Giovanni Paolo II: una proposta per l’uomo, una speranza per Livorno

gpii_livornoLivorno – teatro La Goldonetta

13 maggio 1982

Incontro con Jan Chrapek (*)

(trascrizione non rivista dal relatore)

La mia sarà nient’altro che la testimonianza di come io leggo quest’uomo chiamato Giovanni Paolo II. I miei saranno pensieri personali e non una spiegazione ufficiale, perché – come dicono i siciliani – sono solo un povero cristi e non conosco tante cose.

Nella vita passano tanti avvenimenti e passano tanti incontri, leggiamo tante cose ma non sempre siamo capaci di leggere questi avvenimenti e capire profondamente il senso di tutto ciò che accade; invece è molto importante chiedere nella mia vita e nella società, cosa tutto ciò che leggo, mi insegna e cosa mi insegna ciascuna persona che ho incontrato.

Io penso che questa domanda sia fondamentale per vivere responsabilmente, per diventare ogni giorno uomini più profondi. Tanto passa per la nostra vita ma queste cose, tante volte, non ci educano perché non siamo capaci di domandare il perché di questi eventi; allora mi sembra giusto che volendo preparare l’ambiente per questo evento che sarà la venuta del Papa qui a Livorno si sia preparato questo incontro, perché non cercando la possibilità di capire meglio avvenimenti, incontri che ci si presentano noi siamo un po’ ladri, cioè perdiamo le occasioni che ci aiutano a ad essere più umani, più profondi, più sensibili verso la vita.

Lasciamo le cose che ci possono aiutare tanto. Soprattutto se crediamo che il Papa è il vicario di Cristo, cioè uno che semina una parola di verità, è importante preparare il terreno, cioè i nostri cuori e le nostre anime, perché possono essere semi seminati con grande responsabilità. Ma questi semi possono trovare una terra dura, quindi è importante coltivare questa terra.

Abbiamo ricevuto tante parole di verità ma che cosa abbiamo realizzato? Se crediamo che Cristo è presente nella Chiesa, se crediamo – come dicevo prima – che il Papa è il vicario di Cristo sulla Terra allora dobbiamo anche credere che tra poco verrà – come duemila anni fa a Gerusalemme e in altre città – Cristo, col suo povero servo Giovanni Paolo II, per dare a questo popolo, non ad altro, le parole che sono per noi e per oggi.

Vorrei dire, secondo il mio modesto parere conoscendo tutto quello che lui ha scritto e conoscendo la vita del popolo da cui lui è partito, cosa lui, attraverso i gesti e le parole, vuole fare.

GPIIQuando Giovanni Paolo II ha parlato al collegio dei Cardinali il 5 novembre 1979 ha detto che vorrebbe soltanto realizzare il Concilio Vaticano e in un suo libro, pubblicato quando era ancora cardinale, ha scritto che la cosa più importante ora è realizzare il Concilio spiegando più avanti che il realizzare il Concilio significa arricchire la fede, arricchire la coscienza umana e la coscienza cristiana. Qui allora è la chiave per capire tutti i suoi gesti. Ogni gesto che fa ha quel senso. Se ogni venerdì santo va nella basilica a confessare vuole, attraverso quel piccolo segno, far capire a tutti i cristiani il valore del sacramento della Riconciliazione e non è un atto da “vedet” o o per farsi pubblicità.

Il Papa nell’incontro con i Cardinali, diceva ancora che vuole realizzare la visione di Chiesa come comunità in cui il Pastore è anche animatore. Sappiamo dalla storia che l’organizzazione della Chiesa era gerarchica: popolo di Dio, preti, vescovi con la Curia, il Vaticano e al vertice il Papa; tutte le ispirazioni venivano da questo centro. Il Concilio Vaticano II nella sua costituzione Gaudium et spes schiaccia questa visione per dare una vita. Per capire meglio si può utilizzare un esempio: quando si butta qualcosa in acqua si producono delle onde che si allargano concentricamente facendo sì che tutto lo specchio si muova. La visione del Concilio è la stessa che c’è nel pensiero e in tutto il mistero di Giovanni Paolo II, ovvero essere questo punto che anima, che ispira. Il Papa dice: “Vorrei essere il cuore che aiuta il corpo a vivere”.

