Il Timone n. 154 giugno 2016
Basterebbe il buon senso per cogliere l’assurdità di negare la differenza tra l’essere umano e le altre creature. Ma oggi il mondo si è rovesciato e bisogna tornare alla teologia per spiegare la grandezza dell’uomo davanti a Dio
di Claudio Crescimanno
Nei libri di scuola come nella vulgata comune, dura ancora dopo duemila anni l’inevitabile I ironia sull’imperatore Caligola che nominò il proprio cavallo membro del senato romano. È noto che così fece non tanto per esaltare l’illustre quadrupede, ovviamente ignaro di tanto onore, quanto piuttosto per avvilire ulteriormente un’istituzione già in piena decadenza. Non a caso, infatti, l’episodio viene riportato come il sintomo di un mondo in declino.
Ma se è così, ben più decadente è il nostro mondo nel quale si è operato addirittura un capovolgimento della gerarchia di valore tra l’uomo e l’animale. Qualcuno potrebbe pensare che l’argomento in questione, quantunque oggi sia fonte di parecchia agitazione, attenga solo al buon senso. In realtà non è così.
Una questione di buon senso
Certo che è anzitutto una questione di buon senso e come tale potrebbe essere risolta. Basterebbe dire che c’è una differenza sostanziale tra il valore dell’essere umano e il valore degli animali e della natura in generale; basterebbe dire che un uomo, qualunque uomo, sia esso un bambino appena concepito o un anziano invalido, sia esso persino il più indegno e malvagio esemplare del genere umano, vale, da solo, più di tutto il regno animale, vegetale e minerale – come si diceva a scuola una volta – messi insieme; basterebbe poi aggiungere che, ciò precisato, l’uomo, proprio per amore di se stesso e dei propri simili, non può e non deve strapazzare il mondo di cui è padrone e custode, come nessuno che abbia a cuore la propria famiglia manda in rovina la casa in cui abita. Basterebbe il buon senso per capire queste cose, ma in realtà non basta più.
La visione oggi dominante ha rovesciato questi parametri e occorre niente meno che la teologia per ritrovare il I buon senso. Ma andiamo con ordine.
La posizione ecologista
Anzitutto vediamo brevemente qual è la posizione della tesi ecologista e cerchiamo di capirne i presupposti ideologici; poi passeremo a illustrare la visione cristiana, fondata sulla retta ragione e la divina Rivelazione.
La posizione ecologista comincia con una legittima critica allo sfruttamento incosciente che, dall’epoca dell’industrializzazione in poi, ha colpito la natura; insiste poi su una comprensibile e, sino ad un certo punto, condivisibile preoccupazione per la tutela dell’ambiente; purtroppo da qui si scivola facilmente – vedremo tra poco perché – in una nuova visione del mondo: l’equiparazione di valore tra l’uomo e la natura, in particolare gli animali; da qui poi non di rado si passa addirittura ad una inversione di precedenza: prima la natura, l’ecosistema, la ‘madre’ Terra, e poi l’uomo.
Stiamo esagerando? Niente affatto: da alcuni decenni si è venuto formando un movimento culturale e politico la cui base ideologica è precisamente questa: il bene della natura deve essere salvaguardato non in vista del bene dell’uomo, ma per se stesso; il bene della natura trascende il bene dell’uomo: la natura è per sé una realtà sacra, nella quale l’uomo è un intruso nocivo, un profanatore. Ecco il salto di qualità di cui dicevamo: in questa visione non si tratta più di difendere la natura per tutelare l’uomo, ma piuttosto di difendere la natura contro l’uomo. Abolita così una gerarchia di valore, la vita dell’uomo vale come quella di un gatto o di un pino, e poiché questi ultimi sono più deboli e indifesi, vanno più fortemente tutelati; alla fine il più grande nemico del mondo è l’uomo.
Posizione emblematica dell’ideologia ecologista è quella espressa dal duca Filippo di Edimburgo, principe consorte della regina d’Inghilterra, e gran patrono della più importante organizzazione ambientalista del mondo, il WWF: «Se rinascessi vorrei essere un virus letale per contribuire a risolvere il problema dell’eccesso di popolazione (umana). Il maggior dramma del mondo è che ci sono più culle che casse da morto!» (Dichiarazione resa all’agenzia tedesca DPA, 8 agosto 1988).
