il Giornale, 19 gennaio 2005
Dietro al rapimento dell’arcivescovo siro-cattolico di Mosul monsignor Basile Georges Casmoussa c’è il tentativo dei terroristi di rendere insolubile il già complicato problema curdo
di Massimo Introvigne
L’Irak è uno Stato inventato dopo la Prima guerra mondiale dagli inglesi – maestri nell’arte di creare nazioni tirando righe più o meno dritte su carte geografiche – mettendo insieme tre province dell’Impero Ottomano diverse per etnia e religione: un sud arabo sciita intorno a Bassora, un centro arabo sunnita con capoluogo Baghdad, e un nord curdo, non arabo per etnia e lingua, in maggioranza sunnita. L’emigrazione verso il centro e Baghdad di masse sciite ha rimescolato le carte, e dà oggi agli sciiti la virtuale certezza di prevalere nelle imminenti elezioni.
Restano i curdi, un popolo sparso tra la Turchia, la Siria, l’Irak e l’Iran, che da secoli sogna un Kurdistan indipendente. Non lo ha mai avuto, e non lo avrà neppure stavolta perché uno Stato curdo nel nord dell’Irak attirerebbe come una calamita i curdi della Turchia e dell’Iran causando un terremoto nei due paesi, che si oppongono quindi con tutte le loro forze all’indipendenza curda e con cui nessuno vuole rischiare un conflitto.
Eppure i curdi hanno avuto una specie di indipendenza per dodici anni. In un’ampia zona, dove dal 1991 al 2003 la vigilanza americana impediva alle truppe di Saddam ogni interferenza diretta, si sono auto-governati. E lo hanno fatto bene, dotandosi di un governo incentrato su due partiti nazionalisti islamici, il PUK e il KDP.
Contro i curdi Saddam – che non poteva giocare la carta militare – ha scelto la strategia dell’eversione, favorendo la nascita da varie piccole formazioni ultra-fondamentaliste di un unico soggetto terroristico: Ansar al-Islam. Parto difficile, riuscito solo grazie all’intervento di Al Qaida. Oggi Ansar al-Islam, diretta dal super-ricercato Zarqawi, è un’organizzazione terroristica internazionale, che continua a colpire in Irak e all’estero.
I curdi dell’Irak vorrebbero l’indipendenza, ma i loro leader li hanno convinti che questa non è politicamente possibile e che un’ampia autonomia in uno Stato federale è l’unico obiettivo realistico. A sua volta, la maggioranza sciita in Irak – a partire dal suo capo religioso Sistani – non vorrebbe un’autonomia costituzionalmente garantita per i curdi, ma si sta lentamente convincendo che è l’unica alternativa a un futuro di guerre civili.
Uno storico compromesso non è mai stato così vicino, ma trova una pietra d’inciampo nella questione delle minoranze (arabe, turcomanne e cristiane) in Kurdistan e nel problema territoriale di Kirkuk, una città che con i dintorni produce il 25% del petrolio irakeno e che è ormai un mosaico di etnie e religioni. Per i curdi è parte integrante del Kurdistan, per Sistani e gli irakeni arabi in genere va considerata una città dell’Irak centrale.
Anche qui si lavora seriamente a un compromesso, con la Chiesa cattolica in un ruolo delicato di mediazione. E come sempre, quando si è vicini a soluzioni di pace, un rapimento può avere il ruolo di un avvertimento mafioso, mentre le bombe continuano ad avvelenare le relazioni fra gli sciiti e gli altri.