Se la Chiesa è il corpo lui vuole essere l’animatore di questo corpo e qui c’è la spiegazione del perché tanti pellegrinaggi. Dopo il pellegrinaggio in Brasile, quando tanti giornalisti criticarono Giovanni Paolo per i suoi troppi viaggi, lui ha rilasciato un’intervista a un giornale cattolico polacco, Tygodnik Powszechny, in cui spigava il motivo di tanti viaggi dicendo: “Faccio questi pellegrinaggi innanzitutto perché così realizzo un desiderio già presente il Giovanni XXIII e Paolo VI, poi ancora per guardare la Chiesa come vive e poi come apostolo per annunciare la verità; per aiutare a vivere da cristiani, vorrei rinnovare o ridare la vita all’uomo che corre senza senso e che tante volte non si domanda il perché vive, al quale vorrei fare una domanda: dove va?”. Nell’intervista diceva proprio questo: “Vorrei fare con la gente un esame di coscienza: ma dove andiamo?” per aiutare a riflettere sulla propri vita, per aiutare a capire il senso e la strada per il futuro degli uomini. Anche con i pellegrinaggi il Papa vuole aiutarci a ritornare alle radici, a ritrovare l’identità di popolo.

GPII_ToafQuello che oggi tante volte accade, nei paesi dove il totalitarismo è molto forte, è che là si toglie l’uomo dalla sua storia e dalle sue radici; quando questo accade l’uomo muore. Come una pianta, tolte le radici muore così l’uomo senza la visione storica costituita dalle sue radici culturali muore. Se noi oggi siamo quello che siamo il nostro valore viene da tutta la nostra storia; nel nostro caso dalla storia della Toscana, storia che ha dato il dolce stil novo e che per tanti secoli creava le visioni teologiche; ad esempio la Divina Commedia.

Se la Toscana oggi è la regione che conosciamo, se noi siamo questo valore è per questa nostra storia, coì come i polacchi se oggi sono quello che sono è anche per il sangue di quelli che sono morti negli ultimi secoli per la libertà della patria, la mia patria, per la verità, per la dignità umana. Io sento oggi, di più, che dopo la morte di coloro che a dicembre sono morti nelle miniere della Slesia per difendere la dignità dei lavoratori, io sono più ricco e volendo essere responsabile del loro sangue devo comportarmi in altra maniera, non posso dimenticare questo.

Il papa, dunque, facendo i suoi pellegrinaggi vuole aiutare gli uomini a ritornare alle loro radici, alla loro storia, alla loro identità e questo è importantissimo.

Noi polacchi a scuola studiavamo la storia dopo l’ultima guerra; a lezione ci dicevano che la storia comincia dal 1945, quando sono arrivati i comunisti per fare il mondo migliore; ma questo è prima di tutto oscuro e stupido. Dopo gli anni Sessanta abbiamo cominciato a conoscere la storia vera, studiandola di notte; poi quando il Papa è venuto, nel suo pellegrinaggio – ma già da quando era vescovo – basava tutti i suoi discorsi sulla storia di Cracovia. Il concetto che lui ha è basato su tutta la storia della Chiesa di Cracovia, il cui vescovo Stanislao disse a suo cugino, in quel momento re, che faceva tante ingiustizie e nel nome della fede e del popolo da quel momento non era più re e non era più degno di quel popolo perché lo aveva tradito.

E’ da questo stesso concetto, che poi è stato approfondito attraverso la storia seguente, che viene il coraggio del Papa che nelle encicliche dice le stesse cose: il governo che tradisce il suo popolo, che non serve il popolo ma lo strumentalizza non è degno di quel popolo, perché il governo è sempre il rappresentante del popolo.

Questo è importantissimo per capire il papa; altro è quando un professore dell’Università Jagellonica, un laico, durante il Concilio di Trento, disse che non si può fare evangelizzazione se si distrugge la propria cultura. Bisogna valorizzare e valorizzare aiuta ad arrivare alla verità assoluta che è Cristo; questa è l’unica strada umana e questo viene dalla storia che Cracovia rappresenta e dal quale il papa viene.

