Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân Newsletter n.750
del 29 Novembre 2016
Testimonianze, cifre e cronache del dimenticato martirologio dei nostri giorni.
di Omar Ebrahime
Si è svolta in settimana a Roma, presso la sede della Stampa Estera, la presentazione del XIII Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo pubblicato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), l’organizzazione fondata nel 1947 a Kőnigstein (Germania) dal coraggioso religioso premostratense olandese, padre Werenfried van Straaten (1913-2003), che — almeno in campo cattolico — ormai da svariati decenni segue in assoluto più da vicino le violazioni e le discriminazioni verso le comunità religiose di minoranza a livello internazionale, continente per continente.
Del lavoro di informazione e sensibilizzazione che la fondazione svolge settimana dopo settimana il Rapporto — con cadenza biennale — offre una preziosa quanto inedita panoramica monitorando con l’ausilio di dati statistici e testimonianze locali di prima mano i Paesi maggiormente colpiti dalla persecuzione e spesso peraltro dimenticati dai principali grandi mezzi di comunicazione sociale, come se la negazione di un diritto umano fondamentale al giorno d’oggi non fosse già di per sé meritevole delle prime pagine.
Il terrore nordcoreano
L’ultima edizione, che copre un arco di tempo che va dal giugno 2014 al giugno 2016, presenta lo status quo della libertà religiosa in un totale di 196 Paesi, attribuendo il “triste primato” della persecuzione più tragica in assoluto alla Corea del Nord, uno Stato in condizioni di estrema povertà — dominato ancora dal regime comunista — dove, semplicemente, la religione non è contemplata in nessun modo, né pubblico (sono vietati gli incontri di preghiera) né privato (è vietato il possesso personale della Bibbia, per esempio), e per nessun gruppo (quale che sia), come se fosse un’attività sovversiva ingiustificabile.
In un certo senso, per le Autorità locali, che ancora credono convintamente al detto marxista della religione come “oppio dei popoli”, è realmente così e persino i pochissimi osservatori internazionali che, ora in un modo ora nell’altro, riescono — sotto rischi altissimi — a entrare nel Paese non hanno modo di avere nessun accesso all’anima credente della Corea sommersa, un Paese che pure intorno alla metà del secolo scorso presentava ancora una piccola comunità cattolica e di cui ora nessuno sa dire che fine abbia fatto (“ufficialmente” si sa solo che i religiosi vengono internati nei campi di lavoro forzato — che comprenderebbero tra i 100 mila e i 200 mila prigionieri — perché l’unico tipo di culto ammesso è quello verso i componenti della dinastia Kim al potere).
Sappiamo di qualche incredibile, raro episodio che i dissidenti sono riusciti a far arrivare all’attenzione degli osservatori: «possiamo raccontare l’episodio di un reverendo che, soltanto per aver esercitato la sua attività religiosa, è stata accusato di sovversione e quindi condannato, come dicevo, ai lavori forzati a vita. Possiamo anche raccontare la storia di una donna che, soltanto perché accusata di aver posto in circolazione delle Bibbie, è stata condanna a morte, e in Corea del Nord vige il reato di colpa per associazione e quindi tutti i suoi familiari sono stati condannati alla detenzione forzata», ma per il resto dell’inferno spaventoso del regime dittatoriale e ateo di Pyongyang nessuno sa letteralmente nulla.
Una persecuzione drammatica
Tuttavia, ovviamente, non c’è solo il dramma della Corea del Nord e — come ricorda spesso il Pontefice nei suoi interventi — la persecuzione anticristiana a livello mondiale tocca oggi cifre che ricordano e persino superano quelle dei primi secoli della Chiesa primitiva, quando — con il paganesimo vigente — non era lecito proclamarsi fedeli di Cristo pena la condanna a morte immediata, spesso perpetrata sui poveri martiri con supplizi atroci (e non occorre avere letto molti libri di storia per avere ancora nell’immaginario collettivo i veri e propri bagni di sangue della Roma di Nerone o di Domiziano).
In realtà, gli Stati in cui i credenti affrontano quotidianamente una situazione che non è esagerato qualificare come ordinariamente “drammatica” sono oltre 40 e — a parte l’isola asiatica — il resto delle situazioni di maggiore preoccupazione è rappresentato senz’altro dal mondo dell’islamismo radicale, dove i casi peggiori si registrano in Arabia Saudita, Pakistan, Iraq, Siria, Afghanistan, Somalia, Sudan e Nigeria. Paesi, cioè, dove il fondamentalismo militante non è solo teorico o politico, ma proprio armato e organizzato sul territorio con gruppi di estremisti convinti a vario titolo che il loro Stato vada islamizzato completamente, anche e soprattutto con la forza, eliminando brutalmente tutte quelle presenze “altre” (istituzionali, politiche e religiose) che dovessero opporsi al folle progetto totalitario.
