Cattivi Maestri. Inchiesta sui nemici della verità

cattivi-maestri_coverTratto dal sito Totustuus.cc

Recensione di Francesco Natale

con un invito alla lettura

Gnocchi e Palmaro mettono a segno un altro centro perfetto con questo gustosissimo e originalissimo libro. Libro che si presenta come unacollatio di 30 schede, legate tra loro da un originale filo narrativo che si ispira al romanzo noir americano. Nelle 30 schede troveremo la «fedina penale», per così dire, delle 30 tipologie di cattivi maestri responsabili della morte dell’«uomo moderno».Abbiamo così l’«Archistar», ovvero l’architetto di grido che non vede l’ora di cementare ed inscatolare ogni residuo di tradizione architettonica o paesaggistica anche solo lontanamente legata alla Civiltà Cristiana, pur essendo a modo suo ecumenicamente devoto.

Abbiamo il «Cattonotaio», ovvero l’opposto, per certi versi del «Cattoprogressista» ma altrettanto dannoso, perché il suo conservatorismo si concretizza non tanto nella sana difesa delle sane tradizioni, quanto più nel far della Fede una sequenza infinita ed inutile (nella migliore delle ipotesi) di atti notori: parte in quarta a difesa della vita ma accetta il compromesso sulla Legge 40 in quanto «inevitabile».

Ecco poi scendere in campo il «pauperista che veste Prada»: colui che continua a parlare della bellezza del deserto e del suo silenzio ma non rinuncia ad un vernissage o ad un talk show di grido. Poveri i giovani, quindi, che finiscono nelle mani del «catechista ridens», il quale per rendere – bontà sua – più interessante il Credo o il Pater Noster né remixa una versione rap o ragamuffin

Per chi volesse poi salvare il pianeta da questo così volgare eccesso di antropizzazione, imperdibile l’«ambientalista illuminato», ennesimo relitto del 1989 berlinese che pensa davvero di salvare il pianeta evitando di tirare lo sciacquone del WC o vivendo in perenne penombra perché l’energia elettrica inquina (ed è prodotta dalle multinazionali, aggiungiamo noi). Colui che a Dio ha sostituito la raccolta differenziata e, come molti altri cattivi maestri ha la caratteristica di «indignarsi» ogni due per tre.

Per chi volesse dimagrire senza spendere una fortuna dal dietologo, suggeriamo di aderire alla weltanschauung del «radicale libero», prontissimo a (laici) digiuni quaresimali ogni qual volta una tonaca «ingerisce» (leggi: esprime una legittima e talvolta doverosa opinione) nella politica italiana.

Occhio al «predicatore incontinente» che ha due principali caratteristiche: non parla mai del Papa e appena dice qualcosa di pur vagamente ortodosso se ne scusa immediatamente. E’ il principale responsabile dell’epidemia di narcolessia che affligge innumerevoli parrocchie in tutto il globo. Doppiamente colpevole, poiché abusa di uno spazio unico è privilegiato: è il solo che possa, a pieno diritto, parlare per venti minuti ad una platea senza contraddittorio alcuno. E via via imparerete a conoscere e a difendervi dal «filosofo postmoderno», dal pericolosissimo «vaticanoterzista», dall’insopportabile «scienziato in talare» e dal pessimo «semi-cristiano»

Ora, al di là della condivisibilità o meno dell’approccio sicuramente ortodosso (ma mai pedante) degli autori, questo libro, nella sua scorrevolezza e nella sua felicità di contenuti, rappresenta davvero un formidabile vademecum per quanti desiderino smascherare e sbugiardare i tanti, tantissimi falsi profeti che animano televisione, patinate testate giornalistiche, sfilate e prime teatrali. E’ un libro scritto di cuore e viscere, galvanizzato da una vis comica degna dell’Asterix di Goscinny e Uderzo. E il grandissimo merito che và ai due autori è soprattutto quello di avere individuato nelle sue molteplici sfaccettature il Grande Nemico dei tempi moderni: la tiepidezza.

L’incapacità di osare, il costante timore che le proprie idee, nelle quali si dice di credere, possano sempre e comunque recare offesa a qualcuno, rendendo così ogni confronto potenzialmente gustoso e «futurista» una insulsa passeggiata sulle uova, un assolo (noiosissimo) di burocrazia dialettica. In questo senso appare evidente la valenza metapolitica dell’opera, poiché, pur non parlando quasi mai apertamente di politica, Gnocchi e Palmaro individuano punto dopo punto i limiti e le lacune che affliggono troppo spesso il dibattito politico, sia sui temi cosiddetti «sensibili» che sulle bagatelle da consiglio comunale

Cattivi Maestri susciterà un vespaio di polemiche e sarà sicuramente messo all’indice, in particolare nell’ambiente dei cosiddetti «cattolici adulti», o, meglio, secondo la vulgata degli autori, «adulterati». Della qual cosa non possiamo che compiacerci… come se ne compiaceranno gli autori. Niente male davvero, considerando che tutto si concentra in 252 pagine che leggerete in una notte o poco più… per poi tornare a rileggerne paragrafi o capitoli ogni volta che sarete colti dal sospetto (fondato) di aver incontrato sul vostro cammino un cattivo maestro.

