COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
ALLA RICERCA DI UN’ETICA UNIVERSALE:
NUOVO SGUARDO SULLA LEGGE NATURALE
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Introduzione
I grandi problemi che si pongono agli esseri umani hanno ormai una dimensione internazionale, planetaria, poiché lo sviluppo delle tecniche di comunicazione favorisce una crescente interazione tra le persone, le società e le culture. Un avvenimento locale può avere una risonanza planetaria quasi immediata.
Emerge così la consapevolezza di una solidarietà globale, che trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano. Questa si traduce in una responsabilità planetaria. Così il problema dell’equilibrio ecologico, della protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima è divenuta una preoccupazione pressante, che interpella tutta l’umanità e la cui soluzione va ampiamente oltre gli ambiti nazionali.
Anche le minacce che il terrorismo, il crimine organizzato e le nuove forme di violenza e di oppressione fanno pesare sulle società hanno una dimensione planetaria. I rapidi sviluppi delle biotecnologie, che a volte minacciano la stessa identità dell’essere umano (manipolazioni genetiche, clonazioni…), reclamano urgentemente una riflessione etica e politica di ampiezza universale. In tale contesto, la ricerca di valori etici comuni conosce un ritorno di attualità.
2. Con la loro saggezza, la loro generosità e talvolta il loro eroismo, uomini e donne sono testimoni viventi di tali valori etici comuni. L’ammirazione che essi suscitano in noi è il segno di una prima acquisizione spontanea di valori morali. La riflessione dei cattedratici e degli scienziati sulle dimensioni culturali, politiche, economiche, morali e religiose della nostra esistenza sociale nutre tale determinazione sul bene comune dell’umanità.
Ci sono pure gli artisti che, con la manifestazione della bellezza, reagiscono contro la perdita di senso e rinnovano la speranza degli esseri umani. Anche uomini politici lavorano con energia e creatività per attuare programmi di rimozione della povertà e di protezione delle libertà fondamentali. Molto importante è inoltre la costante testimonianza dei rappresentanti delle religioni e delle tradizioni spirituali che vogliono vivere alla luce delle verità ultime e del bene assoluto.
Tutti contribuiscono, ciascuno a suo modo e in un reciproco scambio, a promuovere la pace, un ordine politico più giusto, il senso della comune responsabilità, un’equa ripartizione delle ricchezze, il rispetto dell’ambiente, la dignità della persona umana e i suoi diritti fondamentali. Tuttavia questi sforzi possono avere successo soltanto se le buone intenzioni si fondano su un valido accordo di base circa i beni e i valori che rappresentano le aspirazioni più profonde dell’essere umano, a titolo individuale e comunitario. Soltanto il riconoscimento e la promozione di questi valori etici possono contribuire alla costruzione di un mondo più umano.
3. La ricerca di questo linguaggio etico comune riguarda tutti gli uomini. Per i cristiani, si accorda misteriosamente con l’opera del Verbo di Dio, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), e con l’opera dello Spirito Santo che fa nascere nei cuori «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22-23).
La comunità dei cristiani, che condivide «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» e «perciò si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (1), non può assolutamente sottrarsi a tale comune responsabilità.
Illuminati dal Vangelo, impegnati in un dialogo paziente e rispettoso con tutti gli uomini di buona volontà, i cristiani partecipano alla ricerca comune dei valori umani da promuovere: «Quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8).
Essi sanno che Gesù Cristo, «nostra pace» (Ef 2,14), che ha riconciliato tutti gli uomini con Dio per mezzo della croce, è il principio di unità più profondo verso il quale il genere umano è chiamato a convergere.
4. La ricerca di un linguaggio etico comune è inseparabile da un’esperienza di conversione, con la quale persone e comunità si allontanano dalle forze che cercano di imprigionare l’essere umano nell’indifferenza o lo spingono a innalzare muri contro l’altro o contro lo straniero.
Il cuore di pietra — freddo, inerte e indifferente alla sorte del prossimo e del genere umano — deve trasformarsi, sotto l’azione dello Spirito, in un cuore di carne (2), sensibile ai richiami della saggezza, alla compassione, al desiderio della pace e alla speranza per tutti. Questa conversione è la condizione di un vero dialogo.
5. Non mancano i tentativi contemporanei per definire un’etica universale. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la comunità delle nazioni, traendo le conseguenze delle strette complicità che il totalitarismo aveva mantenuto con il puro positivismo giuridico, ha definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) alcuni diritti inalienabili della persona umana che trascendono le leggi positive degli Stati e devono servire loro come riferimento e norma.
Tali diritti non sono semplicemente concessi dal legislatore: essi sono dichiarati, cioè la loro esistenza oggettiva, anteriore alla decisione del legislatore, è resa manifesta. Derivano infatti dal «riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana» (Preambolo).
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo costituisce uno dei più bei successi della storia moderna. Essa «rimane una delle espressioni più alte della coscienza umana nel nostro tempo» (3) e offre una solida base per la promozione di un mondo più giusto. Tuttavia i risultati non sono stati sempre all’altezza delle speranze.
