Tempi.it 24 Giugno 2016
Perché gli inglesi, in barba a tutti gli appelli dell’establishment, hanno scelto di lasciare la Ue? Perché lo hanno fatto anche se non conveniva loro?
Redazione
Ha vinto il leave. Con un referendum molto partecipato (oltre il 70 per cento si è recato alle urne), la Gran Bretagna lascia l’Europa: 51,9 a 48,1. Non sono serviti tutti gli appelli dell’establishment, le minacce – anche ieri – dell’Europa (“se votate no, sarà peggio per voi”), le analisi su quanto avrebbe influito emotivamente l’assassinio della povera Jo Cox. Le Borse, che ancora ieri sera festeggiavano il remain in base alle prime stime e sondaggi, oggi crollano; sprofonda la sterlina; sale lo spread.
Ci sarà tempo e modo per capire cosa accadrà ora nella politica inglese (le dimissioni di David Cameron), così come ci sarà tempo e modo per comprendere come la Gran Bretagna regolerà la sua uscita dall’Europa (in due-tre anni deve riscrivere oltre 50 accordi), così come ci sarà tempo e modo per vedere come, a livello politico, questa decisione traumatica influirà sui rapporti di forza interni al Vecchio Continente e in ognuno dei suoi paesi.
PROBLEMA EUROPA. Quel che ci pare si possa osservare sin dal principio è che, in base anche a una forte dose di emotività, gli inglesi hanno optato per la scelta che, economicamente, non conveniva loro. Perché? Nei giorni scorsi vi abbiamo segnalato le parole del premio Nobel americano Michael Spence che, pur contro la Brexit, invitava a “non fare la morale agli inglesi”. Che l’Unione Europea non funzioni e non piaccia, non può non essere preso in considerazione: «Le forze al potere che operano al di là del controllo degli ufficiali eletti – diceva Spence – stanno cambiando la vita dei cittadini, lasciandoli con un sentimento di impotenza». Al di là di ogni problema economico che la Brexit può o non può provocare, il nodo resta «la governance nell’Unione Europea», che attualmente non è democratica. «La Brexit fa parte di questo dramma più grande» e non si possono incolpare gli inglesi per questo. Ecco perché non serve continuare a parlare di soldi ed economia: «Se fosse solo questo il problema, il risultato sarebbe una conclusione scontata a favore del rimanere».
TRE QUESTIONI. Così come per capire cosa s’aggirasse nelle menti inglesi, non troviamo descrizione migliore di quella fornita dal filosofo conservatore Roger Scruton durante una recente conferenza a Tilburg, in Olanda: «Noi britannici ci sentiamo europei, ma l’Unione Europea non rappresenta l’Europa che siamo e amiamo. Il Regno Unito non è stato occupato dai nazisti come gli altri paesi europei, e questo implica una differenza psicologica profonda. Noi non ce la sentiamo di devolvere sovranità a un potere sovranazionale dopo che abbiamo lottato tanto per conservarla, vincendo con tante sofferenze. In secondo luogo, noi abbiamo avuto un genere di governo e di legge diversi da quelli degli altri paesi che si sono ritrovati sotto il codice napoleonico. Da noi la legge si è creata nelle corti di giustizia, non era imposta dall’alto. Le corti di common law “scoprono” la legge: si portano i conflitti davanti a un giudice imparziale, e lui attraverso la giustizia naturale scopre la soluzione. Abbiamo creato un sistema legale che procede dal basso, attraverso la risoluzione di conflitti fra la gente comune, non con interventi dall’alto da parte del legislativo. Oggi Bruxelles produce regolamenti che sono decisioni dall’alto, e questo provoca ribellione nella nostra gente: i regolamenti non risolvono i conflitti, bensì li provocano. La terza e decisiva questione è quella dell’immigrazione: siamo sotto assedio a motivo della clausola europea sulla libertà di movimento e soggiorno delle persone. Questa norma fa parte dei trattati e non si può togliere, ed è ciò a cui i britannici obiettano di più: abbiamo perso il controllo delle nostre frontiere, grandi quantità di persone provenienti dall’Europa dell’Est competono con noi per il lavoro e la casa. La gente si chiede che cosa significa sovranità nazionale, se abbiamo perso il controllo delle nostre frontiere. Nel suo entusiasmo per dissolvere i confini, l’Unione Europea è rimasta senza protezione dalle migrazioni di massa. Il comportamento della Germania nasce dal suo storico senso di colpa e si riflette su di noi: costringono noi, che ci siamo difesi al prezzo di molto sangue in passato da chi cercava il suo “spazio vitale” qui da noi, ad accettare tutte le persone che vogliono entrare. Si pretende che ignoriamo fattori come la diversità di religione, cultura e adattabilità. Di tutto questo l’Unione Europea si rifiuta di discutere».