pubblicato su Avvenire del 16 marzo 2004
INCHIESTA/11 Assurdi sospetti di spionaggio e perfino cause private dietro gli omicidi politici dei preti nelle Marche
di Roberto Beretta
L’attuale successore, don Piero Brisigotti, se ne vergogna tuttora: «Quando i presunti responsabili sono stati presi e ci fu il processo (non per l’omicidio del sacerdote, bensì per quello di un’altra persona), nessuno – né i parenti e nemmeno la Chiesa – ritennero di costituirsi parte civile. Anche perché si diceva che la causa del delitto era stata una relazione illecita (scusa che spesso torna nell’assassinio dei preti in quel periodo, ndr.)».
Insomma, «nessuno ha preso le difese di quel povero sacerdote. Fu una cosa molto grave. E pensare che durante la guerra la sua canonica era piena di armi dei partigiani nascoste…». Perché, quale fu la causa dell’uccisione del cinquantenne don Augusto? Durante una festa il sacerdote aveva fatto un discorso anticomunista e un tale gli promise: «Te la farò pagare!». Mantenne il voto.
Anzi, riuscì addirittura a infondere un senso di colpa nei cattolici ed a seminare tanto terrore che la chiesa di Pereto rimase senza parroco residente fino al 1952. E don Nicola Polidori, morto – forse – per l’erba brucata da un cavallo? Già: era parroco a Sefro (Mc), il settantaseienne sacerdote, quando la voce comune lo designò come «spia». Così la sera del 9 giugno 1944 tre individui con un asino carico si presentarono alla sua porta chiedendo ospitalità per dormire; sembravano viandanti, erano partigiani: quella notte stessa presero don Nicola e lo ammazzarono dopo averlo trascinato sul luogo in cui i tedeschi poco prima avevano fucilato un quindicenne (accusato a sua volta di aver ucciso tre nazisti).
Ma l’interessante è scoprire su quali basi si era stabilito che il sacerdote fosse un delatore: «Di sicuro don Nicola doveva aver criticato i partigiani – spiega il sindaco di Sefro, Secondo Biordi -. Inoltre il suo cavallo sconfinava spesso sul prato della madre di quel ragazzo, la quale se ne arrabbiava molto…». Vuoi vedere che, da un semplice dissapore di vicinato, si arrivò a un’accusa addirittura mortale? Innocente morì del resto don Gildo Vian, friulano di simpatie mussoliniane, sacerdote a Bastia (An): anche lui era circondato da un sospetto di tradimento e delazione, dal momento che spesso si recava in bicicletta a Fabriano, allora sotto controllo fascista.
La “prova” dello spionaggio, secondo i comunisti, venne quando – durante un assalto al campo partigiano – i soldati tedeschi non seguirono la strada (che era stata minata) bensì un sentiero parallelo… Bastò perché anche don Gildo, che nutriva piuttosto interessi liturgici per la pittura e la devozione popolare, come primo atto non appena Fabriano venne liberata il 14 luglio 1944, fosse «prelevato» e sottoposto a giustizia sommaria lungo la strada.
Solo tre giorni prima la medesima sorte era toccata al confratello don Nazzareno Pettinelli, priore nella parrocchia di Santa Lucia a Ostra presso Senigallia (An); un «pretino» dinamico fucilato insieme ad altri tre civili sul luogo dove erano stati uccisi mesi prima tre partigiani. L’accusa? Forse di essere una «spia»; forse, più banalmente, di aver affermato in altri tempi che il suo cuore era «nero» come la tonaca che portava…
Di fatto, nell’imminenza dell’arrivo degli Alleati a Senigallia, alcuni partigiani (pare anche uno slavo tra essi) decisero di farsi la loro giustizia prima che altri glielo impedissero; così portarono via il prete di notte, scalzo, insieme all’ex segretario del Fascio, a una vedova e una giovane camicia nera. Quest’ultimo fu trovato la mattina dopo ancora vivo e portato all’ospedale; ma i partigiani andarono anche là, lo ripresero con un pretesto e finirono l’opera.
Per don Nazzareno, tuttavia, se non la giustizia (il processo agli assassini non venne mai celebrato) almeno la memoria non è mancata: a 10 anni dalla morte, soprattutto grazie al coraggio del successore, fu indetta una sottoscrizione per il monumento funebre e venne celebrata dal vescovo quella messa che ai funerali era mancata (le esequie erano state clandestine, la bara portata su una carretta e deposta in una fossa comune).
E per il prossimo 11 luglio l’attuale arciprete monsignor Umberto Gasparini ha già indetto le commemorazioni del 60°.