faranno riferimento alla definizione di “islamofobia”, finché le conseguenze non tarderanno a manifestarsi all’interno del sistema stesso.
Le linee guida di Durban II non si limiteranno infatti a deformare gli standard internazionali di quanto costituisce ”islamofobia”; l’OIC in realtà mira a riversare il proprio linguaggio negli ordinamenti nazionali di ogni singolo paese. Difatti, il primo punto nella bozza del programma degli obiettivi finali della conferenza si prefigge di fare in modo che i paesi “siano tenuti ad approvare legislazioni adeguate in linea con gli standard internazionali”. La stessa bozza identifica la libertà di espressione come “una sfida e un ostacolo sostanziale” nella lotta alle forme odierne di razzismo.
A questo punto, solo l’Unione Europea può fermare questo processo insidioso. Il Canada ha già annunciato che boicotterà la conferenza, e anche gli Stati Uniti hanno dichiarato che non parteciperanno a Durban numero due se si preannuncia un altro fallimento. Tuttavia solo la minaccia dell’assenza dell’Europa darebbe credibilità alle pressioni occidentali, negando ai partigiani dell’”islamofobia” l’imprimatur che tanto agognano. Il mese prossimo, la Francia inizierà la propria presidenza del Consiglio Europeo.
Parigi sarà dunque chiamata a condurre la battaglia per le libertà dell’Occidente, e per una volta l’Iran, la Libia e gli altri Stati autoritari saranno sulla difensiva. Speriamo che il Presidente francese Nicolas Sarkozy sia consapevole della posta in gioco.
(A.C. Valdera)