Il 2 marzo è stato presentato a Bruxelles, dall’Istituto di Politica Familiare spagnolo, uno studio sull’aborto in Europa. L’istituto ha accertato che 2.863.649 aborti è la cifra totale dell’eccidio in Europa, dentro e fuori i confini dell’Unione (“Il Foglio”, 4 marzo 2010).
Dunque un numero elevatissimo di aborti praticati e censiti ogni anno in Europa (esclusi dunque quelli che non rientrano nelle statistiche, ossia quelli clandestini e quelli derivanti dall’utilizzo di abortivi chimici o della cosiddetta contraccezione d’urgenza); una gravidanza su 5 finisce con un aborto; un aborto su 7 riguarda le minorenni. Inoltre, l’obiezione di coscienza non è prevista in alcuni Paesi della UE (Grecia, Svezia e Finlandia), mentre l’aborto è illegale soltanto in due Paesi dell’Unione (Irlanda e Malta), in 11 è totalmente libero e in 14 è ammesso in talune circostanze.
Proprio da Bruxelles Eduardo Hertfelder – presidente della Federazione internazionale dell’Ipf – ha detto che «noi europei e le nostre amministrazioni non possiamo voltarci dall’altra parte quando in Europa si pratica un aborto ogni 11 secondi» (“L’Osservatore Romano”, 5 marzo 2010).
L’aborto è la principale causa di morte in Europa (30 volte più alto degli incidenti stradali), del basso tasso di natalità e del conseguente invecchiamento della popolazione. A fronte dell’attuale situazione, l’Istituto di Politica Familiare ha chiesto un cambiamento radicale delle politiche di prevenzione dell’aborto finora attuate in Europa avanzando alcune proposte, tra cui un “Aiuto diretto universale” di 1.125,00 per ogni donna incinta (125,00 per i nove mesi di gestazione), una linea diretta di finanziamento per le associazioni che aiutano le donne durante la gravidanza, la riduzione del 50% dell’Iva sui prodotti necessari per l’infanzia. Tali provvedimenti risponderebbero anche alla necessità di arginare la spaventosa crisi demografica che sta mettendo in ginocchio l’Europa.
Sebbene gli aiuti economici possano contribuire in qualche modo ad una ripresa della natalità, non potranno dar luogo ad una reale inversione di tendenza. L’avanzata inarrestabile della pratica dell’aborto in Europa e nel mondo è il frutto dell’approvazione di leggi omicide che di fatto hanno trasformato il delitto di aborto in un diritto della donna, sancito nel 1994 con il concetto di “diritto alla salute riproduttiva” nella Conferenza del Cairo su Popolazione e Sviluppo.
La conseguenza ovvia della legittimazione sociale dell’aborto è il costante ed inesorabile ampliamento del “bacino d’utenza”. Dunque, la proposta avanzata di avviare una rivoluzione culturale tramite politiche sociali di sostegno per la madre ed il figlio allo scopo di promuovere il diritto alla vita, pare non prendere in considerazione la formidabile spinta a “consumare” il diritto all’aborto proveniente dalle legislazioni vigenti.
Pare anche non prendere in considerazione il fatto che le difficoltà economiche non costituiscono il principale motivo che induce una madre a disfarsi della creatura che porta nel grembo (anche perché il concetto di povertà è relativo e dipendente da molteplici fattori socio culturali); se non si affronta il problema alla radice cercando di estirpare il principio della libertà di scelta, cardine di tutte le leggi abortiste, gli incentivi sociali alla maternità rischiano di non produrre effetti significativi ma, al contrario, di far scadere ulteriormente il livello di consapevolezza generale, riducendo la vita umana a pura merce di scambio.