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Alessandro Gnocchi & Mario Palmaro, Cattivi maestri. Inchiesta sui nemici della verità, Piemme 2009, pp. 192,  ISBN-13: 9788838410703, euro 16

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INVITO ALLA LETTURA

a cura di Rassegna Stampa

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Scheda 1

Eutanasia di una rivoluzione

Il comunista terminale

A conoscenza di chi scrive, in Occidente è rimasto un solo vero, serio e solido comunista. Si chiama Carlo R. ed è uno che si commuove pensando ai bei tempi di Baffone, piange al suono dell’Internazionale, non vede l’ora di morire per farsi avvolgere nella bandiera rossa con falce e martello e assomiglia a Pino Rauti. Carlo R., che abita nel Levante genovese e recita a memoria brani della Messa in latino e interi capitoli del Don Camillo, quando lo si interpella sulla caduta del muro di Berlino ha un tuffo al cuore e, con enfasi non priva di dolore, proclama: «Per me non è caduto un cacchio».

In realtà, Carlo R. non si esprime in linguaggio così urbano, ma in una gustosa parlata ligure che tradurre sarebbe come profanare. Chi ha pratica di mondo può immaginarla.Questo capitolo non tratta di lui, che, come Peppone, vive nel sogno di un socialismo profumato dalla redenzione del proletariato. Tratta di coloro che respirano avidamente il fetore nauseabondo dell’idea comunista in putrefazione.

Qui non si parla di un vivo che teme di morire, ma di moribondi convinti di essere in buona salute Carlo R. non è un comunista terminale. Lui non ha esultato quando, nel novembre 2008, l’ex deputato di Rifondazione comunista Guadagno Wladimiro, meglio conosciuto come Vladimir Luxuria, ha trionfato all’Isola dei Famosi battendo in finale Belen Rodriguez. Non sapeva che la vittoria in un reality show di un omosessuale che si è pompato il seno, rifatto il naso, depilato permanentemente e autodefinito transgender è una vittoria del proletariato.

Carlo R. è rimasto indietro di due o tre aggiornamenti della rivoluzione. Tanto che, fin dal 2006, all’epoca della candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del suo partito, aveva commentato il fatto con espressioni così colorite e così politicamente scorrette da finire sotto accusa per deviazionismo fascio-clerico-leghista. Nuovo tipo di deviazionismo che, in seguito agli aggiornamenti della rivoluzione, ha sostituito quello borghese, in base al quale oggi anche i cosiddetti probi viri del partito finirebbero diritti sul banco degli imputati.

Contrariamente a Carlo R., il comunista terminale vede nella causa del transgender Luxuria la nuova frontiera della rivoluzione e, da questo punto di vista, ha perfettamente ragione. Ha capito che la rivoluzione procede di negazione della distinzione in negazione della distinzione. Il comunista terminale ha compreso che il processo rivoluzionario parte dalla negazione delle diversità dovute alla vita sociale, alla cultura, ai costumi, alle tradizioni per arrivare fino alla presunzione di cancellare la diversità più evidente decretata dalla natura: quella tra maschio e femmina.

La proclamazione dell’equivalenza tra uomo e donna è l’esercizio massimo e ultimo dell’ideologia rivoluzionaria, oltre il quale c’è solo la negazione della distinzione tra uomo e Dio. Ma, si sa, per il rivoluzionario Dio non esiste, altrimenti non sarebbe rivoluzionario.

Il comunista terminale vive beato in un mondo infettato dall’ideologia egualitaria in cui esiste una sola eccezione: lui stesso. Lui, secondo la migliore applicazione della prassi leninista, appartiene all’avanguardia che ha il dovere e il diritto di tracciare la strada lungo la quale poi procederà il popolo bue: uguale, ma non del tutto. Le cattedre non gli mancano, perché ha smesso da tempo di fare l’operaio e si è dato alle professioni intellettuali. Insegna nella scuola pubblica e privata, lavora nelle case editrici, ha colonizzato i giornali, fa televisione, non di rado si esibisce dai pulpiti.

