La Croce quotidiano 15 luglio 2016
Continuiamo a seguire la vicenda drammatica di padre Tom Uzhunnalil, il salesiano rapito nello Yemen il 4 marzo scorso contestualmente all’uccisione nel loro convento di quattro Suore Missionarie della Carità. Sono passati più di quattro mesi e ancora non si hanno notizie certe di lui, ma questo lungo tempo non dovrebbe far perdere la speranza di ritrovarlo vivo
di Giuseppe Brienza
«La comunità aveva come superiora suor Sally: è l’unica ad essersi salvata, nascondendosi nel deposito della casa dopo aver sentito il grido con cui una delle guardie ordinava la fuga. Alcuni soccorritori l’hanno poi trovata, tremante e in lacrime, e l’hanno portata al sicuro. Ciò nonostante, la religiosa ha dichiarato che continuerà a servire i poveri. Le consorelle uccise, invece, sono suor Annselna, indiana; suor Margarita e suor Reginette, ruandesi; suor Judith, kenyana.
Del sacerdote salesiano che viveva con loro, padre Tom Uzhunnalil, si sono invece perse le tracce» (Emilia Flocchini, Almeno 4 le Martiri della Carità nello Yemen, in “La Croce quotidiano”, 8 marzo 2016, p. 5). Sono passati ormai più di 4 mesi da quando abbiamo iniziato a seguire con passione e speranza la vicenda di “padre Tom”, del quale purtroppo ancora non si hanno del tutto attendibili notizie.
Per la liberazione del salesiano rapito dai terroristi islamici, la notte del Giovedì Santo 2016 questo giornale ha anche deciso «di accogliere l’invito del Rettor Maggiore don Ángel Fernández [e] stasera pregare per padre Tom» (Editorialino, Stasera preghiamo per padre Tom, in “La Croce quotidiano”, 24 marzo 2016, p. 1).
Di 57 anni, indiano, appartenente all’Ispettoria Salesiana di Bangalore, don Thomas Uzhunnalil è missionario nello Yemen dal 2012, un Paese arabo nel quale la presenza cristiana è ormai ridotta al lumicino (appena lo 0,1% dell’intera popolazione). Da 29 anni, i salesiani sono presenti nel territorio yemenita, nel quale sono tuttora gli unici sacerdoti cattolici, da sempre in collaborazione con le Missionarie della Carità.
Le quattro suore uccise in quel maledetto 4 marzo, in effetti, appartenevano a questa Congregazione, fondata da madre Teresa di Calcutta, la cui canonizzazione si terrà come noto a Roma il prossimo 4 settembre. Le religiose sono state martirizzate da un commando di islamisti che hanno attaccato il loro convento, nella città di Aden, un tempo colonia britannica ed oggi rilevante centro portuale. La chiesa della Sacra Famiglia, che è nel cuore dello stesso territorio, era stata saccheggiata e data alle fiamme da uomini armati non identificati già nel settembre dello scorso anno.
Nonostante i crescenti pericoli, però, le suore non si sono mai mosse di lì, anche quando la città è stata riconquistata dalle forze fedeli al presidente Abdel Rabbo Mansour Hadi, legato all’Arabia Saudita ed alla rete di al-Qaida, in lotta da anni contro i ribelli sciiti Houthi. Dal marzo del 2015, i raid militari sauditi non sono serviti a riportare al potere l’ex presidente e alleato Mansour Hadi, contribuendo piuttosto ad aggravare un conflitto che finora ha provocato oltre 10mila morti e più di un milione e mezzo di sfollati.
Da fonti attendibili, alla fine dell’assalto omicida del 4 marzo padre Tom sarebbe stato portato via dal commando islamista. Secondo quanto riportato da fonti vicine all’unica religiosa sopravvissuta, al momento del massacro il salesiano, «non appena sentite le grida delle suore, è riuscito soltanto a consumare le ostie rimaste, poi i terroristi lo hanno condotto a forza nella loro auto. Prima di andar via, i jihadisti hanno distrutto il tabernacolo, il crocifisso, l’altare ed il messale» (cit. Yemen: “Teniamo alta l’attenzione su don Tom”, in “Zenit”, 12 maggio 2016).
Le suore ed i missionari da tempo impegnati nello Yemen, sull’esempio di don Giovanni Bosco e Madre Teresa di Calcutta, «hanno fatto del servizio agli ultimi la missione della propria vita e la strada per la propria santità, così il nostro restare in luoghi segnati dalla divisione e dalla povertà testimonia la fede nel messaggio cristiano che da ogni croce sgorga la Risurrezione», ha dichiarato il vicario del rettor maggiore dei Salesiani, don Francesco Cereda.
