Politiche e reti per lo sviluppo n.27 aprile-giugno 2009
Dal Dossier: Durante e dopo la crisi
Il problema non è semplificabile con una domanda che limita con un “unicamente” ad una spiegazione. E piuttosto evidente che lo Stato (gli USA) sta trasferendo a se stesso i debiti delle banche, imprese e famiglie. E ciò è anche comprensibile: per vent’anni ha stimolato il consumismo a debito delle famiglie, facendole appunto indebitare per poter far crescere il PIL.
Diverso è il problema del debito delle imprese che si sono levereggiate per non ricapitalizzare e diverso ancora è il debito delle banche, che nasce da vari fenomeni (espansione creditizia esagerata e sempre con minor base di risparmio, uso di prodotti derivati per espandere la massa creditizia, non sufficiente fondo rischi a tutela dell’espansione stessa ecc..).
Ma chi ha originato tali fenomeni è stata l’esigenza dello Stato di crescere artificialmente il PIL per sostenere costi e investimenti verso una crescita reale insufficiente. È evidente che la soluzione creerà inflazione, la quale assorbirà il debito e distruggerà i risparmi, ma salverà lo Stato. L’alternativa? Rispondo alla domanda n. 6.
Demografia e sviluppo. La grande crisi è il titolo di un suo editoriale del settembre 2008, nel quale attribuisce al calo demografico dei paesi più sviluppati (e alla conseguente crescita della spesa sociale) una delle cause della crisi economica. Esiste a suo giudizio la possibilità da parte dei governi di intervenire modificando questo trend?
Per modificare questo trend (demografico) è necessario cambiare troppe cose, soprattutto la visione culturale dominante che è ecologista-neomaltusiana, pertanto preoccupata del fatto che siamo cattivi (il cancro del pianeta), siamo in troppi sulla terra e così la inquiniamo, la distruggiamo ecc. A parte queste considerazioni alla “catara” , oggi per modificare il trend ci vorrebbe un’intera generazione, perciò una ventina o più di anni.
E poi, lei lo sa che per i più “crescita zero” significa non fare figli? In realtà crescita zero significa che una coppia ne deve fare ben due di figli. Se lo immagina chiedere alle coppie di cultura “occidental-consumistica” questo sforzo?
Uno dei fattori che hanno inciso sulla crisi, nella sua opinione, è la mancanza di una vera vocazione alla sussidiarietà da parte degli Stati nazionali. Può spiegare questo concetto e chiarire quali soluzioni alternative, ora che l’intervento dei governi nazionali si è fatto massiccio, possono invertire questa rotta? E che cosa intende per sussidiarietà applicata a questa situazione?
Negli ultimi vent’anni i cittadini sono stati inconsapevolmente sussidiari agli Stati. Cioè hanno lavorato, consumato e si sono indebitati per permettere agli Stati di tenete alto il PIL e assorbire conseguentemente tutti quei costi fissi o variabili che servivano alle loro strategie di potere: che fossero guerricciole, scudi spaziali, welfare senza criteri e limiti ecc. Non solo, la famiglia è stata sacrificata persino al san Prodotto Interno Lordo. Se la famiglia non cresce di numero, se non si produce risparmio, se non ci si cura dell’educazione dei figli, se non si investe in vera formazione dei figli ecc., una civiltà si spegne. Sussidiarietà è, in questa situazione, un “prodotto energetico”, evita che si spenga la luce di una civiltà…
La crisi attuale è dovuta a un eccesso di regole magari sbagliate o a poche regole confuse? Oppure è tutta una questione di etica degli affari, che le regole – da sole – non sono in grado di risolvere?
No, no, la crisi attuale è dovuta a regole ben applicate, solo che queste regole erano sbagliate totalmente. Vede, è il problema eterno di confusione tra fini e mezzi. L’errore non è pensare che il fine non debba giustificare i mezzi (se no chi li giustifica?), il problema è che un fine buono non deve essere perseguito applicando un mezzo cattivo. Per ottenere sviluppo economico non devo sostituire le nascite con i consumi a debito. Non voglio le nascite? Bene, ci si riduca ad accettare una “sobria sopravvivenza “, ma non si inventino surrogati, per favore.
Si cominciano a percepire i primi segnali di ripresa. Le previsioni Unioncamere sull’andamento dell’industria manifatturiera vedono sensibilmente ridursi la quota delle imprese convinte che il secondo trimestre 2009 sarà negativo quanto i precedenti. Ritiene si sia giunti a un punto di svolta e che il peggio sia ormai passato?
Beh, meglio di Unioncamere non posso vedere. Se è vero che la “convinzione” muove il comportamento, il peggio è passato. Forse ricorda un principio filosofico molto vero: “Se una persona non si comporta come pensa, finirà per pensare come si comporta”. Ci si rifletta.
Come alimentare un nuovo clima di fiducia tra imprese e cittadini?
La fiducia è un valore intangibile che oggi è diventato piuttosto raro: non si ha fiducia del banchiere, dell’economista, del politico, dell’avvocato, del giudice, del dentista, del prete persino… La fiducia si riacquista con i fatti, non con le promesse. Nel nostro caso attuale di crisi la sfiducia ha fondamenti reali. Prendiamo la situazione negli USA, dove si è generata la crisi.
Oggi le famiglie americane hanno perso il 50% dei risparmi, il 50% del fondo pensione, il 50% del valore della casa, il 50% di speranza di poter continuare a lavorare nei prossimi tempi. Sono invece indebitate per un po’ di anni… Mi dice come possono riprendere fiducia? Allora, per ridargliela, si devono stabilizzare gli indici azionari delle Borse americane. In pratica si deve dare la certezza che, almeno, non scendono più.
Per farlo, ai prezzi attuali, basterebbe stimolare istituzioni finanziarie (praticamente seminazionalizzate), magari anche con qualche buon fondo sovrano ancora liquido, a comperare azioni quotate fino a una soglia. A quel punto la famiglia americana sa che più di così, il risparmio, il fondo pensione ecc., non perderà, e potrà invece solo guadagnare. E così riparte quella fiducia minima che serve a riavviare i consumi.