Quando finalmente ha potuto comunicare, battendo un dito su una speciale tastiera collegata a un personal computer, Rom Houben ha ammesso che negli infiniti giorni passati nella prigione di un incoscienza apparente «aveva cercato di evadere sognando». Per i medici era in coma, paralizzato da un incidente automobilistico nel 1983.
“Stato vegetativo persistente” è la diagnosi che ha accompagnato la sua scheda personale, almeno sino a che i ricercatori hanno trovato una via per capire che il cervello era ancora in attività. Gli hanno insegnato a esprimersi e lui l’ha fatto.«Urlavo senza che nessuno potesse sentire – è riuscito a dire –. Sono stato il testimone della mia sofferenza mentre i dottori cercavano di parlarmi, sino al giorno in cui ci hanno rinunciato».
C’era ancora Ronald Reagan alla Casa Bianca e il Muro di Berlino era in piedi, quando Houben è stato dato per spacciato. Il suo dramma s’è consumato nove anni prima di quello che ha colpito Eluana Englaro, la donna di Lecco ridotta a un vegetale nel 1992 e morta lo scorso febbraio in seguito alla sospensione della nutrizione artificiale.
In medicina è difficile mettere a confronto singoli casi per trarre delle conclusioni esatte, però è chiaro che l’avventura di Rom, che oggi ha 46 anni, è potenzialmente in grado di riaprire il dibattito sul trattamento dei pazienti in stato di incoscienza permanente