Ag Zenit (Zenit.org) 12 aprile 2016
Alzata di scudi di note aziende contro la North Carolina, che vuole mantenere i bagni pubblici separati in base al sesso biologico. Ma l’atteggiamento cambia quando si fanno affari all’estero
Federico Cenci
Pecunia non olet, dicevano i latini. Il denaro non ha odore, nemmeno quando è sporco di sangue innocente. Sono ancora disseminati sulla terra della North Carolina, negli Stati Uniti, i brandelli delle vesti stracciate dei dirigenti di alcune tra le più importanti multinazionali mondiali.
Lo scandalo suscitato in certi neofiti difensori dei diritti civili è stata una legge di questo Stato, che proibisce alle persone di usare i bagni riservati al sesso opposto al proprio registrato sul certificato di nascita. Ergo, un uomo non può accedere al bagno delle donne sebbene costui “si senta” una donna. E viceversa. Un impedimento che sarebbe apparso ovvio e di buon senso fino a qualche tempo fa, ma tant’è.
Così si è alzato un polverone mediatico, che ha coinvolto diversi personaggi pubblici e alcune grandi aziende, tutti insieme a puntare l’indice verso la North Carolina. Pay Pal, ad esempio, ha deciso di cancellare l’apertura di una sua sede in questo Stato. Una scelta che – stando a quanto annunciato dalla stessa azienda – costa la rinuncia a un investimento da 3,6milioni di euro e la creazione di oltre 400 posti di lavoro.
Sulla stessa linea di Pay Pal, si sono schierate anche delle note industrie di hi-tech, quali Facebook, Google ed Apple. Quest’ultima ha persino pubblicato un comunicato nel quale si stigmatizza la decisione del Governatore della North Carolina di aver firmato la legge in questione. “La nostra azienda e gli Apple Store – si vanta l’azienda – sono aperti a chiunque, indipendentemente da dove arrivano, da come appaiono, dalla loro religione o da chi amano”. E poi ancora, ecco la reprimenda moralista: “Il nostro futuro come americani dovrebbe essere incentrato sull’inclusione e la prosperità, non sulla discriminazione e la divisione”.
Peccato che i vertici del marchio con la mela morsicata, così come i vertici di Pay Pal, non si pongano tanti paletti etici quando fanno investimenti in Paesi che non sono propriamente “aperti a chiunque”.
A far notare la trave nel loro occhio a questi puritani gay-friendly ci ha pensato il Washington Times. Il giornale ha reso noto, infatti, che Pay Pal ha aperto un centro di operazioni globali in Malesia. Un Paese – si sottolinea – che nel proprio codice penale prevede punizioni severe nei confronti di chiunque abbia una “condotta omosessuale”. Si va dalle 20 frustate alla detenzione fino a 20 anni.
John McCabe, vicepresidente senior per le operazioni globali di Pay Pal, dichiarò quando fu aperto il centro in Malesia, nel 2013, che avrebbe dato lavoro a 500 persone e che la scelta di puntare sul Paese asiatico fu dettata dalla forza lavoro altamente qualificata, competitiva e poliglotta, nonché da un’infrastruttura tecnologica.
“Ma né Pay Pal né la Malesia sono casi isolati”, fa notare il Washington Times. Molte delle aziende che hanno minacciato di tagliare i ponti con la North Carolina, si prodigano per costruire canali commerciali con Paesi guidati da regimi estremamente repressivi nei confronti delle persone omosessuali.
La sede internazionale di Pay Pal si trova a Singapore, dove i rapporti tra persone dello stesso sesso sono puniti con due anni di carcere. L’azienda ha poi un centro di sviluppo software a Chennai, in India, dove senz’altro ci sono tanti informatici preparati, ma dove al tempo stesso esiste l’articolo 377 del codice penale, che punisce i rapporti sessuali “contro natura”, tra cui la sodomia e la fellatio. Matt Sharp, consigliere legale dell’organizzazione cristiana no-profit Alliance Defending Freedom, ha rilevato che le azioni di certe aziende all’estero fanno più rumore delle loro parole pronunciate in patria.
Rumore che viene dalle fauci infuocate del dragone. La Apple possiede molti stabilimenti in Cina, dove gli omosessuali fino al 2001 erano considerati malati mentali a cui era necessario destinare una “terapia di guarigione” con scariche elettriche. Terapia che – come rivelato da alcune inchieste – è in uso ancora oggi in certe cliniche cinesi.
La stessa Apple ha aperto negozi di recente in Arabia Saudita. Nel Paese del Golfo non viene consumata energia elettrica per “curare” le persone omosessuali, piuttosto si procede a eliminarle con metodi efferati e celeri. Il quotidiano saudita Ozak ha annunciato che Ryad vorrebbe applicare la pena capitale anche a chi solamente si dichiara omosessuale, senza ci sia bisogno di evidenze che l’omosessualità sia praticata.
È il paradosso del capitalismo. In Occidente sventola la bandiera arcobaleno, consapevole del grosso giro d’affari che ruota intorno allo stile di vita omosessuale, ai profitti potenziali derivanti dalle biotecnologie applicate alla riproduzione umana, alla vendita di ovociti, all’affitto di uteri e alla tecnoscienza. Altrove si genuflette all’emiro o al dittatore di turno, che con la mano destra sventola dollari e con la sinistra reprime gli omosessuali. Altro che bagni lgbt…