di Magdi Allam
Possiamo tirare un respiro di sollievo per l’arresto di una ventina di burattini del terrorismo islamico globalizzato. Ma dobbiamo essere consapevoli che la guerra, perché di guerra di natura aggressiva si tratta, potrà essere vinta solo se riusciremo a mettere fuori gioco i burattinai che hanno trasformato anche l’Occidente, Italia compresa, in una fabbrica di kamikaze.
Ma il primo interrogativo che ci poniamo è il seguente: com’è possibile che in Europa sia diventato facile reperire, non solo tra gli immigrati ma perfino tra gli autoctoni, persone cresciute in seno a una civiltà che crede nella sacralità della vita, disposte a trasformarsi in bombe umane che negano del tutto il valore della vita propria e altrui? Da qui scaturisce il quesito cruciale: posto che kamikaze si diventa e non si nasce, come e dove si attua il lavaggio di cervello, chi e perché è dedito a questa attività criminale perpetrata nel nome di una interpretazione violenta dell’islam?
Dalle informazioni diffuse apprendiamo che i quartier generali della cellula erano due appartamenti a Cologno Monzese e a Reggio Emilia, che i terroristi «milanesi» frequentavano la moschea di via Padova gestita dall’Ucoii e che il referente internazionale della cellula era la Siria, che si conferma come uno dei grandi burattinai del terrorismo internazionale di matrice sia laico-panarabista sia islamica.
La cellula aveva ramificazioni in Francia, Gran Bretagna, Belgio e Svizzera. Tranne quest’ultimo, gli altri Paesi europei risultano tra le principali basi di indottrinamento e di reclutamento di aspiranti kamikaze islamici. Secondo un recente studio del professor Mohammed Afez dell’Università del Missouri dal titolo «Suicide bombers in Iraq» (United States Institute of Peace Press), dal 2003 al 2006 nel Paese mediorientale si sono fatti esplodere circa 150 cittadini britannici, una cinquantina di cittadini francesi e otto immigrati maghrebini residenti in Italia, tutti arruolati da Al Qaeda.
La certezza si deve al fatto che di questi oltre 200 terroristi suicidi europei sono stati rinvenuti tutti i dati nei computer all’interno di una base di Al Qaeda in Iraq sgominata dagli americani l’11 settembre 2006, con la schedatura comprensiva di foto e liberatoria firmata di oltre 500 aspiranti kamikaze.
Ci rendiamo conto che cosa significa oltre 200 terroristi suicidi con cittadinanza europea che si sono fatti esplodere in Iraq? Quand’è che capiremo che la «radice del male» è endogena, che dobbiamo occuparci seriamente di riscattare alla civiltà della vita l’Europa prima di preoccuparci dell’ideologia della morte che ha avvelenato il mondo islamico? Indubbiamente la Gran Bretagna è la roccaforte dell’estremismo e del terrorismo islamico in Occidente.
Secondo Jonathan Evans, il nuovo capo dell’MI5, i servizi segreti britannici hanno la certezza di «almeno 2 mila» terroristi islamici affiliati ad Al Qaeda presenti sul territorio nazionale, ma ha aggiunto che potrebbero essere il doppio, cioè quattromila. E ha sottolineato una novità sconcertante: «I terroristi stanno metodicamente puntando sui giovani e sui bambini di questo Paese.
Stanno radicalizzando, indottrinando e istruendo individui vulnerabili a perpetrare atti terroristici. Quest’anno abbiamo viste coinvolte persone di 15 e 16 anni». Certamente, per nostra fortuna, in Italia Al Qaeda non ha così tanti proseliti come in Gran Bretagna. Ma la struttura della «fabbrica dei kamikaze» è identica. Esi riassume nel lavaggio di cervello praticato tramite la predicazione d’odio e l’indottrinamento ideologico che avviene nelle moschee, nelle centrali del terrore mimetizzate e i siti Internet islamici.
In Gran Bretagna hanno atteso che si manifestasse la punta dell’iceberg, gli attentati terroristici suicidi del 7 luglio 2005, prima di decidersi a sferrare una guerra all’iceberg, alla struttura integrata e globalizzata del terrorismo islamico. Che si è tradotta nella «bonifica» delle moschee più radicali, l’espulsione o l’arresto di decine di predicatori d’odio, l’adozione di leggi antiterrorismo sempre più severe.
L’auspicio è che in Italia ci si occupi da subito di fronteggiare la realtà della fabbrica dei kamikaze nostrana, senza continuare a scommettere, in parte, sui risultati apprezzabili delle nostre forze di sicurezza ma, in gran parte, sulla nostra buona sorte.
(A.C. Valdera)