ItaliaOggi Numero 260 del 2 novembre 2016
Anzichè risolvere i problemi, li ha profondamente aggravati. Questo è il drammatico bilancio
di Domenico Cacopardo
La Siria, per decenni, è stata governata dalla dittatura socialista (espressione del partito Ba’th), della famiglia alawuita Al-Asad, prima con Hafiz, generale dell’aviazione, poi, alla sua morte, dal figlio Bashar, un medico oculista, educato in Gran Bretagna. In realtà, era stato destinato alla presidenza un altro figlio di Hafiz, Basil, già impegnato nell’attività pubblica con l’incarico di responsabile dell’anticorruzione siriana.
Tuttavia, in un discusso incidente d’auto, Basil incontrò la morte, talché, alla scomparsa (naturale) del padre, nel 2000, Bashar ne assunse il ruolo.
Nel dopo-Seconda guerra mondiale, la Siria, alleata dell’Iran, è stata la Prussia del Medio-Oriente, occupando il Libano e utilizzando le proprie forze armate (le migliori dell’area) in funzione di deterrenza nei confronti di Israele e dei nemici arabi. La lunga presenza siriana in Libano, consolidò la posizione degli sciiti e della loro milizia, gli hezbollah, e determinò quella pace forzosa, punteggiata da attentati, che i corpi di spedizione alleati (compreso quello italiano del generale Angioni) non riuscirono mai ad assicurare.
In politica interna, a parte la sistematica eliminazione degli oppositori, il regime ha assicurato la pacifica convivenza delle varie etnie, delle religioni, compresa la cristiana romana e l’ortodossa, un egregio livello di istruzione (gli ingegneri siriani ottengono quotidiani riconoscimenti in Germania), e un sistema di previdenza e sanitario di stampo occidentale. A Damasco, il liceo dei gesuiti è stato per molto tempo la scuola della futura classe dirigente, islamica e non.
In questo contesto, Stati Uniti e Francia aprono il problema della fine della dittatura, dell’estromissione di Bashar Al-Assad e dell’introduzione, con la forza delle armi, della democrazia. Questa decisione avventata e avventuristica ha fatto sì che sorgessero vari gruppi di insorti: gli amici di Al-Qaeda, gli amici della Francia, gli amici dell’America (e del Regno Unito) e l’Isis che, partita all’attacco in Iraq, ha trovato terreno fertile in Siria. Un ruolo a parte, anche qui, se lo sono ritagliati i curdi, che combattevano e combattono per la propria indipendenza dall’Iraq, dalla Siria e, soprattutto, dalla Turchia.
Gli Stati Uniti, che, per i rapporti positivi con i curdi, erano stati privati dai turchi di una loro base aerea, di importanza strategica (anche in funzione anti-russa), riescono a tornare in possesso della stessa (Incirlik) al prezzo di un non-ufficiale via libera agli attacchi ai curdi. Perciò nello schieramento anti Al-Assad diverse formazioni si combattono tra di loro, anche se molte di esse (compresi gli amici di Al-Qaeda) si giovano dei rifornimenti anglo-franco-americani. Ancora in questi giorni, le forze curde impegnate allo spasimo nella riconquista di Mosul, vengono attaccate dall’aria e da terra da forze armate turche: una specie di rito sacrificale a Erdogan, il neosultano che domina col terrore i resti che ciò che fu l’Impero ottomano. Il territorio controllato dal governo legittimo si riduce sempre di più e finisce per rappresentare un 40% (variabile) del totale.
Ma il fronte favorevole ad Al-Assad può contare, oltre che sui lealisti delle forze armate regolari, sull’alleato Iran, che è presente con agguerrite formazioni di hezbollah, e su una simbolica presenza russa, ridotta alla sola base navale di Tartus. Il complicarsi degli scenari ucraini (una specie di caso Cuba al contrario) spinge Putin a riprendere l’iniziativa e a schierare direttamente le proprie forze armate (cosa che gli avversari non hanno fatto, utilizzando formazioni locali e truppe speciali). Ciò permette al governo legittimo di riprendere l’iniziativa, di riconquistare vasta parte del territorio siriano (comprese aree cristiane), fino allo stallo attuale, nel quale nessuna delle parti in causa può –per ragioni politiche- prevalere.
Anzi, solo Putin può determinare la sconfitta definitiva degli insorti: e non ci sono motivi per non ritenere che l’operazione sarà portata a conclusione. L’unica remora è rappresentata proprio da Obama: non per prestigio e forza di dissuasione, ma perché (con il suo incredibile – per modestia politica e intellettuale – segretario di Stato Kerry) maldestro e perciò pericoloso a sé e agli altri.
Con un simile bel risultato si chiude l’esperienza di Obama in questa delicata zona. Affronteremo presto il caso Libia.