Un membro autorevole della commissione che preparò la discussa enciclica svela nuovi particolari della vicenda. E smonta un falso
di Sandro Magister
“Teologia” è la dotta rivista della Facoltà teologica di Milano e dell’Italia settentrionale. È per pochi e sceltissimi lettori. Ma il suo ultimo numero, in data marzo 2003, alle pagine 72-78, ospita un saggio che si distacca da tutti gli altri. E lo rimarca fin dalle prime righe: “Questa non è una nota di teologia. È in primo luogo un resoconto di esperienze vissute”. Il titolo è “Discussione sulla regolazione della fertilità: esperienze personali e riflessioni”.
L’autore è Bernardo Colombo (nella foto), 84 anni, professore emerito di demografia all’università di Padova, fratello di Carlo Colombo, 1909-1991, vescovo e teologo di fiducia di Paolo VI negli anni del Concilio Vaticano II.
Come il fratello, anche Bernardo Colombo è stato “perito” conciliare. Prese parte all’elaborazione della costituzione “Gaudium et Spes”. Ma soprattutto lavorò intensamente nella Commissione Pontificia per lo studio della Popolazione, della Famiglia e della Natalità, in sigla Cppfn: la commissione di cui Paolo VI si avvalse per preparare l’enciclica “Humanae Vitae” sulla regolazione delle nascite, pubblicata nel 1968.
L’”Humanae Vitae”, si sa, fu subito oggetto di contestazioni e rifiuti. Il suo “no” alla pillola contraccettiva fu contrapposto al “sì” pronunciato a maggioranza dai membri della commissione preparatoria. Il parere della commissione doveva restare segreto, ma nell’aprile del 1967 un suo documento favorevole alla pillola uscì contemporaneamente in Francia su “Le Monde”, in Gran Bretagna su “The Tablet” e negli Stati Uniti sul “National Catholic Reporter”.
Si scrisse che nella commissione i favorevoli erano 70 e i contrari solo 4. Ebbene, nel suo resoconto dei fatti sull’ultimo numero di “Teologia”, Bernardo Colombo non esita a liquidare questo verdetto come “un falso sparato ad uso dei criticoni e dei beoni: non di rado le stesse persone”.
Ma andiamo per ordine. Colombo premette che manca tutt’ora una attendibile ricostruzione della vicenda. Racconta del crescente interesse dei vertici della Chiesa alla questione della natalità, a partire dai primi anni Cinquanta. Riferisce del suo apporto alla preparazione e allo svolgimento del Concilio. Dà conto della creazione della Cppfn. Cita i teologi moralisti che più ne hanno segnato i lavori: il domenicano Henri de Riedmatten, segretario della commissione, il gesuita Stanislas de Lestapis, il redentorista Bernhard Häring, il canonico Pierre de Locht.
La commissione inizia a lavorare quando il Concilio è ancora in corso. E a questo proposito Colombo cita un episodio relativo alla stesura della “Gaudium et Spes”. Da due teologi incaricati di riordinare un paragrafo relativo al controllo delle nascite sentì dire: “Vi abbiamo inserito alcune paroline che cambiano le cose e i Padri non se ne accorgeranno neppure”. Colombo commenta: “Sentii questa dichiarazione come un pugno nello stomaco. Abituato al rigore della ricerca scientifica, giudicai intellettualmente disonesto quel modo di fare”.
In commissione si votava con voto individuale e palese. Della prima votazione sulla liceità della pillola, avvenuta nel giugno del 1964, Colombo riferisce: “Avevo annotato, per ciascuno dei presenti, la espressione e la motivazione del voto. Ne ricavo un quadro con sfumature che vanno al di là di quanto riportato nel rapporto [del segretario della commissione]. Una netta maggioranza sia fra i teologi che fra i laici condivideva un giudizio di illiceità. Ma sono rilevabili posizioni che si potrebbero configurare come un ‘placet iuxta modum’, o anche – se si vuole – come un ‘non placet iuxta modum’”.
La commissione fu allargata a più riprese. Si lavorava per gruppi: teologi, un terzo del totale; demografi, sociologi ed economisti; medici e psicologi. Ma la presentazione delle proposte al papa era demandata a un gruppo di cardinali e vescovi, con presidente il cardinale Ottaviani e vicepresidenti i cardinali Heenan e Döpfner.