Alcuni Paesi hanno contestato l’universalità di tali diritti, giudicati troppo occidentali, e questo spinge a cercare una loro formulazione più comprensiva. Inoltre, una certa propensione a moltiplicare i diritti dell’uomo, in funzione più dei desideri disordinati dell’individuo consumista o di rivendicazioni settoriali che non di esigenze oggettive del bene comune dell’umanità, ha contribuito non poco a svalutarli. Separata dal senso morale dei valori che trascendono gli interessi particolari, la moltiplicazione delle procedure e delle regolamentazioni giuridiche conduce soltanto a un affossamento, che in definitiva serve soltanto gli interessi dei più forti.
Soprattutto, si manifesta una tendenza a reinterpretare i diritti dell’uomo separandoli dalla dimensione etica e razionale, che costituisce il loro fondamento e il loro fine, a profitto di un puro legalismo utilitarista (4).
6. Per spiegare il fondamento etico dei diritti dell’uomo, alcuni hanno cercato di elaborare un’«etica mondiale» nell’ambito di un dialogo tra le culture e le religioni. L’«etica mondiale» indica l’insieme dei valori obbligatori fondamentali che da secoli formano il tesoro dell’esperienza umana. Essa si trova in tutte le grandi tradizioni religiose e filosofiche (5).
Tale progetto, degno di interesse, è espressione del bisogno attuale di un’etica che abbia validità universale e globale. Ma la ricerca puramente induttiva, sul modello parlamentare, di un consenso minimo già esistente può soddisfare le esigenze di fondare il diritto sull’assoluto? Inoltre, tale etica minima non conduce forse a relativizzare le esigenze etiche forti di ogni religione o sapienza particolare?
7. Da molti decenni la questione dei fondamenti etici del diritto e della politica è stata messa da parte in alcuni settori della cultura contemporanea. Con il pretesto che ogni pretesa di una verità oggettiva e universale sarebbe fonte di intolleranza e di violenza, e che soltanto il relativismo potrebbe salvaguardare il pluralismo dei valori e la democrazia, si fa l’apologia del positivismo giuridico che rifiuta di riferirsi a un criterio oggettivo, ontologico, di ciò che è giusto. In tale prospettiva, l’ultimo orizzonte del diritto e della norma morale è la legge in vigore, che è considerata giusta per definizione, poiché è espressione della volontà del legislatore.
Ma questo significa aprire la via all’arbitrio del potere, alla dittatura della maggioranza aritmetica e alla manipolazione ideologica, a detrimento del bene comune. «Nell’etica e nella filosofia attuale del diritto, i postulati del positivismo giuridico sono largamente presenti. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso soltanto un compromesso tra interessi diversi; si tenta di trasformare in diritti interessi o desideri privati che si oppongono ai doveri derivanti dalla responsabilità sociale» (6).
Ma il positivismo giuridico è notoriamente insufficiente, poiché il legislatore può agire legittimamente soltanto all’interno di determinati limiti che derivano dalla dignità della persona umana e al servizio dello sviluppo di ciò che è autenticamente umano. Ora, il legislatore non può abbandonare la determinazione di ciò che è umano a criteri estrinseci e superficiali, come farebbe, ad esempio, se legittimasse da sé tutto ciò che è realizzabile nell’ambito delle biotecnologie.
Insomma, deve agire in modo eticamente responsabile. La politica non può prescindere dall’etica né la legge civile e l’ordine giuridico possono prescindere da una legge morale superiore.
8. In tale contesto nel quale il riferimento a valori oggettivi assoluti universalmente riconosciuti è diventato problematico, alcuni, desiderosi di dare comunque una base razionale alle decisioni etiche comuni, raccomandano un’«etica della discussione» nella linea di una comprensione «dialogica» della morale.
L’etica della discussione consiste nell’usare, nel corso di un dibattito etico, soltanto le norme a cui tutti i partecipanti interessati, rinunciando a comportamenti «strategici» per imporre i propri punti di vista, possano dare il loro assenso.
Così si può determinare se una regola di condotta e di azione o un comportamento sono morali, poiché, lasciando da parte i condizionamenti culturali e storici, il principio di discussione offre una garanzia di universalità e di razionalità. L’etica della discussione si interessa soprattutto del metodo con cui, grazie al dibattito, i princìpi e le norme etiche possono essere messe alla prova e divenire obbligatori per tutti i partecipanti.
È essenzialmente un procedimento per saggiare il valore delle norme proposte, ma non può produrre nuovi contenuti sostanziali. L’etica della discussione è dunque un’etica puramente formale che non riguarda gli orientamenti morali di fondo. Corre anche il rischio di limitarsi a una ricerca di compromesso.
Certo, il dialogo e il dibattito sono sempre necessari per ottenere un accordo realizzabile sull’applicazione concreta delle norme morali in una data situazione, ma non potrebbero emarginare la coscienza morale. Un vero dibattito non sostituisce la convinzioni morali personali, ma le suppone e le arricchisce.