GPIIRicordo le prime lettere che Woityla scriveva dopo l’elezione al pontificato e che vennero pubblicate in Polonia, certe clandestinamente, in cui scriveva: “Vorrei, col nostro teatro, dare al mio popolo la storia vera, tutto quello che è vero sulla nostra storia”. Come sappiamo da giovane il Papa era attore di teatro e recitava clandestinamente durante la guerra. Infatti ascoltandolo vediamo che tutto quello che dice valorizza la storia.

Ricordo che quando è stato al paese natale di Giovanni Paolo I io sono stato a Venezia e la sera sono andato a mangiare a un ristorante. Il proprietario, saputo che venivo dalla Polonia, è venuto con la moglie piangendo e mi ha detto che solo il Papa è capace di valorizzarci. Ricordo che il papa disse: “Non è vero che il popolo italiano non è cattolico, è profondamente cristiano” e questo è il fondamento di tutta l’educazione. Il Padre valorizzando il figlio aiuta questo figlio a crescere, così lo stesso quando viviamo nella comunità più grande che si chiama mondo, paese, ecc.

Valorizzando altro, specialmente oggi che le nostre storie sono cancellate, perché la vita è troppo fredda o sistemi le cancellano; quando l’uomo è strumento della produzione o del sistema, quando l’uomo è soltanto un numero della burocrazia totalitaria, è importante valorizzare l’uomo. Questa è una domanda dei nostri tempi.

Mi sembra, quando leggo e quando ascolto le parole del Papa, che lui vuole proprio valorizzare l’uomo e valorizzandolo vuole aiutare a capire che il suo fondamento è Cristo, soprattutto sapendo che Giovanni Paolo II viene da una esperienza e da un paese in cui la cultura ufficiale diceva che Cristo è un “oppio” per il popolo e dove si diceva che solo senza Cristo e senza religione si può costruire un mondo migliore senza persecuzione e senza ingiustizia, dove il popolo sarà felice e libero. Questo secondo la propaganda.

Anche qui da noi attraverso il consumismo e attraverso le parole, stimolate dal sistema ufficiale, si dice che Cristo non dà niente. Tante volte pensiamo che Cristo non è importante e sono più importanti i soldi, la casa, eventualmente la macchina e per questo viviamo una crisi.

Anche quando si leggono i primi libri e le poesie del Papa il valore dell’uomo è un punto principale ed è questo che egli vuole comunicare attraverso tutti i discorsi e i gesti, anche più piccoli; anche quando, come vuole fare quando sarà a Livorno, mangiare con gli operai a mensa, perché anche il più semplice operaio è un valore.

Per un uomo che è un artista, come lo è stato Giovanni Paolo II, i gesti sono molto importanti; sono più importanti e io sono sicuro che lui facendo ogni gesto vuole dire qualcosa a quelli che lo ascoltano; dire ancora più che con e parole perché oggi le parole sono tante e vengono diffuse attraverso i mass media, attraverso le ideologie, ascoltiamo centinaia di convegni o conferenze… E poi la vita passa e scivola via come prima.

Con i suoi gesti il Papa vuole dirci che l’uomo è un valore non per quello che produce o per il posto che occupa nel sistema ma perché è creato da Dio e salvato per Cristo.

Giovanni Paolo IIL’uomo ha bisogno di un centro e ad un mondo senza centro il Papa ricorda che il centro della storia, dell’uomo e del mondo si trova in Cristo. Penso questo sia importante perché se oggi viviamo una crisi è per la mancanza di un centro nella vita.

Capisco meglio questo se, qui in Italia, guardo l’arte medievale. Ieri sono stato a Palermo e guardavo le chiese e ho capito che questo popolo aveva una cultura, aveva un centro che lo aiutava a creare quelle cose. Oggi no; oggi ti dicono che ci sono tanti centri: la produzione, il sistema…Tanti “centri” che vogliono “acquistarci”.

In altre parole il Papa non accetta di dialogare con il mondo sul tema dell’uomo, su quella piattaforma di dialogo che il mondo vuole imporre a tutti. Contrariamente a quanto fa il mondo Giovanni Paolo II cerca la definizione dell’uomo non là dove si discute se l’uomo deve essere definito da questo o da quell’oggetto, magari più raffinato, ma nella sfera del principio: Archè, come centro che viene dalla filosofia greca.