Gli esperti, una quarantina, si riunirono l’ultima volta in sessione plenaria nel giugno del 1966. Due teologi illustrarono rispettivamente le posizioni della minoranza, contraria a ogni mutamento della dottrina, e della maggioranza, favorevole. Poi si passò alla discussione. Scrive Colombo: “Vidi, nei riformatori, difficoltà nel definire praticamente i criteri oggettivi [su cui fondare la scelta]. Quando sentii un eminente teologo qualificare come tali l’efficacia, o il costo, ecc., di un metodo contraccettivo, mi cascarono le braccia. Né mi si rialzarono quando un altro aggiunse la mutua intesa fra i coniugi, ignorata dal primo. Ci mancherebbe altro”.
Al momento del voto – continua Colombo – “ho registrato, fra una scelta largamente maggioritaria e una limitata minoritaria, che poco meno di una decina dei presenti avevano assunto un orientamento, direi, intermedio. Registrai anche nella memoria, con sorpresa, che mezza giornata dopo due dei presenti che avevano votato con la maggioranza, un teologo e un laico, mi confidarono separatamente delle riserve”.
“Molto pochi” – scrive ancora Colombo – furono i componenti della commissione che nel corso dei lavori “mutarono verso le posizioni della maggioranza il loro orientamento iniziale. In generale mi è parso che gran parte dei teologi era entrata con posizioni precostituite. […] Sempre fra i teologi, ma anche fra i laici, v’erano alcuni, pochissimi, con durature esperienze dirette di contatti con coppie, capaci di rendersi conto dei loro problemi. I più partivano da posizioni maturate in astratto”.
Quando nell’aprile del 1967 uscì sulla stampa la cosiddetta “relazione della maggioranza”, Colombo ricorda d’essersi sentito “intimamente offeso e disgustato”. Quel testo era solo “uno di dodici rapporti presentati al Santo Padre”. Quanto ai responsabili della fuga:
“Si sa da chi è partita l’iniziativa, nell’ambito del Centro di Documentazione olandese. Il canonico de Locht scrive di campagna bene orchestrata. No, caro canonico, io vi vedo una campagna orchestrata con malizia: non mi risulta che questa rientri tra le virtù cristiane. […] Intimamente sentii che quella gente, in fatto di comportamenti morali, non aveva nulla da insegnarmi. […] A me venne fatto di confrontare la serietà di quelle persone con quella dei componenti del comitato centrale del Partito comunista italiano”: famosi per tenere segrete cose di cui erano a conoscenza “ben più di cento persone”.
Colombo conclude il suo racconto con alcune “riflessioni sull’attualità”:
“La dinamica della popolazione mondiale ha visto calare il ritmo d’incremento. Notando questo, taluni sono usciti a dire che ‘la Chiesa aveva ragione’: in sostanza, i problemi demografici si risolvono con il tempo e non pongono ostacoli al rispetto delle linee di comportamento giudicate accettabili dalla Chiesa. Questi sono giudizi insensati. Non tengono conto della circostanza che quel rallentamento non scende come manna dal cielo, ma in grandissima parte è causato dall’estendersi anche in paesi in via di sviluppo di pratiche contraccettive che la Chiesa certo non apoproverebbe”.
Colombo sottolinea l’importanza di un discorso di Giovanni Paolo II del 22 novembre 1992 alla Pontificia Accademia delle Scienze, “nel quale era la prima volta che un pontefice parlava esplicitamente di contenimento delle nascite”. Affermava il papa: “Tocca ai pubblici poteri emanare norme atte a conciliare il contenimento delle nascite con il rispetto delle libere e personali assunzioni di responsabilità”.
Contenimento delle nascite e libertà. È questo il binomio che sintetizza la linea della Chiesa. Il contenimento delle nascite – scrive Colombo – è “conseguenza inevitabile del dominio che l’uomo ha acquisito, e che presumibilmente ancor più estenderà, sulla malattia e sulla morte. Un percorso diverso porterebbe nel giro di pochi secoli a risultati intollerabili, ai limiti dell’assurdo. […] In sostanza, l’uomo è purtroppo costretto a rinunciare a gran parte della sua capacità di procreare”.
Quanto alla libertà, “il Santo Padre parlava anche di ‘esercizio della maternità e della paternità responsabile’. […] Ma perché ci sia responsabilità, occorre che sia aperta una libertà d’azione. […] È di assoluta rilevanza, in particolare, l’impegno dello Stato a salvaguardare con equità per tutti un ragionevole esercizio di questo diritto”.