In una nota ripresa dall’agenzia “Fides” subito dopo la strage, le Missionarie della Carità avevano in effetti ribadito che non avrebbero abbandonato per nessun motivo la loro meritoria opera nello Yemen, continuando «a servire i poveri e i bisognosi». Madre Teresa, che «è sempre stata negli angoli più remoti del mondo, indipendentemente dalla situazione locale», avrebbe fatto lo stesso!
Don Cereda ha ricordato la grande vocazione missionaria di padre Tom: «Suo zio è stato il fondatore della nostra missione in Yemen nel 1997. Una vocazione condivisa dal nipote, che ha scelto tale destinazione pur sapendo quanto il paese della Penisola Arabica rappresenti una situazione difficile».
Fino all’inizio della guerra civile nel 2015, i salesiani in Yemen erano presenti con cinque confratelli in quattro città: Sana’a, la capitale, Hodeida, Taiz ed Aden. Poi lo scorso anno sono rimasti soltanto due religiosi ad Aden, la città più tranquilla tra le quattro. Padre Tom e un altro confratello hanno deciso di restare perché anche le Missionarie della Carità non hanno voluto abbandonare il paese.
«Preoccupazione, sdegno e dolore per il vile attacco» sono stati anche espressi dai vescovi indiani riuniti nell’annuale Assemblea plenaria a Bangalore, pochi giorni dopo il massacro (oltre alle quattro suore, nell’assalto sono in effetti state uccise altre 12 persone che lavoravano e si trovavano nel convento).
I circa 180 presuli presenti all’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale indiana (Cbci) si sono anche riuniti in una speciale preghiera per le vittime, esprimendo profonde condoglianze alla congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta: «Questi attacchi brutali ai missionari cristiani da parte di menti malvagie non scoraggeranno il nostro impegno a servire i poveri e gli ammalati» hanno affermato (cit. in Yemen: sdegno per il massacro. Le suore: “Non abbandoneremo il paese”, in “Zenit”, 7 marzo 2016).
Il vescovo Paul Hinder, OfmCap, vicario apostolico per l’Arabia meridionale, ha testimoniato che la popolazione locale «amava le suore di Madre Teresa uccise a Aden, ammirava il loro modo di servire gli altri senza guardare all’appartenenza religiosa, ma solo alla scelta di prediligere chi ha più bisogno. Questo suscitava simpatia e affetto tra il popolo. E forse proprio questo dava fastidio».
Circa un anno e mezzo fa, quando nello Yemen è esploso il conflitto tra le forze governative e i ribelli Huthi, mons. Hinder ha anche ricordato di essersi confrontato con le suore sull’opportunità della loro permanenza ma «loro – ricorda il presule – mi dissero che non c’era niente da discutere: non sarebbero andate via, qualsiasi cosa fosse capitata, perché desideravano rimanere accanto a quelli che erano stati loro affidati. Era evidente che da parte di quelle suore inermi non si trattava di una esibizione di eroismo, ma solo del loro desiderio di seguire Cristo. Ho rispettato la loro scelta, e sono certo che il loro martirio porterà frutto, anche per le vite dei cristiani che vivono nella Penisola arabica”».
A fine marzo da alcuni media erano state riferite notizie circa possibili torture subite da padre Tom ad opera dei terroristi dello “Stato Islamico” che, addirittura, avrebbero voluto crocifiggerlo nel giorno del Venerdì Santo. La tragica notizia era stata divulgata dal cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, durante la veglia di Pasqua e poi, a ruota, da monsignor Bernard Moras, arcivescovo di Bangalore, salvo poi arrivare la smentita da parte dello stesso porporato austriaco.
L’Ispettoria indiana dei Salesiani non ha mai dato credito a tali voci, lanciando piuttosto «un sincero appello a tutti gli interessati a smettere di diffondere tali messaggi, non richiesti, fuorvianti e divulgatori di false indiscrezioni» (cit. in Luca Marcolivio, Yemen. Salesiani: “Messaggi fuorvianti sul nostro confratello rapito”, in “Zenit”, 21 marzo 2016).
Secondo quanto indicato da monsignor Hinder, fino a fine marzo era possibile credere a diverse «affermazioni attendibili in base alle quali don Tom sarebbe ancora vivo e nelle mani dei rapitori» (cit. in Luca Marcolivio, Yemen. Salesiano rapito: smentita la crocefissione, in “Zenit”, 29 marzo 2016).
Nella sua catechesi del 10 aprile anche Papa Francesco ha ricordato padre Tom, innalzando per lui una intensa preghiera e rivolgendo un appello internazionale per la sua liberazione. «Nella speranza donataci da Cristo risorto – ha detto il Pontefice, dopo la recita del Regina Coeli a San Pietro – rinnovo il mio appello per la liberazione di tutte le persone sequestrate in zone di conflitto armato; in particolare desidero ricordare il sacerdote salesiano Tom Uzhunnalil, rapito ad Aden nello Yemen il 4 marzo scorso» (cit. in “Speriamo che l’appello del Papa per padre Tom arrivi alle coscienze dei sequestratori”, in “Zenit”, 11 aprile 2016).