Il Papa vuole pensare all’uomo così come esso è pensato nell’atto stesso in cui viene creato da Dio; tutta la sua antropologia è orientata a Cristo Redentore. Tutte le tre encicliche come sappiamo sono dedicate all’uomo e fate attenzione a come a come le filosofie dal XIX al nostro secolo e tutti i sistemi hanno declinato in ogni modo il concetto di uomo e come nonostante ciò lo hanno tradito perché l’uomo senza Cristo non è un valore, poiché se non c’è un valore più grande devo guardare ad altro. Solo se c’è questo valore più grande che si chiama Cristo, che si chiama Dio, allora quello “altro” è un valore per me e non soltanto uno strumento per realizzare i miei progetti.

E’ proprio questo che le filosofie e le ideologie del nostro secolo, che hanno declinato l’uomo lo hanno tradito, perché non hanno fondato sui valori metafisici senza i quali non si può capire l’uomo. Proprio per questo le encicliche di Giovanni Paolo II sono dedicate all’uomo nel suo rapportarsi a Dio, il quale in Cristo Salvatore si è rivelato all’uomo bon come giustizia ma come misericordia. Grazie all’incarnazione l’essere umano è stato elevato ad una dignità che lo trascende; questa dignità rappresenta la trascendenza dell’uomo e noi la chiamiamo umanità, cultura.

In quanto trascendenza l’umanità non potrà essere raggiunta senza la Grazia, la quale è potenza d’amore, ossia la misericordia del Padre incarnata nel Figlio. D’altro canto però l’umanità, anche come trascendenza, esige dall’uomo un lavoro. Al lavoro, che è collaborazione con la Grazia di Dio, si accompagna ed è essenziale un atteggiamento di stupore difronte al valore ed alla dignità della persona umana. Il valore e la dignità dell’uomo non stanno nel lavoro in sé ma stanno piuttosto nella Grazia.

Questo stupore difronte al valore della dignità dell’uomo, e mi sia qui permesso aggiungere qualcosa alla parola di Giovanni Paolo II, è insito nel lavoro umano: si chiama Vangelo, cioè buona novella; si chiama anche cristianesimo. I sistemi hanno voluto creare la felicità per l’uomo senza cristianesimo e la stessa democrazia occidentale tante volte vuole creare la felicità senza questo valore e così si creano crisi e non l’uomo nuovo.

Un primo principio di tutto il pensiero di Giovanni Paolo II è che noi uomini attraverso il battesimo riceviamo la vita nuova ma questa nuova vita deve cambiare l’uomo e San Paolo tante volte sottolinea questo.

GPIILa caratteristica principale dell’uomo nuovo è che nella sua coscienza scompare il desiderio, che viene soddisfatto dall’essere e non dal possedere. E’ la distinzione che Marcel, filosofo francese, faceva. Bisogna infatti sapere che l’esistenzialismo francese era molto visino al pensiero filosofico di Giovanni Paolo II il cui percorso filosofico è stata il seguente: Tomismo, S. Agostino e scuola mistica spagnola, esistenzialismo e fenomenologia antropologica dove per l’uomo l’essere è più importante e forse è per questo che il Papa quando sarà a Solvay vorrà mangiare con gli operai che forse non sempre hanno tante cose ma che sono valore, motore di progresso.

Bisogna capire che il valore dell’uomo viene da cosa egli è e non da cosa possiede e ogni riduzione della persona, non importa da quale parte o sistema viene, riduce la cultura, in cui l’uomo è il fatto primario, fondamentale.

Giovanni Paolo II all’Unesco ha detto che nella civiltà l’uomo e la nazione vivono nella cultura. Non so per voi italiani ma per i polacchi questo è molto importante perché per secoli non abbiamo avuto libertà e quello che abbiamo sempre difeso è la nostra cultura, perché, dicevamo, finché avremo la nostra cultura e identità il nostro popolo esisterà e avremo la libertà. Io penso sia fondamentale che finché l’uomo e la nazione vivranno la loro cultura non saranno cancellati. Grazie alla cultura l’uomo e la nazione conservano la propria soggettività e sempre nella cultura si esprime la sovranità fondamentale della società la quale permette di superare le sconfitte e i crolli.

