La Nuova bussola quotidiana
28 Febbraio 2017
Fabiano, noto come dj Fabo, volto della campagna pro eutanasia dell’associazione Luca Coscioni, è stato ucciso ieri in una clinica svizzera dell’eutanasia. Ad accompagnarlo è stato il politico radicale Marco Cappato che ne ha dato notizia via Twitter.
di Benedetta Frigerio
C’è qualcosa di profondamente diabolico nella spettacolarizzazione della soppressione di un disabile che ha preteso di essere eliminato in mondovisione per dire che lo Stato dovrebbe uccidere le persone che, come lui, non sopportano di vivere diversamente da come vogliono. C’è qualcosa di malefico perché, se questa è l’ottica, che differenza c’è fra l’autodeterminazione di chi vuole essere ammazzato perché inchiodato ad un letto e perché “una vita così non la accetto” e un altro che magari non sopporta di essere basso o grasso o irascibile? Attenzione, perché teoricamente non ce n’è alcuna. E si sa che dalla teoria basta una legge per passare alla pratica.
Si potrebbe dire: “Mettiamo dei limiti, permettiamo l’eutanasia solo in certi casi estremamente drammatici, come quello di dj Fabo”. Sono questi i discorsi che riempivano ieri i media a proposito del ddl sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento mentre, guarda caso proprio i Radicali, annunciavano l’omicidio di Fabiano, da loro inviato in una clinica della “dolce morte” svizzera, dove per quasi 20 mila euro è stato avvelenato con soluzioni che costerebbero pochi euro. Ma chi determina qual è il limite e che cosa sia drammatico e cosa no?
Basti pensare che in Olanda e Belgio si cominciò a permettere il suicidio assistito e l’eutanasia solo per i malati in fin di vita, mentre ora in questi Stati vengono soppressi perfino i bambini, i depressi o gli anziani in salute. Infatti, quando si sceglie di fondare una legge sull’autodeterminazione, e non sull’oggettività di un bene e un male iscritti nel cuore umano e nella legge naturale, di fatto si consegna la propria vita in mano al potere che determina (a seconda dei propri scopi) cosa sia degno o meno di esistere, inculcando nelle nostre teste l’odio per ciò che la mondanità non tollera: la nostra debolezza e quella di chi ci circonda, promemoria del fatto che siamo esseri amati non perché perfetti, ma perché creati. Amati nonostante i nostri limiti. Anzi compatiti da Dio con trasporto e commozione proprio perché fragili, peccatori e bisognosi.
E’ questo il malanno da cui siamo più o meno afflitti da quando la modernità ha rifiutato Dio: vediamo il male in noi e intorno a noi e siccome desideriamo il paradiso, invece che cercare la salvezza nel Creatore, proviamo orgogliosamente a produrla con i soli nostri sforzi qui in terra. Ma, poi, siccome il male è ineliminabile diventiamo violenti contro noi stessi e il mondo. Esattamente come Hitler, Stalin o i vari Cappato. Non a caso l’estremo di questa posizione che tenta da sempre l’uomo, sono le ideologie dei gulag, dei lager e oggi dell’eutanasia, dell’aborto, dell’anoressia, della chirurgia estetica, della fecondazione in provetta, dell’eliminazione del sesso di nascita. Artifici della perfezione impossibile, che non fanno che incrementare la disperazione dipinta sui volti dei cittadini occidentali, usati spesso inconsapevolmente come mezzi per un fine preciso: distruggere le creature di Dio.
Poche ore prima di morire Dj Fabo ha lasciato un messaggio inquietante, dove con una voce che pareva già venire dall’oltretomba, ringraziava Marco Cappato di avergli pagato la morte assistita, senza rendersi conto (o forse sì?) che i Radicali lo hanno strumentalizzato per un fine politico. Sì, lo hanno sacrificato sull’altare della modernità che non sopporta la miseria, la malattia, la povertà. Tutte cose che ricordano anche a Cappato la verità: può così ribellarsi ma non sarà mai Dio e anche se lo rifiutasse fino alla morte non ne avrà scampo, perché anche all’inferno non si può scappare dalla sua paternità innamorata della nostra debolezza. Si può bestemmiarla come fa il Capaneo dantesco, ma resta un dato ineliminabile, per l’eternità.
