La nascita delle banche islamiche è parte di una reazione identitaria, della volontà dei musulmani di riscoprire, se non reinventare, l’islam. Non è un caso che il padre dell’islam politico del Ventesimo secolo, l’indiano, poi pakistano, Mawdudi, sia stato anche il padre dell’economia islamica. I movimenti politici islamisti hanno sostenuto le banche in virtù della convinzione che l’islam sia un sistema autonomo e completo. Un’ideologia in grado di regolare la sfera politica, sociale ed economica
di Daniele Atzori
La nascita delle banche islamiche è parte di una reazione identitaria, della volontà dei musulmani, di riscoprire (se non reinventare) l’islam. Non è un caso che il padre dell’islam politico del XX secolo, l’indiano (poi pakistano) Mawdudi, sia stato anche il padre dell’economia islamica. In seguito al contatto con l’occidente, politica ed economia parevano sempre più autonome dalla religione.
Compito dei musulmani era, secondo, Mawdudi, ricondurre tutta l’attività umana in stato di islam, in stato cioè di sottomissione alla rivelazione di Allah. In altre parole, invece di rifiutare la modernità, era necessario islamizzarla.
Non a caso, da allora l’islamizzazione dell’economia è uno dei primi punti programmatici di tutti i principali partiti islamisti. Olivier Roy, grande studioso dell’islam contemporaneo, ha addirittura affermato che le banche islamiche sono «un’estensione tecnocratica del fondamentalismo tradizionalista».
Ciò che è certo è, come afferma Mohammed Malley, che «l’istituzione delle banche islamiche nella seconda metà del XX secolo può essere vista come un’applicazione pratica dell’ideologia secondo la quale l’islam contiene dentro di sé modi alternativi per regolare gli affari economici e sociali».
Le banche islamiche sono un fenomeno prettamente moderno, nate negli anni ’70. I movimenti politici islamisti hanno sostenuto le banche islamiche proprio in virtù della convinzione che l’islam sia un sistema autonomo e completo, un’ideologia in grado di regolare la sfera politica, sociale ed economica.
Il sostegno dei movimenti islamisti alle banche islamiche è particolarmente evidente in Giordania. Come dimostrato da Mohammed Malley, il movimento dei Fratelli musulmani giordani svolse negli anni ’70 un’imponente azione di lobbying sul governo per rendere possibile l’istituzione di una banca islamica nel Paese.
Sami Hamoud, economista che per primo ebbe l’idea di creare una banca islamica in Giordania, fu fortemente sostenuto dai Fratelli musulmani. In particolare, lo Sheikh Ibrahim Zaid al-Kilani, leader politico islamista e conduttore televisivo, invitò Sami Hamoud nel suo talk show per ben quattro settimane, per propagare il progetto nel Paese.
In seguito al successo del programma televisivo, Kamil al-Shareef esponente dei Fratelli Musulmani e ministro degli Awqaf (Affari religiosi), sostenne personalmente l’idea nei circoli governativi.
L’idea di Sami Hamoud trovò consenso anche in Arabia Saudita, dove importanti figure dell’establishment promisero di investire petro-dollari nella costituenda banca islamica. L’azione dei Fratelli musulmani si focalizzò quindi in tre direzioni: rendere popolare in Giordania l’idea di costituire una banca islamica tramite una strategia di marketing, fare pressione sul governo con un’azione di lobbying, e, infine, attrarre i capitali di investitori vicini alla causa. In seguito a questa azione coordinata, la Jordan islamic batik iniziò ad operare nel 1979.
Da allora, il settore privato islamista giordano, che comprende una miriade di scuole, ospedali e “attività caritatevoli” largamente controllati dai Fratelli musulmani, è diventato uno dei principali clienti della Jordan islamic bank. Allo stesso tempo, la Jordan islamic bank donava (dati del 2000) ogni anno circa 300 mila dollari in varie “cause islamiche”, cioè spesso attività economiche controllate dai Fratelli musulmani.
Una delle principali charity a cui la Jordan islamic bank elargiva donazioni era l’Afaaf charitable committee, guidata da Abdul Lateef Arabiyyat, allora leader dell’Islamic action front party, espressione politica dei Fratelli musulmani.