Nella cultura dunque si rivela la trascendenza della persona, contemporaneamente però nasce dal lavoro e proprio per questo Giovanni Paolo II ha dedicato la sua ultima enciclica al lavoro.

Ma l’uomo può rimanere difronte a Dio ma anche difronte agli idoli ed è questa per lui la minaccia fondamentale.

La nostra civilizzazione ha tolto dalla nostra vita sociale Dio ma nello stesso tempo ci ha dato tanti idoli: Lenin, il marxismo, comunismo, socialismo reale, eurocomunismo, ricchezza, potere… e di questi idoli ne facciamo una religione. La mattina non recitiamo il Pater Noster ma recitiamo tante preghiere ai nostri idoli, anche se non con le parole: nel mondo comunista si deve firmare certi documenti, ci si deve inginocchiare difronte alla nomenclatura – cioè gli elementi più importanti del sistema -, ci si deve “confessare” per aver pensato in maniera diversa da quella ufficiale. Qui in Occidente la mattina si fanno ore di meditazione facendo pulizia della nostra automobile, ecc

Così, quando abbiamo degli idoli, la verità può diventare una sua imitazione; così la domanda sull’uomo è contemporaneamente domanda sul suo Dio e dalla risposta a questa domanda, che per così dire ha due significati, dipende la difesa dell’uomo e dei suoi diritti.

L’uomo degli idoli non conosce la vittoria e neppure la comprende; egli conosce solo il successo riportato nella lotta con gli uomini che hanno un’altra identità.

Per me è molto chiaro: soltanto con Dio si può vincere anche se c’è la guerra, anche se si vive nei campi di internamento. La vittoria è proprio quando si vive nella verità, con gli idoli non si può mai avere la vittoria ma il successo, che però presto passa. Si può avere successo perché si possiedono molte cose ma vengono i ladri che si prendono tutto e così il successo non c’è più.

Il Papa vuole dire: quale uomo, anche se non crede in Dio, vuole perdere la vita? Chi non vuole la vittoria? Tutti vogliono vivere con senso la nostra vita ma noi non siamo capaci di capire che possiamo farlo solo con Dio. Quando si analizza con un certo atteggiamento la nostra storia questo si capisce e le encicliche cercano di risvegliare l’uomo che è nell’uomo cercando di provocarlo ad una analisi di sé stesso affinchè possa uscire dalla caverna, dalla “provetta” e inoltrarsi nello spazio della luce, della vertità, della libertà.

Tutte le encicliche si rivolgono all’umanità dell’uomo e così lo orientano a Cristo redentore. Già la prima frase della Remtor hominis dice: “Il redentore dell’uomo”, il che ha scandalizzato tanti teologi. Gesù Cristo è il centro dell’uomo e della storia, spalanca le porte del piccolo mondo della nostra civiltà, la quale pensa di essere più importante; le apre senza paura e coraggiosamente, riportando la speranza della verità di Cristo così come il Papa chiese a tutti di fare nella omelia pronunciata il giorno della sua successione alla cattedra di Pietro.

Il centro è sempre una trascendenza, il rapporto e ciò che organizza non può identificarsi con uno degli elementi dispersi che attendono di venire orientati; il centro deve essere altro da loro; già in sé stesso deve essere ordine – cosmos – e questo riporta a Cristum Redentorem.

Con l’enciclica Dives misericordia il Papa dice che non si può tutto sulla giustizia, ci deve essere la Grazia, che si chiama Misericordia e questo lo ha esposto nei suoi viaggi. Se Dio fosse soltanto giustizia io penso che ciascuno di noi sarebbe all’inferno, quello di Dante; ma con la misericordia possiamo capire tante cosee anche costruire un mondo migliore.

Secondo la giustizia qualche volta bisogna fare la rivoluzione, perché quelli che posseggono non capiscono niente, perché quelli che hanno il potere creano campi di internamento e di concentramento… ma quando hai a cuore la misericordia allora puoi vivere anche dentro questi sistemi senza violenza. Anche il tuo lavoro pesante può avere valore. Io penso la Dives misericordia sia una importante enciclica e una chiave per capire anche le altre due.

