La Nuova Bussola quotidiana 5 Aprile 2017
di Benedetta Frigerio
“Ho imparato che il Sacramento rende la Comunione eterna”; “Incontro mia moglie nell’Eucarestia”; “Amare è dare e perdonare senza aspettarsi nulla in cambio”; “Non c’è libertà fuori dalla fedeltà al patto coniugale”; “Anche se la dottrina è messa in discussione, Cristo è chiaro nel suo insegnamento e la santità non è solo per alcuni”.
Sono solo alcune delle affermazioni della potente testimonianza di Emanuele Scotti, un cristiano normale (anzi prima della separazione era “un fedele tiepido”), che si separò dalla moglie appena trentenne con un figlio piccolo. E che in questa intervista alla Nuova BQ racconta come dopo anni abbia scoperto che Cristo mantiene la promessa di donare tramite il Sacramento l’amore divino per amare come Lui ci ama.
Emanuele, com’è avvenuta la separazione da sua moglie?
Fu improvvisa. Come quasi sempre avviene, uno dei due non se ne accorge. Quella sera, di ritorno da un viaggio di lavoro, provavo una sensazione di disagio che non mi spiegavo. Lo sguardo di mia moglie era sfuggente, i gesti un po’ meccanici. Ad un certo punto si girò e mi disse: «Penso che dovremmo separarci…». Fu come uno tsunami, un’onda nera che spezza, trascina e sommerge ogni cosa. Se c’è un’esperienza di “deserto”, se c’è una “notte oscura” che può conoscere l’animo dell’uomo, per me è stato il momento della separazione della mia famiglia.
Momenti di buio e di solitudine, dove niente può dare sollievo, dove ci si sente incompresi da tutti e che nessuno può in effetti capire fino in fondo. Ci si sente rifiutati, “buttati via”, ci si ritrova senza un’identità, in una situazione di profonda destabilizzazione psico-fisica e di estraniamento dal mondo. Non riuscivo a trovare in me alcuna colpa per ciò che stava succedendo. Solo dopo molto tempo sono riuscito a riconoscere che, quando divampa l’incendio nella casa, qualcuno ha appiccato il fuoco, ma probabilmente qualcun’altro ha accumulato paglia negli angoli o magari sotto i tappeti…
Lei non era un cattolico “fervente”, perciò non si può dire che la sua scelta fosse dettata dalla costrizione, eppure decise di non rifarsi una vita. Come mai?
E’ vero. Ero stato fino allora un cristiano molto “tiepido”. Ma a quel punto, invece, l’interrogativo della fede diventò il bivio fondamentale: da una parte solo un dolore insensato, un male ricevuto e procurato, la fine di tutto; dall’altra, una misteriosa promessa di vita. La mattina, prima di entrare in ufficio, iniziai a passare in Chiesa e a fermarmi ai piedi del Crocifisso. Quello stare lì, il più delle volte senza riuscire a dire e perfino a pensare nulla, ha cambiato il mio cuore. In quel buio, in quei miei “inferi”, ho sentito per la prima volta la presenza concreta e reale del Signore. Questo ha cambiato poco a poco la prospettiva interiore della mia vita.
La mia situazione continuava a restare tal quale, tutti i problemi restavano, nulla cambiava fuori di me, la mia sofferenza restava; ma nella stesso tempo nulla era e sarebbe stato più come prima. E forse in quel momento, mai come prima, ho iniziato a comprendere davvero allora il significato di quelle parole che avevo pronunciato il giorno del nostro matrimonio: “Io accolgo te, come mia sposa. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Esserti fedele sempre… nella gioia e nel dolore. Quei giorni, che non avrei mai pensato potessero arrivare, erano il momento del dolore, della malattia dell’anima, del massimo dolore che si possa provare in amore, quello delle spalle girate, del “non ti amo più”. Eppure, paradossalmente, sentivo che forse la parte più vera del mio matrimonio iniziava allora.
Dove trova l’amore oggi che sua moglie è lontana e che cosa significa che il Sacramento continua ad agire nella sua vita e la comunione con sua moglie a persistere (“la incontro nell’Eucarestia” ha scritto)?
E’ qui la grandezza del Sacramento del matrimonio: la grazia che il Signore dona agli sposi va oltre i loro limiti umani, va oltre le loro mancanze e i loro peccati. E ci chiama ad amare come Lui ama. Senza aspettarsi nulla in cambio, fino alla fine. E’ così che, quando vengono a mancare gli aspetti affettivi ed umani più belli e gratificanti, che la maggior parte di noi è portata a credere che siano le uniche ragioni dello stare insieme, si scopre che c’è un Amore più grande, al quale il matrimonio, riuscito o umanamente fallito, ci apre la via. Sì, nell’Eucarestia, che è il sacramento dell’unità per eccellenza, il miracolo di Dio che si unisce alla sua creatura abbraccia anche la mia famiglia disunita.