Senza dimenticare che in alcuni di questi casi già ora il Governo al potere è di fatto connivente con i persecutori offrendo una sponda strategica alla diffusione del regime pratico di odio liberticida per non inimicarsi il consenso sociale delle numerose frange ideologizzate locali (emblematico da questo punto di vista resta il caso eclatante di Asia Bibi, in Pakistan, dove nemmeno la reiterata pressione internazionale è riuscita finora — e sono trascorsi cinque anni — a liberare la povera donna ingiustamente incarcerata, in attesa di un’ulteriore grado di giudizio e a rischio di pena capitale).
India: l’induismo a pagamento
Al di fuori del mondo islamico, poi, c’è ancora la complessa galassia cinese, con la Chiesa sotterranea di Pechino tuttora in parte in clandestinità (e dove negli ultimi anni sono state rimosse le croci da oltre duemila chiese), e l’India, dove pure abbiamo una specie di vera e propria “taglia” sulle conversioni all’induismo, una sorta di riconoscimento pubblico per chi porta nuovi fedeli alla religione nazionale. A sua volta, quest’ultima, oggetto di strumentalizzazioni politiche di vario genere, e non da oggi, come sanno bene da tempo le Suore Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta che si sono viste più volte attaccate per il loro apostolato materiale in favore dei più bisognosi ed esclusi dalla società.
Africa e Medioriente: luci e ombre
Se qualche piccolo segnale di speranza arriva da singole regioni dell’area maghrebina che fino a qualche tempo fa destavano preoccupazione, come l’Egitto (secondo il direttore Alessandro Monteduro, appare «positivo il fatto che una normativa approvata dal parlamento egiziano frapponga meno ostacoli alla realizzazione di luoghi di preghiera cristiani. Abbiamo considerato positivo anche che il generale al-Sisi decidesse — e lo ha fatto — di partecipare alla Messa di Natale dei copti ortodossi.
Abbiamo riscontrato dei minimi segnali che abbiamo voluto valorizzare proprio perché vogliamo anche dare una speranza»), molte altre aree del vicino Medioriente, come purtroppo noto, restano invece ancora largamente caratterizzate da conflitti e vessazioni di vario tipo, costringendo le antiche comunità natìe — in alcuni casi sorte con la primissima evangelizzazione realizzata dagli Apostoli, di cui leggiamo negli “Atti” — alla diaspora coatta.
Discriminazioni all’occidentale
D’altra parte, pure in Europa e in America la situazione — anche se non registra episodi cruenti — non è di certo soddisfacente, come dimostrano gli episodi recenti relativi alla rimozione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici o la crescente emarginazione culturale dei credenti, talora accompagnata dalla satira e dalla derisione mirata, dall’ambito dei mezzi di comunicazione sociale più diffusi: è per questo che a Roma il presidente internazionale di ACS, il cardinale Mauro Piacenza, ha richiesto che la libertà religiosa sia effettivamente “tutelata” in ogni ordinamento giuridico e in particolare dalle “moderne democrazie” che “non debbono fondarsi sul relativismo”, il quale finisce poi per diventare un’altra, ennesima ideologia dell’intolleranza ma sul “rispetto della libertà” che deve essere riscoperta nel foro pubblico e non solo privato perché una libertà che non conosce anche un’espressione sociale dei suoi contenuti identitari non è una vera libertà.
Sentimento religioso distorto?
Singolare invece, e al contempo degna di nota, la riflessione del giudice costituzionale ed ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, secondo cui per risolvere il problema del fondamentalismo religioso attuale bisogna affrontare prima la questione della laicizzazione estrema che lo alimenta, almeno in Occidente, giacché «alla radice del fondamentalismo c’è la laicizzazione estrema che intende sradicare la religione, e che genera una reazione identitaria; comprimere la religione determina una distorsione del sentimento religioso» e quindi — è un fatto osservabile dalle cronache quotidiane ai giorni nostri — «si possono fare guai anche con la “laïcité francese”, perché essa può favorire la reazione fondamentalista».
Insomma, il panorama contemporaneo delle minacce alla libertas Ecclesiae (considerata sia come Istituzione universale e gerarchica, dotata di una propria riconosciuta personalità anche giuridica, che come gruppo di credenti che agiscono responsabilmente in virtù del mandato missionario ricevuto nel loro Battesimo) è quantomai articolato e piuttosto complesso, dal momento che varia sensibilmente a seconda dei contesti geografici, politici e sociali insieme. Tuttavia, proprio per questo il lavoro del Rapporto dovrebbe essere conosciuto da ogni uomo di buona volontà realmente interessato al bene comune poiché — per citare le parole pronunciate in conclusione della presentazione romana dal presidente della sezione italiana, Alfredo Mantovano — «non si possono aiutare i nostri fratelli perseguitati se non si conosce la loro situazione».