Questa tentazione, però, non è solo degli atei, che spesso sanno invece dipendere dal mistero lasciandosi amare dai propri cari, ma anche dei “credenti” che invitano a “costruire un mondo migliore”, magari invocando lo spirito di Pannella (come ha fatto recentemente monsignor Vincenzo Paglia, capo della Pontificia accademia per la vita) invece di richiamare al fatto che la felicità piena sarà solo in Paradiso e che per salvarci abbiamo bisogno unicamente di uno Spirito e della Sua Croce, quelli di Gesù. Non certo dei Radicali che per eliminare i problemi e i limiti eliminano gli uomini.
Ci sono diverse persone, malate da anni o che da tempo si fanno carico di parenti in situazioni difficilissime, che nei giorni scorsi avrebbero voluto gridare a Fabiano che la vita vale la pena. Ma la stampa non gli ha dato la risonanza riservata all’ex dj. Fra tutti è impressionante la storia di un giovane in condizioni terribili che urla il suo amore per l’esistenza. Questa gente non colpisce solo perché dimostra che esiste chi la pensa diversamente (cosa che non disturba affatto i radicali o la Lega di Salvini che riducono certe testimonianze a una fra le tante scelte), ma perché rivela che la posizione vera è solo una.
Matteo Nassigh è un diciannovenne milanese che nei giorni scorsi ha provato a spiegare a dj Fabo: “Se usi quelle dei Radicali noi siamo dei poverini, se scopri categorie che prevedono la libertà di essere diversi noi siamo la massima espressione della libertà”. Libertà? Matteo è fermo su una carrozzina e dalla nascita non è in grado di fare nulla da solo, tanto che pareva privo di coscienza. Invece, rinchiuso in quel corpo deforme c’è un’intelligenza, scoperta dagli occhi amorevoli di alcuni medici e della sua famiglia, che hanno liberato la sua mente attraverso un sistema di scrittura con cui comunica aiutato dalla madre. Matteo continua così: “E’ vero, noi non possiamo fare niente da soli”, ma “Fabo noi siamo il cambiamento che il mondo chiede per evolvere”. E’ proprio così, quanto bisogno hanno le persone di non essere misurate “per ciò che fanno”, se no “è ovvio che uno come me o dj Fabo vuole solo morire”.
E’ questo il pericolo di una legge, come quella sulle Dat, che legalizzerebbe l’autodeterminazione diffondendo lo sguardo nazista descritto da Matteo. Il giovane ha quindi incalzato parlando di ciò che serve al mondo per guarire da questa ferocia autolesionista: “Se avesse (dj Fabo, ndr) attorno a sé tutto l’amore che ho io, non cadrebbe nella trappola di misurarsi sulla perfezione fisica”, ossia sui criteri mondani, “ma sulla sua anima intatta”, come hanno fatto i suoi genitori che sono “stati capaci di guardare oltre”. Chi non vorrebbe essere amato così? Scoprendo che quello che non sopporta di sé, in realtà serve a conoscere l’abbraccio di Qualcuno che vinca il suo limite? Qualcuno che non ci vuole perfetti o diversi ma che chiede solo di permettergli di amarci così, miseri come siamo? Ogni uomo è creato per scoprire, come Matteo, che questo Qualcuno esiste, venendo a dirci che “ciascuno di noi è un prodigio di bellezza”. Lui lo ha capito grazie a mamma e papà, riflesso di un bene più grande e motivo per cui “il mio rapporto con Dio è costante”.
Tutti, appunto, siamo fatti per questo amore, anche se, come Lucifero, possiamo scegliere di voler essere il Dio di noi stessi facendoci del male. Insomma, finché vivremo, saremo continuamente messi di fronte all’alternativa posta da Matteo e dj Fabo, rappresentata dall’umiltà della Madonna, che accetta di essere un nulla innalzato da Dio, e la ribellione del diavolo, che lo fa sprofondare nell’inferno. Ma in Italia sta accadendo di più: quando questa ribellione non è più opzione del singolo ma viene eretta a valore e norma di uno società, e quindi della cultura di un popolo, si sta consegnado di fatto il proprio Paese al più grande nemico dell’uomo. E’ istituire l’inferno quaggiù mentre ci si illude di poter costruire paradisi artificiali, dove insieme alla debolezza faremo scomparire anche la carità che le si accompagna. Quella di cui oggi avremmo più che mai bisogno per risorgere da una crisi senza pari.