Allo stesso tempo, la Jordan islarmc bank finanziava l’Università di Zarqa, l’istituto educativo islamista presieduto da Ishaq Farhan, storico leader dei Fratelli musulmani. Inoltre, lo shari’a board.della banca, nel quale siedono esperti religiosi incaricati di verificare se le transazioni della banca avvengono in accordo con la sharia, comprendeva lo Sheikh Ibrahim Zaid al-Kilani, esponente dei Fratelli musulmani ed ex conduttore dello show televisivo che aveva pubblicizzato l’idea di aprire una banca islamica in Giordania.
Inoltre, la Jordan islamic bank concedeva nel 2000 prestiti a interessi zero per un totale di 4 milioni di dollari, a 12.000 cittadini, molti dei quali, secondo Mohammed Malley, appartenenti ai Fratelli musulmani.
Un fenomeno simile è avvenuto in Egitto, dove membri e simpatizzanti del movimento islamista dei Fratelli musulmani hanno ricoperto ruoli chiave nel Consiglio di amministrazione della Falsai islamic bank: in particolare, Youssef Nada, Abdel Latif al-Sherif e Yusuf al-Qaradawi.
Quest’ultimo è il principale ideologo dei Fratelli musulmani e gode di un’amplissima popolarità in tutto il mondo arabo e islamico, grazie anche al programma televisivo che conduce su Al Jazeera, Sharia e vita. Qaradawi è inoltre uno dei principali adviser delle banche islamiche a livello globale.
Discorso analogo per la Islamic international bank for investment and development, che fu fondata anche grazie alla collaborazione di Abdel Hamid Ghazali, uno dei principali teorici dell’economia islamica all’interno dei Fratelli musulmani.
Non diversa la situazione in Kuwait, dove, come afferma Kristin Smith dell’Università di Harvard, la banca islamica «Kuwait finance house ha usato i suoi legami con l’islam politico per proteggere ed espandere i propri affari, e i suoi legami d’affari per espandere e proteggere gli interessi dell’islam politico».
In altri termini, tra la finanza islamica e il movimento dei Fratelli musulmani si è verificata una sinergia che ha contribuito in misura importante a promuovere l’islamizzazione della società kuwaitiana. In particolare, la Kuwait finance house finanzia scuole, charity e cooperative, diffondendo i valori islamici nella società kuwaitiana e, secondo alcuni, sponsorizzando le campagne elettorali degli esponenti dei Fratelli musulmani.
Il Sudan presenta invece caratteristiche peculiari. Qui, come altrove, la banca islamica locale, la Faisal islamic bank of Sudan, sviluppò stretti legami con i Fratelli musulmani e con il suo leader, Hassan al-Turabi.
Molti membri dei Fratelli musulmani, in esilio in Arabia Saudita agli inizi degli anni ’70, svilupparono contatti con circoli sauditi vicini al principe Muhammad al-Faisal. Al-Faisal fornì i capitali, mentre i Fratelli musulmani misero a disposizione il proprio capitale umano.
La Faisal islamic bank of Sudan, reclutando principalmente membri e simpatizzanti del movimento, costruì intorno a sé un’imponente rete di relazioni e clientele. Sia i top manager che i semplici impiegati provenivano dalle fila dell’organizzazione, e riconoscevano in al-Turabi il proprio leader.
La banca, e il settore economico di cui era il polmone, giocò un ruolo chiave nel colpo di Stato del 1989, che portò al potere il generale al-Bashir. Come afferma Ibrahim Warde, i Fratelli musulmani riuscirono a diventare, grazie alla Faisal Bank, uno Stato nello Stato, grazie al quale conquistarono poi lo Stato.
I rapporti del movimento politico islamista con alcune banche islamiche discendono dal fatto che i Fratelli musulmani sono convinti che l’islam sia un’ideologia.
Come afferma Khurshid Ahmad, promotore del sistema economico islamico ed esponente del movimento islamista pakistano Jamaat-e-Islami, «l’islam è una fede, un modo di vita, un processo di cambiamento e un movimento sociale per la ricostruzione della società e la creazione di un giusto ordine mondiale; non è semplicemente una religione».
Ciò implica che i policy maker occidentali debbano distinguere tra gli istituti finanziari islamici che sono semplicemente ispirati dalla moral economy dell’islam, e quelli che seguono invece fini di natura prettamente politica.