Bisogna arricchire il nostro concetto di giustizia col concetto di misericordia, che riesce a cambiare le relazioni tra gli uomini. L’uomo come centro, l’uomo come valore può dialogare col mondo attraverso il lavoro; se Papa Giovanni Paolo II ha consacrato la sua ultima enciclica al lavoro è perché oggi il lavoro è malato, non importa in quale sistema. Oggi lavoriamo per fare soldi, non per creare o diventare più uomini. Il lavoro è pesante perché non c’è misericordia, perché non si vede il senso e il centro del lavoro, ma una civiltà di lavoro senza grazia a misericordia subisce uno shock, per questo occorre dialogare col mondo attraverso il prodotto della sua creatività, per comprendere il quale occorre avere misericordia, cioè scoprire il valore di Altri, senza pregiudizi.

Sperimentando la misericordia sia da parte dell’altro uomo sia da parte di Dio l’uomo stesso diventa capace di dimostrala a sua volta e in tal modo si rende prossimo all’altro e perfino a Dio stesso. Sperimentando la misericordia l’uomo diventa giusto. Il fatto poi di essere “prossimo” giustifica il suo esistere così come fu giustificato l’esistere del buon samaritano.

Penso che, ancora, la cosa importante di tutto il messaggio che Giovanni Paolo II vuole offrirci e di tutta la speranza che venerdì prossimo vuole portare qui a Livorno è sottolineare che l’uomo, che ha ricevuto attraverso il battesimo una vita nuova, che poi trasforma con Cristo, si può realizzare vivendo nella comunità e la prima comunità è la famiglia. Se oggi c’è la crisi delle vocazioni e la crisi della cultura è perché la famiglia è in crisi, è distrutta.

Ricordo, nella storia della Polonia, quando siamo stati divisi nel XIX. Dopo la terza resistenza quasi tutti gli uomini in grado di lavorare furono deportati in Siberia e in Polonia rimasero solo donne e anziani e tutta la tradizione, la cultura, la fede è arrivata a noi per mezzi di queste donne e delle famiglie. Il papa ha scritto una lettera sulla famiglia e ha creato un istituto di ricerca proprio per sottolineare l’importanza della famiglia.

L’uomo cresce e crea la sua capacità dentro una comunità, dentro la famiglia. In Polonia ad esempio si vuole distruggere metodicamente la famiglia. Ad esempio l’uomo e la donna devono lavorare e se l’uomo lavora la mattina la donna lavora la sera, la scuola dura dodici ore, e così via e tutto questo perché il sistema sa benissimo che la famiglia può comunicare valori esterni e quindi per educare secondo il sistema occorre distruggerla.

Se qui in Occidente c’è la droga, se i ragazzi non sanno cosa fare e stanno in strada è perché non hanno un luogo in cui possono vivere: la mamma non è a casa e quando c’è è stanca e guarda la televisione… Se si vuole rinnovare la società e si vuole il bene per il futuro dell’uomo occorre rinnovare la famiglia; ma l’uomo deve crescere anche nella comunità più ampia e l’uomo nuovo deve creare comunità in cui vivere: movimenti parrocchiali o quant’altro. Quando l’uomo può vivere dentro queste comunità allora può creare nuova cultura, cioè nuovi modelli di vita rispondendo ai desideri e alle domande del mondo, perché ogni tempo porta nuove domande e nuovi bisogni.

Penso che volendo leggere quest’uomo chiamato Giovanni Paolo II, occorre capire che annuncia il suo messaggio in una nuova maniera. Fino ad oggi il nostro modo di comunicare era sillogistico, lineare ma il mondo del mass media ha creato una nuova mentalità, che possiamo chiamare mosaica. Cerco di spiegare questo nuovo modo di comunicare – che è anche quello del Papa – riferendomi alla prima enciclica Redemtor hominis dove il Papa fa una prima affermazione: Cristo è centro del mondo e nostro redentor; poi fa tanti piccoli esempi per dare questo bel quadro. Come un pittore che inizia dal centro della tela e poi lascia piccole cose e alla fine tutto il lavoro diventa un quadro bellissimo che comunica. Il linguaggio della televisione è questo e anche il linguaggio dei giovani è questo.

