La Croce quotidiano 16 marzo 2016
Era il 17 marzo del 1991 quando nell’ospedale di Montecarlo moriva il politico e più volte ministro democristiano. Domani ricorre dunque il venticinquesimo anniversario di un attore insolito di quella strana stagione già allora al tramonto: Donat-Cattin si era infatti opposto strenuamente al “compromesso storico” col Pci e chiese di onorare con sepoltura le vittime della 19
di Giuseppe Brienza
«L’apporto di Donat-Cattin alla modernizzazione del nostro Paese è stato profondo, duraturo, originale. Come sindacalista prima e come parlamentare e Ministro poi, è stato uno dei più autorevoli interpreti del cattolicesimo democratico italiano e ha dedicato gran parte del suo impegno al tema del lavoro come elemento fondante della dignità dell’uomo e di una comunità nazionale». Lo ha detto giovedì scorso il presidente del Senato Pietro Grasso in occasione del suo intervento al convegno “Carlo Donat-Cattin uomo di Stato e leader Dc a venticinque anni dalla sua scomparsa”, tenutosi nella Sala Koch di Palazzo Madama ed al quale ha partecipato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Anche noi, oggi, rievochiamo, nell’anniversario della sua morte, la memoria di uno dei politici più integri della storia democratico-cristiana, Carlo Donat-Cattin (1919-1991), leader per quasi trent’anni di “Forze Nuove”, la corrente della sinistra sociale DC. Sotto la sua guida, questo gruppo di democristiani non subì (o quasi) quell’egemonia marxista che infettò invece molti nel partito, non la maggior parte dei “quadri” o degli elettori, comunque. Donat-Cattin, del resto, aveva “preparato” la carriera politica con un’esperienza sindacale lunga e solida, al fianco di maestri come Giulio Pastore e Giuseppe Rapelli, quest’ultimo tra i fondatori del sindacato tessile italiano.
Il 17 marzo 1991, quindi, morì nell’ospedale di Montecarlo un militante che, quasi “in solitaria” rispetto ai vertici nazionali DC, si oppose al “compromesso storico” col Pci e, da ministro della salute, ebbe il merito di attutire almeno i danni di quella orribile legge 194/1978 sull’aborto, firmata da tre democristiani allora al Governo (cioè dal Presidente della Repubblica Leone, dal Presidente del Consiglio Andreotti e dal Ministro della salute Anselmi), chiedendo di onorarne le vittime, con la sepoltura dei feti abortiti
La “Fondazione Donat-Cattin”, ancora oggi attiva a Torino, città nella quale il politico visse buona parte della sua vita, ne ricorda ancora l’impegno e la coerenza ai valori della Dottrina sociale della Chiesa, oltre che alle ragioni dei lavoratori e dei ceti popolari. Sabato prossimo, 19 marzo, ha anche organizzato un ulteriore convegno nel “suo” Piemonte (era però nativo della provincia di Savona), intitolato “Carlo Donat-Cattin uomo di stato e leader DC a venticinque anni dalla scomparsa” (ore 9:45 – presso l’Auditorium della Città metropolitana di Torino, Corso Inghilterra 7). Ad aprire i lavori sarà il sindaco di Torino Piero Fassino e, fra gli altri interventi, è previsto quello del segretario generale della CISL Anna Maria Furlan.
Carlo Donat-Cattin, come molti dei suoi amici, si trovò a combattere nella stagione trionfante di quei democristiani «capaci, capacissimi, capaci di tutto», come era solito dire, che caratterizzò gli anni Ottanta, a dominanza demitiana dentro e fuori il partito. Al momento della morte, ha scritto un uomo politico che gli fu sempre vicino, il leader «ci lasciò per colpa di quel suo cuore matto, che era stato ferito mortalmente dalle ultime vicende del figlio Marco implicato con il gruppo di “Prima Linea” al tempo delle BR» (Ettore Bonalberti, In memoria di Carlo Donat-Cattin, in “Formiche.net”, 7 marzo 2016).
Tutta Milano partecipò, il 29 gennaio del 1979, ai funerali del giudice Emilio Alessandrini (1942-1979), ucciso a bruciapelo dal commando di Prima Linea composto da Sergio Segio e, appunto, da Marco Donat-Cattin. Quest’ultimo, secondo membro del “gruppo di fuoco”, ricevette una condanna a soli otto anni di reclusione in quanto “dissociato” e, in seguito, gli fu persino riconosciuta la libertà provvisoria. La grave tragedia familiare, Carlo Donat-Cattin, fu costretto a pagarla anche politicamente, con le dimissioni da vice segretario della Dc che rassegnò non appena seppe dall’allora presidente del Consiglio Francesco Cossiga che il figlio Marco era un terrorista rosso, latitante in Francia dopo avere partecipato all’assassinio del giudice Alessandrini.