9. Consapevoli delle attuali poste in gioco della questione, in questo documento intendiamo invitare tutti coloro che si interrogano sui fondamenti ultimi dell’etica, come pure dell’ordine giuridico e politico, a considerare le risorse che contiene una presentazione rinnovata della dottrina della legge naturale.
Questa afferma in sostanza che le persone e le comunità umane sono capaci, alla luce della ragione, di riconoscere gli orientamenti fondamentali di un agire morale conforme alla natura stessa del soggetto umano e di esprimerlo in modo normativo sotto forma di precetti o di comandamenti. Tali precetti fondamentali, oggettivi e universali, sono chiamati a fondare e ad ispirare l’insieme delle determinazioni morali, giuridiche e politiche che regolano la vita degli uomini e delle società.
Essi ne costituiscono un’istanza critica permanente e assicurano la dignità della persona umana di fronte alla fluttuazione delle ideologie. Nel corso della sua storia, nell’elaborazione della propria tradizione etica, la comunità cristiana, guidata dallo Spirito di Gesù Cristo e in dialogo critico con le tradizioni di sapienza che ha incontrato, ha assunto, purificato e sviluppato tale insegnamento sulla legge naturale come norma etica fondamentale.
Ma il cristianesimo non ha il monopolio della legge naturale. Infatti essa, fondata sulla ragione comune a tutti gli esseri umani, è la base di collaborazione fra tutti gli uomini di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose.
10. È vero che l’espressione «legge naturale» è fonte di molti malintesi nel contesto attuale. A volte richiama semplicemente una sottomissione rassegnata e del tutto passiva alle leggi fisiche della natura, mentre l’essere umano, giustamente, cerca piuttosto di dominare e orientare questi determinismi per il suo bene.
A volte, presentata come un dato oggettivo che si imporrebbe dall’esterno alla coscienza personale, indipendentemente dal lavoro della ragione e della soggettività, è sospettata di introdurre una forma di eteronomia insopportabile alla dignità della persona umana libera.
Altre volte, nel corso della sua storia, la teologia cristiana ha giustificato troppo facilmente con la legge naturale posizioni antropologiche che, in seguito, sono apparse condizionate dal contesto storico e culturale. Ma una comprensione più profonda dei rapporti tra il soggetto morale, la natura e Dio come pure una migliore considerazione della storicità che riguarda le applicazioni concrete della legge naturale consentono di dissipare tali malintesi.
Oggi è importante anche proporre la dottrina tradizionale della legge naturale in termini che manifestino meglio la dimensione personale ed esistenziale della vita morale. Bisogna anche insistere maggiormente sul fatto che l’espressione delle esigenze della legge naturale è inseparabile dallo sforzo di tutta la comunità umana per superare le tendenze egoistiche e faziose e sviluppare un approccio globale con l’«ecologia dei valori», senza la quale la vita umana rischia di perdere la propria integrità e il proprio senso di responsabilità per il bene di tutti.
11. L’idea della legge morale naturale assume numerosi elementi comuni alle grandi sapienze religiose e filosofiche dell’umanità. Perciò il nostro documento, nel capitolo 1, inizia col ricordare tali «convergenze». Senza pretendere di essere esauriente, indica che queste grandi sapienze religiose e filosofiche sono testimoni dell’esistenza di un patrimonio morale largamente comune, che forma la base di ogni dialogo sulle questioni morali.
Ancor più, esse suggeriscono, in un modo o in un altro, che questo patrimonio esplicita un messaggio etico universale immanente alla natura delle cose e che gli uomini sono in grado di decifrare. Il documento ricorda poi alcuni punti di riferimento essenziali dello sviluppo storico dell’idea di legge naturale e cita alcune interpretazioni moderne che sono parzialmente all’origine delle difficoltà che i nostri contemporanei provano dinanzi a tale nozione.
Nel capitolo 2 («La percezione dei valori morali comuni»), il nostro documento descrive come, a partire dai dati più semplici dell’esperienza morale, la persona umana coglie immediatamente alcuni beni morali fondamentali e formula di conseguenza i precetti della legge naturale. Questi non costituiscono un codice completo di prescrizioni intangibili, ma un principio permanente e normativo di ispirazione al servizio della vita morale concreta della persona.
Il capitolo 3 («I fondamenti della legge naturale»), passando dall’esperienza comune alla teoria, approfondisce i fondamenti filosofici, metafisici e religiosi della legge naturale. Per rispondere ad alcune obiezioni contemporanee, precisa il ruolo della natura nell’agire personale e si interroga sulla possibilità per la natura di costituire una norma morale.
Il capitolo 4 («La legge naturale e la Città») esplicita il ruolo regolatore dei precetti della legge naturale nella vita politica. La dottrina della legge naturale possiede già coerenza e validità sul piano filosofico della ragione comune a tutti gli uomini, ma il capitolo 5 («Gesù Cristo, compimento della legge naturale») mostra che essa acquista il suo senso pieno all’interno della storia della salvezza: infatti Gesù Cristo, inviato dal Padre, è, con il suo Spirito, la pienezza di ogni legge.