Quindi l’episcopato indiano ha pensato di inviare una sua delegazione presso il capo del governo di Nuova Delhi Narendra Modi, guidata dal presidente della conferenza dei vescovi card. Baselios Cleemis, chiedendo «al primo ministro di invitare il Pontefice a visitare l’India, in una data conveniente sia per il governo indiano che per la Santa Sede» (cit. in India. Vescovi chiedono al premier di invitare il Papa nel Paese, in “Zenit”, 26 aprile 2016). A entrambe le questioni, il primo ministro ha risposto favorevolmente, anche se per quanto concerne l’invito al Papa, ha precisato che avrebbe dovuto consultarsi con altri membri del governo. Ancora aspettiamo il responso…
A maggio p. Cereda ha confermato ultime notizie che davano speranza per padre Tom, chiedendo di tenere alta l’attenzione sul suo caso. È importante, ha affermato in quell’occasione il sacerdote, «coltivare la speranza attraverso la preghiera» perché «sappiamo che è ancora vivo» (cit. Vicario salesiano: Il sacerdote rapito in Yemen è ancora vivo. Preghiamo per lui, in “AsiaNews”, 5 maggio 2016, http://www.asianews.it).
Poco dopo fonti cattoliche indiane, che rilanciavano le parole del ministro degli Esteri Sushma Swaraj, hanno riferito che padre Tom «è salvo», e che la mediazione in atto per ottenerne la liberazione sarebbe stata nella «sua ultima fase». Inoltre, il salesiano non si sarebbe trovato nelle mani del sedicente “Stato islamico”, bensì di «forze anti-governative» presenti in territorio yemenita (cfr. Presto libero padre Tom, il salesiano indiano rapito in Yemen, in “Zenit”, 18 maggio 2016).
Passato un altro mese, il Consiglio dei Vescovi Cattolici dello Stato indiano del Kerala (KCBC, in inglese) ha manifestato quindi la propria preoccupazione in merito all’evolversi della vicenda di don Uzhunnalil. Don Maria Arokiam Kanaga, consigliere per la regione salesiana Asia Sud, ha manifestato la sua preoccupazione per la situazione di stallo e ha invitato le autorità governative a raddoppiare gli sforzi per la liberazione del salesiano. In un messaggio diffuso lo scorso 8 giugno, il Consiglio episcopale del Kerala ha quindi esortato tanto le amministrazioni centrali quanto quelle del Kerala, ad operare efficacemente per la liberazione, il più presto possibile, del sacerdote rapito: «Il KCBC è molto preoccupato per la prolungata incertezza circa il rilascio di don Tom Uzhunnalil. Chiediamo ai governi centrale e statale di mantenere i loro sinceri sforzi per rendere possibile la sua sicura liberazione dalla prigionia dei militanti in Yemen» (cit. in I Vescovi del Kerala invocano una rapida liberazione di don Tom Uzhunnalil, in “ANS – Kochi”, 10 giugno 2016).
Da parte sua anche il Consigliere per la regione salesiana Asia Sud, don Maria Arokiam Kanaga, SDB, ha espresso la sua profonda angoscia nell’osservare che non si è ancora arrivati ad una rapida soluzione dello stallo in cui versa don Uzhunnalil, che è stato suo allievo. Don Kanaga ha visitato Aden pochi anni fa e ha potuto vedere personalmente il buon lavoro fatto da don Uzhunnalil e dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa.
Il lungo tempo trascorso fino ad oggi dal rapimento non dovrebbe far perdere la speranza che padre Tom sia ancora in vita e possa essere liberato, quando si pensi solo alla recente vicenda del gesuita indiano rapito dai terroristi in Afghanistan e rilasciato dopo ben 9 mesi.
La Conferenza Episcopale Indiana è sempre in contatto costante con il governo di Nuova Delhi per saperne di più e cercare di liberare don Uzhunnalil ma, in assenza dell’intensificarsi dei canali diplomatici e dell’intelligence, oltre che dell’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, gli sforzi per individuare il sacerdote potrebbero forse essere non sufficienti.
Infatti, come hanno riferito i presuli indiani, dal governo dell’attuale presidente Pranab Kumar Murkhejee non vi è stata finora alcuna «risposta precisa» sulle modalità di rapimento del missionario salesiano, né sull’identità dei suoi sequestratori. Anche per questo continuiamo a seguire, a pregare, ad informare su padre Tom.
Un intento condiviso con l’associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS) che, il 29 aprile scorso, ha illuminato alla presenza anche di una rappresentanza del “Popolo della Famiglia” Fontana di Trevi di Rosso per simboleggiare il sangue dei martiri cristiani. Nel contesto di tale grande e significativa manifestazione, ACS ha voluto ricordare don Tom proiettando la sua foto sul marmo della fontana.