Semina, coltiva, raccoglie. Poi, quando è il momento, proclama la vittoria, come ha fatto «Liberazione» con il trionfo di Luxuria sull’Isola dei Famosi «Un duello epico» ha scritto il quotidiano comunista «Vladimir contro Belen, la trans contro la donna vera. Il risultato, strepitosamente, spariglia le carte. […] Il momento più brutto è stato quando si sono trovate l’una davanti all’altra. Belen, la donna bella, secondo il pregiudizio l’unica donna vera, contro Vladimir la pasionaria, la donna che ha scelto di essere donna. Due donne, due storie, due modelli, due culture. Lì siamo rimasti col fiato sospeso, abbiamo temuto che Vladimir non ce la facesse.»

Ma poi Vladimir ce l’ha fatta. E allora gli italiani, che quando votano alle elezioni sono dei poveri imbecilli perché fanno vincere Berlusconi, quando invece televotano all’Isola dei Famosi diventano dei raffinati intellettuali perché fanno vincere il compagno transgender Guadagno Wladimiro. Non fa niente se la televisione, fino al giorno prima, è stata considerata spazzatura per minorati mentali: il giorno dopo diventa uno strumento della rivoluzione, una corazzata Potëmkin che spara sui cattivi soldati zaristi del terzo millennio.

Come aveva scritto Karl Marx: «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta in tragedia e la seconda in farsa». E qui, come si può immaginare, la tragedia è passata da un pezzo. Ma non fa nulla, perché il comunista terminale, con grande sprezzo del ridicolo, vive dei miasmi esalati dalla tragedia in avanzato stato di decomposizione.

Aiutata da pietosa e farsesca eutanasia, munita del conforto dei suoi cinici cari è morta una fase della rivoluzione e, dal suo stesso cadavere, ne nasce un’altra. Si volta pagina.

Così, aiutato anche dal fatto che il cashmere logora chi non ce l’ha e che il toscano adesso si fuma nei salotti, il comunista terminale ha sterzato decisamente sul versante “radical”. Visto che “chic” lo era già, come resistere alla tentazione di mettere insieme le due cose? E infatti non ha resistito.

Al diavolo le volgari rivendicazioni salariali, al diavolo le nuove povertà e al diavolo anche le vecchie. È arrivato il momento di radicaleggiare. Chi meglio del compagno terminale Fausto Bertinotti, nonostante ora sia stato messo un po’ in ombra dalle batoste elettorali, incarna il prototipo del cattivo maestrino dalla penna rossa esperto di rivoluzione permanente? Durante l’ultimo governo Prodi, Bertinotti era presidente della Camera, terza carica dello stato, e da quell’autorevole scranno nel 2007 spiegò che serviva «una grande battaglia politica e culturale in Parlamento e nel paese sui Dico e sui diritti civili. Come ai tempi del divorzio»

Qui bisogna aprire una parentesi perché il suo successore alla terza carica dello stato, onorevole Gianfranco Fini, pur appartenendo al fronte politico opposto, sostiene gli stessi argomenti. Sarà la presidenza della Camera che produce effetti indesiderati. Ma di questo ci occuperemo nell’apposita sezione.

Ora chiudiamo la parentesi perché il compagno terminale Bertinotti sostenne che la battaglia culturale e politica sui Dico sarebbe stata possibile solo mettendo insieme «sinistra radicale e riformista, laici e liberali». E, sino a qui, l’onorevole Fini non è ancora arrivato. Non sfuggirà che il fondatore di un partito chiamato Rifondazione comunista, riferendosi al suo schieramento, non parlò di “comunisti” ma di sinistra radicale.

Tale terminologia spiega un fenomeno del quale bisogna prendere atto: quel che resta del vecchio Pci, nei diversi tronconi che vanno da Fassino a Bertinotti, Diliberto, Luxuria e Nichi Vendola, si è trasformato in una sorta di partito radicale di massa: più agguerrito, più numeroso e persino, se mai fosse possibile, più cinico del plotoncino pannelliano.

Detto questo, non stupisce se il povero Carlo R. si è trovato alle corde, accusato di deviazionismo fascio-clerico-leghista quando ha espresso il proprio parere sulla candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del partito che avrebbe dovuto rifondare il comunismo. Il povero Carlo R. è rimasto al Pci che faceva il Pci.

Al partito che, come ricordava Massimo Caprara che ne fu il braccio destro, ebbe in Palmiro Togliatti un deciso avversario dell’aborto. Al partito che, con l’inserimento della norma sui corpi sociali nella Costituzione, non pensava certo di dare il via libera al matrimonio degli omosessuali. Al partito che espulse per indegnità morale Pier Paolo Pasolini a causa della sua omosessualità.

