Noi Famiglia & Vita (mensile di Avvenire) novembre 2016
Si moltiplicano gli attacchi a un diritto che non è solipsismo libertario, ma fondamento di realtà di cui il riconoscimento della vita, dal concepimento alla fine naturale, rappresenta la premessa ineludibile
di Alfredo Mantovano
Da anni si alimenta il link fra obiezione di coscienza e morte. Se eserciti l’obiezione non sei un difensore della vita, anzi sei un potenziale assassino. Non c’è bisogno di prove, si va per calunnia: la tragica vicenda di Valentina Milazzo, una giovane mamma, e dei gemelli dei quali era in attesa, all’Ospedale Cannizzaro di Catania è stata da subito trasformata da probabile ennesimo caso di malasanità a certo – se pure da subito smentito dai fatti – episodio di medico obiettore che nega le cure necessarie per salvarsi, e per questo uccide.
Non si tratta soltanto di manipolazione mediatica. I segnali preoccupanti di persecuzione degli obiettori lastricano le strade della giurisdizione e prima della pubblica amministrazione: è sufficiente ricordare il decreto firmato nel giugno del 2014 dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, sulla riorganizzazione dei servizi medici per la salute delle donne, nel quale si stabilisce che nei consultori familiari i medici non possono sottrarsi ai loro compiti di assistenza e di cura, e ciò preclude la presenza degli obiettori, e la conferma che queste disposizioni hanno avuto dal Tar Lazio, con la Sentenza depositata il 3 agosto 2016 che ha respinto il ricorso proposto dal MpV.
Se l’offensiva contro l’obiezione di coscienza – la “caccia all’obiettore”, come ha titolato Avvenire – si articola su piani differenti, benché collegati, la risposta deve essere seria, approfondita e decisa del passato.
Il 21 ottobre a Roma, nell’aula dei gruppi di Montecitorio, il Centro studi Livatino ha svolto un convegno sul tema, con l’obiettivo di far emergere: a) la dimensione europea e internazionale del conflitto sempre più frequente, in ordinamenti che pure si presentano come democratici, fra la legge dello Stato e la coscienza del singolo, b) l’incremento dei settori che interessati dal conflitto, e quindi non più solo quello del personale sanitario , ma anche – fra gli altri – dei funzionari pubblico e degli insegnanti, c) la preoccupazione per l’estensione qualitativa e quantitativa del fenomeno da parte di ambienti culturali non confessionali, d) il carattere di baluardo di civiltà, oltre che di libertà, che oggi l’odc rappresenta.
Il punto di partenza è la corretta identificazione della natura dell’obiezione di coscienza essa non ha niente a che vedere con la manifestazione di mere opinioni, e ancor di più col semplice legittimo dissenso che si può esprimere nei confronti della legge. La coscienza, insieme con la ragione, è ciò che distingue gli esseri umani dagli animali; risuona all’interno dell’uomo e giudica il suo operato: ingiunge all’individuo, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male; giudica anche le scelte concrete, approva quelle che sono buone e denuncia quelle cattive.
La coscienza morale è un giudizio della ragione: è ben distante dalla suggestione di un momento e chiama in causa la dignità della persona umana, che esige rettitudine. Essa – è questo il punto di radicale divergenza da ogni prospettiva anarcoide – richiama ad una legge non scritta dalla persona – e da nessun altro uomo – ma “scritta nel suo cuore” in modo vincolante.
Lo Stato mi intima “devi fare questa azione” e minaccia una sanzione se non obbedisco; la coscienza e la ragione mi dicono “non devi fare questa azione”, perché la “sanzione” è la perdita della mia personale dignità. Nell’obiezione di coscienza vi è la rivendicazione non già di un solipsismo libertario, ma di un fondamento alla realtà, della quale il riconoscimento della vita in ogni momento della esistenza e della famiglia come prima elementare società costituiscono fondamenti ineludibili.
Il punto di arrivo è coerente con quanto una sentenza del 1991 la Corte costituzionale italiana osservava a proposito dell’obiezione di coscienza: «La sfera intima della coscienza individuale deve esser considerata come il riflesso giuridico più profondo dell’idea universale della dignità della persona umana che circonda quei diritti, riflesso giuridico che, nelle sue determinazioni conformi a quell’idea essenziale, esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti, vale a dire una tutela proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essi riconosciuti nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana».
Alla luce di questa pronuncia, perfino quando – come è accaduto nella pessima legge sulle cosiddette unioni civili – il legislatore non ha previsto e regolato l’obiezione di coscienza, in tal caso del sindaco o del funzionario delegato a raccogliere la registrazione dell’unione, vale il diritto di dare obbedienza alla coscienza: è infatti del tutto coerente con la natura di diritto fondamentale dell’uomo riconoscere come esistente il diritto all’obiezione di coscienza pur nell’assenza di una legge regolatrice.
La battaglia culturale, giuridica e politica deve intensificarsi in questa direzione.