Il profondo dolore per un figlio caduto nella spirale del terrorismo, portò Donat-Cattin a combattere sempre contro ogni ipotesi di “compromesso storico” col Pci, andando persino in urto con il suo punto di riferimento Aldo Moro. A differenza di Moro, infatti, egli aveva pienamente compreso che le Br, le formazioni affini, e tutta quell’ideologia comunista di morte, erano figlie del “brodo di cultura” dell’ideologia, della politica e dell’ambiente umano del Pci.
Nel 1978, per cercare di scongiurare in extremis l’ingresso nel governo Andreotti di questo partito, rilasciò una famosa intervista al quotidiano La Repubblica minacciando catastrofi e sciagure per quell’eventualità politica. Anche in questi giorni è stata rievocata la sua «[…] solitaria lotta con Aldo Moro nel tempo del doroteismo trionfante, sino alla battaglia contro l’ingresso del Pci al governo (straordinario, fu il suo intervento all’assemblea dei parlamentari Dc in cui, solo alla fine, obtorto collo, come sempre fedele alle indicazioni strategiche di Aldo Moro, dovette soccombere alla prevalente realistica decisione dei gruppi)» (art. cit.).
Pochi anni prima di morire, l’abbiamo accennato, Donat Cattin da ministro della salute cercò di fare il possibile per porre un qualche rimedio a quel vero e proprio flagello che la Dc ha consentito in Italia, cioè l’aborto legalizzato e commesso dallo Stato a spese di tutti i contribuenti. Negli anni Ottanta ha promosso dapprima la collaborazione del ministero con l’Istituto superiore di sanità (Iss), cercando di elaborare strategie di prevenzione dell’aborto a partire dalla riqualificazione dell’attività dei consultori familiari nella promozione della salute della donna e dell’età evolutiva.
Le proposte dell’Iss in proposito furono quindi assunte dal Comitato operativo materno-infantile istituito nel 1987 da Carlo Donat-Cattin, al quale fu chiamato come presidente Elio Guzzanti. A conclusione dei lavori di questo Comitato, il Ministero della salute stanziò 25 miliardi per la riqualificazione e potenziamento della rete consultoriale nelle Regioni del Sud, dove risultava particolarmente carente, conseguendo non pochi risultati nella riduzione delle c.d. interruzioni di gravidanza.
Da ministro poi cercò d’imporre il seppellimento dei feti abortiti perché, scrisse nell’apposita circolare che emanò nel 1988 per evitare lo scempio delle “pattumiere” ospedaliere, «lo smaltimento attraverso la linea dei rifiuti speciali urta contro i principi dell’etica comune».
La possibilità di seppellire i bambini non nati, siano essi vittime di aborto spontaneo o della c.d. interruzione volontaria di gravidanza introdotta dalla legge 194, sebbene prevista dall’ordinamento italiano, è pressoché ignorata tanto dai cittadini quanto dalle strutture sanitarie pubbliche. «Più spesso i feti abortiti vengono destinati ai rifiuti speciali, finendo inceneriti o, addirittura, utilizzati come combustibili» (Luca Marcolivio, Seppellimento dei feti: un obbligo informare i genitori, in agenzia “Zenit”, 12 febbraio 2015). Ciò avviene in particolare per i feti abortiti prima della ventesima settimana dal concepimento, «i quali non essendo mai oggetto di richiesta di inumazione, dopo ventiquattro ore dall’espulsione divengono automaticamente “proprietà” della struttura sanitaria e finiscono trattati come “rifiuto ospedaliero”» (L. Marcolivio, art. cit.).
La normativa introdotta (senza grandi risultati, purtroppo, almeno finora) da Donat-Cattin nel 1988, era diretta ad onorare almeno i concepiti abortiti nel loro corpicino dilaniato e, nel 2014, è stata persino confermata da una sentenza della Corte europea di Strasburgo, che ha riconosciuto il diritto alla vita, all’onore e alla dignità al concepito, condannando un ospedale croato per aver smaltito un feto come rifiuto ospedaliero speciale, senza il consenso dei genitori.
Carlo Donat-Cattin, come l’ha definito un suo grande allievo, recentemente scomparso, il grande storico Sandro Fontana (1936-2013), è stato innanzitutto un «politico anticonformista» [cfr. Nicola Guiso (a cura di), Carlo Donat-Cattin. L’anticonformista della sinistra italiana, Marsilio editore, Padova 1999]. In tempo di renzismo e di personalismi politici, ci manca di lui la «permanente lucidità e lungimiranza, grazie ad un metodo di lavoro politico che resterà nella storia della DC, quale esempio, quasi solitario, di una partecipazione democratica e di elaborazione teorica e di organizzazione politica di grande spessore» (E. Bonalberti, art. cit.).