Articolo pubblicato su Il Timone, n. 18, marzo 2002
Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti dove sta andando a parare il cosiddetto progressimo cattolico: per la solita eterogenesi dei fini, esattamente dove dice di non voler andare. Alla trasformazione della religione cristiana in un instrumentum regni.
di Rino Cammilleri
Sì, perché si comincia con le solite buone intenzioni di cui sono lastricate le vie di un certo posto, si comincia col voler depurare dalle incrostazioni la fede, riportare la stessa alla purezza originaria, eliminare gli orpelli e le sovrastrutture accumulatisi nei secoli, ridurre all’essenziale. E si finisce col rimanere senza niente, senza acqua del bagnetto, senza vaschetta e senza bambino.
Tolto l’«in più» doveva emergere una fede «adulta». Invece, quel che si vede sono solo gusci, solidaristici o liturgici, sperimentazioni infantili spacciate per spirito evangelico, sessantottismo ritardatario. Inutile rielencare qui i preti rappers e/o no global e tutte le altre trovate che fanno la gioia delle brevi di costume in cronaca. Il progressismo ormai fa una cosa sola: cercare di sbarazzarsi dell’identità cristiana per sostituirla con l’offerta agli Stati (meglio, all’Onu) di manovalanza gratuita politicamente corretta.
Da quando le ideologie hanno fatto il loro ingresso nella Storia, non è mai mancato il gruppetto di cristiani che entusiasticamente ha gridato il suo passons aux barbares ! In verità, è sempre stato un gruppetto, non di più, anche se pretenzioso: il vero cristianesimo era, secondo loro, il loro. Minoranze sparute di intellettuali, cui il troppo studio aveva dato alla testa, però influenti per via della loro visibilità. E furono cattolici-liberali, cattolici per il socialismo, catto-comunisti e via dicendo.
Veri pifferi di montagna, partivano per convertire e tornavano convertiti. Sempre col dito accusatorio puntato sulle «secolari connivenze tra la Chiesa e il Potere», finivano invariabilmente per puntellarlo loro, il Potere, schierandosi ogni volta col Pensiero Unico di turno. Uno psicologo avrebbe rivelato il perché di certe «sofferte e tormentate» scelte: paura della ghigliottina.
Ora, poiché la coerenza è una delle esigenze più forti dell’animo umano, chi non vive per come pensa finisce per pensare per come vive, e il fascino del vincitore è una sirena irresistibile. Ma, appunto per questo, Cristo aveva detto «la verità vi farà liberi», liberi dal condizionamento, dalla paura dell’impopolarità, perfino dalla paura della morte. Invece, i «sofferti e tormentati» non riescono mai a vedere nel Crocifisso il Re dei Re. Prima gli tolgono la corona imperiale, poi la porpora regale, poi la camicia e infine lo lasciano nudo, così che rimanga solo un cadavere appeso al muro. E se qualcuno questo solo vede, un cadavere appeso, allora zitti e mosca, per non offendere l’unico dio in cui davvero credono, il Di(alog)o.
Oggi, quell’antica posizione minoritaria è diventata egemone, e non basterà il coraggio pastorale di un solo Biffi a scalfirla. Ho detto egemone, non di massa, perché il popolo sta da tutt’altra parte, si esprime solo nel segreto dell’urna elettorale o «vota coi piedi» andando ad affollare i santuari. A Messa la domenica ci va, sì, perché costretto dal comandamento. E sta pure in silenzio quando la predica viene effettuata dal solito giovane missionario appena tornato dall’Africa a battere cassa. Nove volte su dieci la filippica frusta gli uditori, colpevoli di tutta la fame del mondo. E già: lui c’è stato, da quelle parti, è testimone oculare.
Diceva il divo Giulio che a pensar male si fa peccato ma a volte ci s’azzecca, e la mente corre a quelli che, turisti in Russia, si erano trovati due strade in là e non si erano accorti dell’assalto al Palazzo d’Inverno nel 1917.
Ma ecco una buona domanda da girare a Pietro Gheddo, decano dei missionari italiani: come mai certi missionari dicono l’esatto contrario di quel che dice lui e la loro visione delle cose pare molto più vicina a quella degli anti-global? Riguardo alla risposta io una mezza idea l’avrei, ma per verificarla occorrerebbe andare a dare un’occhiata al curriculum dei missionari di cui sopra.
Niente, torniamo al cosiddetto progressismo. Inizialmente si era pensato che intendesse per cristianesimo solo la «solidarietà» oves et boves; anzi, esclusivamente boves, vista l’unidirezionalità verso gli «ultimi». Già in questo mostrava il suo volto di instrumentum regni, spontaneamente e gratuitamente offerto al Potere anche se non richiesto. Adesso si svela che è proprio il cristianesimo la sua uggia, perché gli impedisce l’«apertura» verso tutte le altre religioni e ideologie (che sono religioni laiche).
Finale: rimane instrumentum regni, sì, ma del regno prossimo venturo, quello descritto da Soloviev o da Benson. Nei sogni del progressista medio, ci si faccia caso, c’è un pianeta unito e governato dall’Onu, un’umanità affratellata ed ecologica senza barriere né divisioni, che onori tutti i Grandi Uomini di Pace, tra cui anche, perché no, Gesù Cristo. L’inno appropriato è Imagine, di John Lennon, i cui versi, significativamente, dicono a un certo punto: and no religion too.
Sì, perché le religioni dividono. Invece bisogna cercare quel che unisce. Se me l’avessero detto, che l’ultima speranza era Oriana Fallaci…