L’intraprendente, lunedì 4 aprile 2016
di Marco Respinti
Una mela al giorno leva il medico di torno, eppure c’è chi ricorda che con una mela Biancaneve ci si è strozzata, a momenti Guglielmo Tell ci ammazzava il figlio, Eva ha messo tutti nella palta e Steve Jobs ci ha massificati. Scherzo, è un pesce di aprile. Riavvolgiamo il nastro, allora, e torniamo all’April’s Fools Day del 1976 in quel di Cupertino, città dal nome cattolico (san Giovanni da Copertino, il patrono degli studenti) e mecca della Silicon Valley. Fu qui che 40 anni fa tondi tondi venne fondata la Apple, l’azienda oggi leader in ogni anfratto dell’informatica.
Tutto era nato pochi mesi prima in un garage dal genio di un hacker, Steve Wozniak. Se quel mattino imprecisato la serranda di quell’autorimessa non si fosse alzata, Wozniak, che veniva dalla HP, non avrebbe reincontrato il suo vecchio amico Steve Jobs e assieme a Ronald Wayne (entrambi venivano dalla Atari) non avrebbe dato vita a quella straordinaria avventura imprenditoriale che, inutile negarlo, ha cambiato la vita a tutti. Sì, magari siete come me degl’incalliti (chissà perché) utilizzatori monomaniacali dei sistemi Windows (meno costosi ma più fragili), e preferite il sistema aperto e libero Android a quello chiuso e costringente IOS, ma saremmo tutti lingue biforcute se non ci scappellassimo davanti alla duttilità e alla bellezza, all’intuitività e alla robustezza, alla funzionalità e al fascino del mondo Mac.
Eppoi il dualismo Apple vs. Microsoft è un inno permanente alle virtù della concorrenza. Ritornate con il pensiero agli anni 1990, ripensate a quanto spazio occupava un pc, a quanto costavano quelle enormi macchine dalle capacità inferiori centinaia di volte allo smartphone comperato con i punti del supermercato che tenete in tasca e diciamoci tutti apertamente, fan di Apple oppure no, se non è stato un toccasana il coraggio con cui quell’azienda minimalista nata in uno scantinato della West Coast ha sfidato il colosso monopolizzatore IBM su cui riposavano gli allori della Microsoft.
Perché la Apple questo è: una eccezionale storia di libertà, intrapresa e capitalismo. Non ho finito. Una storia così possibile solo là dove questo tipo di straordinario è ordinario, gli Stati Uniti d’America.
La Apple è la storia di Davide che vince Golia. Della rivolta di Atlante. La risposta alla domanda «Who is John Galt?». La confutazione della partecipazione statale. Il sogno americano dell’irregolare di frontiera (Wozniak, l’hacker) che diventa lo sceriffo, Jesse James che diventa Wyatt Earp, Zorro che diventa l’alcalde. Insomma il mercato che si regola da sé, l’anarchismo che diventa ordine, l’individuo che diventa società.
Prendiamo il caso ultimo, la Apple contro l’FBI: la seconda che chiede come sbloccare il telefonino del terrorista e la prima che si rifiuta. Entrambi invocano ragioni di sicurezza (capire i meccanismi del terrore dice l’FBI, difendere gli utenti da invasioni aliene dice la Apple), entrambi invocano la privacy (quella violata dice l’FBI, quella violabile dice la Apple). Hanno ragione tutti e due. Chi vince? Tutti e due. La Apple non cede di un millimetro, l’FBI trova il modo di fare da sé ottenendo il risultato senza stuprare l’integrità aziendale e morale della Apple.
C’era un volta e c’è ancora in America, Dio benedica l’America dove il contenzioso Apple-FBI è John Wayne, Charlton Heston, Clint Eastwood o Chuck Norris, cioè conciliazione tra libertà e ordine.
La Apple è stata possibile solo negli Stati Uniti perché solo negli Stati Uniti Pollicino fa un culo così all’orco cattivo. Altrove firmano l’intesa, si siedono al tavolo dei sindacati, concertano, governicchiano, articolodiciotteggiano, esodano, jobsactano, prendono le sovvenzioni e comunque si lamentano.
Il primissimo logo dell’Apple era Isaac Newton seduto sotto il famoso melo della sua tenuta di Woolsthorpe che, leggenda metropolitana vuole, gli abbia fatto intuire la legge della gravità. Ma a spargere questa voce è stato Voltaire, per cui c’è poco da fidarsi. Resta immacolato invece il senso allegorico dell’aneddoto. Inventare significa, come insegna il latino, scoprire. Pollicino si addentra in un mondo più grande di lui, spaventoso e al contempo maliardo, e lo vince contro ogni speranza perché sa mettere a frutto, in questo caso una mela, quel che gli capita a tiro. Se la realtà non lo precedesse, l’uomo sarebbe un paralitico; siccome la realtà è lì per essere dominata, l’uomo ne è il signore. Non è necessario sdilinquirsi per lo Steve Jobs guru, vero o presunto, per lodare in lui la sublime capacità umana di risolvere problemi apparentemente enormi.
A tutti quelli che si struggono per gli esperimenti in cui lo scimpanzé s’industria a impilare cassette di legno per raggiungere la banana pencolante fuori tiro dal soffitto ricordo sempre che la superiorità inarrivabile dell’uomo è che l’uomo la banana oltre a raggiungerla per mangiarla se la condisce pure a tocchetti con zucchero e limone. Nel talento dell’avventura Apple salutiamo oggi la straordinaria impresa dell’essere uomo. Libero. Unico. Fatto di poco inferiore agli angeli.