Con ciò, non si vuole rimpiangere Togliatti e il suo Pci. Ma solo mettere in guardia i gonzi che pensano di poter trattare impunemente con gli eredi di quella storia e di quei metodi. La piazza evocata dal comunista terminale non è altro che un immenso Hotel Lux, l’albergo al civico 10 di via Gorkij a Mosca in cui ai tempi del Komintern dimoravano gli alti funzionari del partito e i capi dei partiti comunisti stranieri. Ruth Fischer von Mayenburg lo ricorda così: «Qui si discuteva, si cospirava e a volte si taceva in preda a un’angoscia di morte. Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie».

La von Mayenburg fu tra i fortunati che riuscirono a sopravvivere alle purghe staliniane degli anni Trenta. Allora tentò persino di giustificare quella carneficina di compagni traditori in nome dei grandi ideali e del grande fine ultimo della rivoluzione. Se avesse immaginato che i suoi sogni sarebbero naufragati sull’Isola dei Famosi con Vladimir Luxuria al comando di Simona Ventura, avrebbe certamente seguito l’insegnamento marxista completando il suo pensiero all’incirca così: «Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie che un giorno diventeranno farse».In effetti, la deriva dei cattivi maestri della sinistra ton sur ton fa pensare a Marx: ma non a Karl, a Groucho.Eppure non c’è niente da ridere.

Identikit

Dove opera

Parlamento (quando riesce a farsi eleggere), cattedre, scrivanie, strapuntini, reality show, non di rado i pulpiti. Disdegna le piazze, così rozze

Come riconoscerlo

Cashmere, pantaloni con le pence, scarpe su misura, cravatta all’uncinetto: se parla di operai, è un industriale; se si lamenta perché Cortina è sovraffollata, è lui.

Come difendersi

Avvicinatevi con una pagnotta, un etto di mortadella e un bottiglione di Manduria. Dategli del tu e offrite con generosità. Se per caso accetta, allora dovete anche prenderlo in braccio come fece Benigni con Berlinguer. Ma non ce ne sarà bisogno, fuggirà prima. Voi non siete Benigni

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Scheda 5

Un uomo chiamato cavillo

II conservator cortese

Si deve chiarire subito una cosa: questo cattivo maestro non è un cattivo soggetto. Il conservator cortese è un uomo animato dalle migliori intenzioni, che agisce normalmente in buona fede, e che è sorretto da un inguaribile ottimismo. Ma, proprio per queste ragioni, è capace di pro­vocare danni devastanti. Insomma, è buono e insieme pericolosissimo.

La sua caratteristica più temibile, però, è la capacità di mimetizzarsi. Gli altri cattivi maestri sono in genere agevolmente identifìcabili. Il conservator cortese no. Tracciare il suo identikit è molto diffìcile. Ed è difficile perché, a ben guardare, non possiede una sua precisa fisionomia. Piuttosto, tende ad adattarsi come un guanto alla realtà che intende difendere e proteggere.

Ma chi è, in definitiva, questo “conservator cortese”? Si tratta di un cattolico, normalmente sostenuto da una certa formazione dottrinale, formazione che in taluni casi può essere perfino solida e robusta. In ogni caso, la sua storia è estranea al progressismo ecclesiale, o se anche ne proviene, lui ha deciso risolutamente di abbandonarla a un passato di cui un po’ si vergogna. In ogni caso, adesso è venuto il momento di lavorare per “conservare” lo status quo, accontentandosi di evitare che le cose peggiorino.

Per fare questo, è necessario anche mettersi a dire a quattro venti che le cose non vanno poi così male, anzi stanno sensibilmente migliorando. Il cavillo sarà l’arma impropria nelle mani del nostro uomo. Maneggiandolo come un bisturi, egli inciderà con delicatezza i bubboni infetti del pensiero progressista. Ma, con impegno se possibile maggiore, egli orienterà l’arma del cavillo nei confronti dei cattolici tradizionali, i cattolici-cattolici insomma.

I quali, per certi versi, sono secondo il conservator cortese gli uomini peggiori e più deleteri, perché con la loro mania della verità e della tradizione mettono a repentaglio tutto il delicato percorso di “restaurazione gentile”. Quel buzzurro del cattolico-cattolico, ad esempio, polemizza apertamente, denuncia, critica, stronca: un vero concentrato di stupidità politica, che deve essere fermato a ogni costo.