Il piano di Dio
Ed eccoci al problema ‘teologico’: siamo giunti ad una nuova visione del mondo subdolamente panteistica: si riveste di una specie di sacralità la vita di un fiume, di una pianta, di un animale, a tal punto da considerare nuovo, vero peccato la loro violazione. Così l’ecologismo fa della natura un ‘dio’ e della propria ideologia una ‘religione’. Non pochi tra i nostri contemporanei, animati certamente dalle migliori intenzioni, poco alla volta, senza avvedersene, capovolgono la scala dei loro valori secondo i criteri dell’ecologismo, senza avere una piena consapevolezza delle autentiche radici culturali ed ideologiche di tale movimento.
Capita così che nella nostra società, così civile e progredita, si dia risonanza quotidiana sui mezzi della comunicazione sociale al ‘dramma’ di una specie di coleotteri in estinzione, o di alcune balene rimaste incagliate tra i ghiacci dell’artico, o di qualche canile in cui gli ‘ospiti’ vengono maltrattati; e poi si dia ben poca risonanza, e susciti ancor meno indignazione, l’esistenza di embrioni umani congelati nei laboratori dediti alla sperimentazione, la strage degli innocenti provocata dall’aborto legalizzato, la sorte di tanti anziani parcheggiati ed abbandonati negli istituti.
Per rimettere in carreggiata una visione del mondo tanto distorta è necessario ripartire dal principio, nel senso biblico della parola, cioè dal Libro della Genesi, che ci racconta, con linguaggio immaginifico ma con assoluta chiarezza dei contenuti, le origini del mondo e dell’uomo secondo il progetto di Dio. Ci soffermiamo in particolare su una affermazione che già da sola è sufficiente a confutare la suddetta visione. All’inizio del secondo racconto della Creazione, quello narrato proprio nella prospettiva dello sguardo di Dio sull’essere umano, accadono due cose: 1) il Creatore mostra all’uomo le opere più nobili della creazione, cioè gli animali secondo le varie specie, e lo incarica di dare ad essi il nome: nel linguaggio semitico significa che Dio pone l’uomo sopra gli animali e questi sono destinati al suo servizio (Gn 2,19); 2) nessun animale è assimilabile all’uomo, nessuno è allo stesso livello qualitativo dell’uomo: per questo, volendo dare all’uomo una compagnia che fosse alla pari con lui, Dio crea la donna (Gn 2, 20-22); ora, prescindendo dalle implicazione del rapporto uomo-donna che questo racconto comporta, il primo dato che in esso si manifesta è la chiara affermazione della sproporzione di livello, di valore, tra l’uomo – maschio e femmina – e gli animali.
Il vertice della creazione
A partire da questi dati fondamentali, tutta la letteratura biblica dell’Antico come del Nuovo Testamento sviluppa coerentemente questa visione secondo la quale l’essere umano è al vertice della creazione visibile, fatto di poco inferiore agli angeli (Sal 8); e se è vero che unico per uomini e bestie è il destino mortale del corpo (Qo 3,19), è non meno vero che l’uomo ha dignità infinitamente superiore ad ogni altra creatura terrena poiché la sua anima immortale è destinata ad una vita che è per sempre.
Con il mistero dell’Incarnazione, poi, Dio stesso, Signore e Padrone dell’universo e di tutte le creature in esso contenute, assume la natura umana e la eleva a nuova inaudita grandezza; innestati in Cristo con il battesimo, gli uomini redenti diventano figli di Dio ed entrano così nell’orbita gravitazionale della Divinità, sempre più vicini a Dio e sempre più ‘lontani’ dalle creature inferiori. Alla luce di queste riflessioni risulta evidente che la deriva di certo ecologismo e in particolare di certo animalismo è, nei presupposti e nei fatti, negazione della fede cattolica nell’opera della creazione e della redenzione.