Se oggi c’è crisi nella comunicazione forse è anche per il fatto che il modo di comunicare del mondo più vecchio è ancora quello lineare, alfabetico, mentre quello di oggi è mosaico. Però è pericoloso comunicare solo analogicamente, a mosaico, perché questo può distruggere la logica e per questo il Papa usa ancora la logica lineare, attorno alla quale fa un mosaico, ovvero colpisce con la prima frase poi si sofferma si piccole cose e quando si riflette su tutto diventa un quadro completo. Forse è per questo che è così ascoltato dalla gente, cosa che colpisce tanti teologi, anche se la gente magari non capisce fin nel profondo e ciò perché siamo stati plasmati con questo modo di comunicare avendo vissuto nell’epoca dei mass media.

Vorrei comunque sottolineare che per il Santo Padre sono importanti i gesti che fa. Ricordo una discussione in Vaticano dopo il 13 maggio, in cui lo si invitava ad essere più prudente e non andare troppo in mezzo alla folla. Il Papa rispose che a lui la Madonna lo guardava sempre e aggiunse che la gente, magari da tanto tempo in attesa, è più importante e che i suoi viaggi sono per loro. Anche quando gli è stato chiesto perché avesse scelto il Brasile la risposta del Papa è stata: “Anche con queste iniziative vorrei dire qualcosa”.

Se il Papa si è recato due volte in Africa è per ricordare che là è il futuro della Chiesa, se ha scelto come suo segretario un nero è per dire che quella Chiesa ha oggi tanto da dire a noi; se ha mandato come suo rappresentante all’Onu un africano non è senza senso; se tante volte sottolinea – anche quando ha parlato all’Unesco – l’importanza della cultura europea è perché oggi l’Europa è malata, perché è divisa. L’Europa può ancora dire qualcosa come ha fatto nella storia passata se ritrova e torna alle sue radici e alla sua identità. Ma la nostra identità è Cristo; allora il Papa ricordando questo all’Unesco voleva il bene per noi. Questa è l’unica strada per guarire noi stessi e la nostra civiltà.

Se ora c’è un pericolo di africanismo o di arabismo è perché vogliamo neocolonizzare attraverso influssi culturali, ma occorre valorizzare l’identità dei diversi popoli. Il Papa all’Unesco ha detto che oggi è importante che nella Chies, nella cultura della Chiesa europea, siano oggi arrivati i popoli slavi con la loro esperienza. Quando si valorizza l’altro non si colonizza. Valorizzare l’altro è una strada per costruire il mondo migliore perché è un altro valore: Cristo è il redentore.

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jan-chrapek(*) Jan Chrapek è nato il 18 luglio 1948 a Josephine (ora Skolankowska Wola) in Polonia. Nel 1963 è entrato nel noviziato della Congregazione di S. Michael (michelite) studiando nel seminario minore di Piastowe. Il 26 Agosto 1969 pronuncia voti perpetui. Nel periodo 1967-1969 ha lavorato come educatore presso il Dipartimento di esigenze particolari per i ragazzi a Struga nei pressi di Varsavia, allo stesso tempo, ha studiato in contumacia presso l’Istituto Nazionale di Educazione Speciale a Varsavia e ha partecipato a corsi condotti cinema presso l’Università di Varsavia. Negli anni 1969-1975 ha studiato filosofia e teologia presso il Seminario Maggiore dei Sacerdoti micheliti a Cracovia. Dal 1971, ha ampliato l’educazione nel campo della sociologia della religione problemi e pastorali, gli studi presso la Pontificia Facoltà di Teologia a Cracovia. Ordinato sacerdote il 3 maggio 1975 ha continuato i suoi studi presso l’Istituto di Teologia Pastorale Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica di Lublino Dove ha anche conseguito un master in Teologia Pastorale. Nel 1980-1981, stava studiando a Lovanio, dove ha preparato la sua tesi sulle tecnologie della comunicazione e della cultura, quando è stato chiamato come ricercatore presso l’Istituto Internazionale per lo Studio della Cultura e della Comunicazione a Londra. Dal 1982 è rettore del Pontificio Santuario di Castel Sant’Elia nei pressi di Roma.