Il conservator cortese ha fatto un’analisi della situazione ecclesiale, che più o meno può essere riassunta così: il progressismo cattolico ha iniziato da tempo la sua inesorabile parabola discendente; poco alla volta, il modernismo perde il suo potere all’interno delle istituzioni ecclesiali. Questa “mutazione” si nota soprattutto in certe conferenze episcopali, come quella italiana, “commissariate” e affidate alla guida del presidente, in modo da silenziare le voci stonate presenti nell’episcopato.

Tuttavia, prosegue il conservator cortese, natura non facit saltus, e ancor di più la Chiesa non può fare salti o consumare strappi; ergo, occorre mettersi docilmente sotto la guida della Conferenza episcopale nazionale, dire e fare soltanto ciò che a essa è gradito, e soprattutto – si badi bene: soprattutto – evitare sempre di muovere anche la più garbata critica a ciò che la Conferenza episcopale dice o scrive. Insomma: il conservator cortese è, prima ancora che un cattolico, un clericale. Di più: un clericalone a 24 carati. Per lui, la Conferenza episcopale, come la Buonanima durante il Ventennio, ha sempre ragione.

A prima vista, il nostro tipo umano sembrerebbe totalmente innocuo. Anzi: un autentico servitore della Chiesa. Ma, guardandolo più da vicino, si scopre che le cose stanno diversamente.

Il problema è che questo cattivo maestro ritiene più importante servire la strategia di una Conferenza episcopale nazionale, piuttosto che insegnare e testimoniare i contenuti della dottrina cattolica. E la cosa gli pare cosi ovvia, così buona e giusta, che ve lo dirà anche in faccia. Facciamo un esempio. Una Conferenza episcopale decide di difendere una legge che consente la fe­condazione artificiale.

Il ragionamento è: meglio avere una legge non del tutto condivisibile, piuttosto che subire do­mani una legge peggiore. Mettiamo che voi, senza entrare nel merito del ragionamento suddetto, chiediate a un giornalista cattolico di poter spiegare in un articolo perché la fecondazione artificiale, anche nei limiti previsti dalla legge che “piace” ai vescovi, sia intrinsecamente illecita.

Se il tipo che avete davanti è un uomo chiamato cavillo, cioè un “conservator cortese”, ecco che cosa vi risponderà: «Vedi, carissimo,» il tono è sempre conciliante e pedagogico, come quello di un salesiano che sta rimproverando per l’ennesima volta un ragazzo troppo vivace «vedi, carissimo, quello che tu dici è vero: la fecondazione artificiale è sbagliata. Però, in questo momento, noi dobbiamo soste­nere senza se e senza ma la strategia che è stata decisa dai vescovi».

«Ma è la Chiesa che insegna, per ragione e non per fede, che i figli non si devono mai fare per via artificiale.»

«Quello che tu vorresti scrivere non è coerente con la linea del nostro giornale.»

«Ma io volevo soltanto ribadire la verità, la verità non fa mai male.»

«Carissimo, ci sono momenti in cui bisogna saper tacere, se la strategia lo richiede. Adesso l’obiettivo è difendere la legge sulla provetta così com’è. Se uno non sostiene questa linea, non può scrivere per noi.»

«E se invece uno fa la fecondazione artificiale rispettando la legge, può scrivere per voi?»

«Certo. Mi spiace che tu non capisca. Apprezzo davvero molto la tua testimonianza per la verità, ti stimo tantissimo. Ma finché questa è la tua posizione, non puoi scrivere per noi.»

L’uomo chiamato cavillo è fatto così: flessibilissimo sulla dottrina, inflessibile come una SS sulla “linea” – detta altrimenti “strategia” – sposata dall’episcopato.

Il conservator cortese si sta diffondendo parecchio nel mondo cattolico. E questo è positivo, in quanto egli è un tipo antagonista-predatore del cattolico democratico, detto anche cattolico progressista. Tuttavia è anche un male perché il conservator cortese è anche un nemico spietato del cattolico-cattolico. Il risultato è una condizione di stallo, nella quale però il nostro conservatore finisce con l’accogliere, senza rendersene conto, proprio i paradigmi del progressismo modernista. Nel senso che misura gli obiettivi della sua buona battaglia sempre in termini di “male minore”, perdendo totalmente di vista la stella polare della verità tutta intera.

In sostanza, l’uomo chiamato cavillo è un democristiano del terzo millennio capace anche di criticare i democristiani del millennio precedente per gli sconquassi che hanno provocato, ma continuandone disastrosamente il metodo.

Identikit

Dove opera

Prevalentemente nei giornali cattolici. E segnalato anche in ruoli di responsabilità nell’associazionismo cattolico.

Come riconoscerlo

Cavilla, distingue, precisa, raffredda, smorza, sopisce. E si addormenta.

Come difendersi

Non svegliatelo.