Oggi parlare di amore senza ritorno sembra crudele. Perché invece è corrispondente al cuore umano? Cosa vuol dire per lei amare senza ritorno? Come ci sia arriva?
Parto dall’ultima parte della domanda: “Come ci si arriva”. Arrivare ad amare totalmente senza ritorno è un’impresa impossibile con le nostre forze. Non vi riusciremo mai. Solo nella fede in Gesù Cristo, guardando a Lui, e cercando di imitarlo, anche nella nostra debolezza, possiamo incamminarci nella strada dell’amore gratuito. E’ vero che oggi sembra crudele, oltre che insensato, amare senza essere corrisposti. Perché si ritiene giusto che, se non sento più nulla, se questa unione non mi dà più gioia né emozione, occorre avere il coraggio, l’onestà – si dice – di spezzare quel legame.
Se può esserci ancora qualche dubbio, questo è generalmente superato quando uno dei due decide di rompere il patto. A quel punto, fine dei giochi e ognuno per la sua strada. Però, non si dice mai che il sogno di sconfinata libertà, la soddisfazione per essersi lasciati alle spalle la vita che sembrava ci imprigionasse e schiacciasse le nostre aspirazioni e i nostri diritti alla felicità, si infrangono prima o poi quasi sempre in una realtà ben diversa: il ‘divisore’ getta la maschera e ci fa piombare nella sua solitudine e nella sua tristezza. In realtà, è proprio solo l’amore gratuito, “sulla misura dell’amore di Cristo”, che dà la vera gioia.
Lei descrive la pena di suo figlio e la necessità da parte dei genitori di amarsi e rispettarsi comunque. Come è possibile arrivare al perdono? Sopratutto come riesce a vivere serenamente, non fingendo davanti a suo figlio, ma per davvero?
Durante i primi tempi della separazione ci fu un episodio che mi toccò profondamente. Ero con mio figlio, che allora avrà avuto cinque anni, ed ero preso dai miei pensieri, mi sentivo molto giù, e stavo preparando qualcosa da mangiare per noi due. Non mi resi conto che mi stava osservando, e ad un certo punto, mi chiese: “Papi, perché hai quella faccia triste?”. In quel momento, fu un pugno allo stomaco, ma mi fece capire di come le sue emozioni e il suo stato d’animo dipendessero dai miei. Da allora ho sentito molto forte la responsabilità di dovermi risollevare, e di ricostruire un mondo buono attorno a lui. Con i bambini è impossibile fingere. Non si trattava, quindi, di mostrarsi sereno, ma di esserlo; non di mostrarmi fiducioso, ma di esserlo pienamente; non di sembrare rappacificato, ma di vivere realmente in pace. Il cammino di perdono, che non è mai concluso, è iniziato anche da lì.
Un tempo sperava nel ritorno di sua moglie poi, data la nascita di una bambina dal legame con un altro uomo, ha capito che quella creatura aveva diritto a una famiglia unita. Non spera lo stesso per suo figlio e anche per lei e sua moglie, dato che il compimento umano può venire solo dalla fedeltà a Dio al patto coniugale?
Potrei dire che quella nuova situazione, che all’inizio – lo confesso – mi procurò grande turbamento e confusione, fu un’occasione di fare un altro passo fondamentale per la mia fede e per il mio cammino spirituale. Mi fece capire che la mia scelta di fedeltà era chiamata a purificarsi da ogni aspettativa umana, a trasformarsi davvero in “sì per sempre”, senza aspettarsi nulla in cambio, in un “sì fino alla fine”. E’ stata anche motivo di un’ulteriore presa di coscienza di come, in tante situazioni, come questa, umanamente non c’è una via d’uscita possibile. Rimetto la storia della mia famiglia nelle mani del Signore, il solo che può creare una bellezza nuova dai frammenti delle nostre vite.
Chi l’ha sostenuta nel cammino intrapreso (lei ha parlato di una suora se può spiegarci come la aiutava) e chi la sorregge oggi?
Erano i primi mesi dopo la separazione, ed io avevo dovuto trasferirmi da Genova a Parma per lavoro. Avevo poco più di trent’anni e avevo già perso entrambi i miei genitori, ma suor Assunta mi fu veramente madre. Era un’anziana suora, che aveva tra i suoi carismi, oltre che quello per la pittura, l’ascolto e il consiglio. Anche nei momenti più duri della separazione, sono sempre stato infastidito da quelle forme di falsa solidarietà di chi, credendo di fare cosa gradita, esprimeva giudizi taglienti su mia moglie: era ed è sempre la mia sposa. Ricordo che suor Assunta, invece, ascoltava, e poi spesso diceva: “Povera figlia!..”.
Ecco, quella frase, quell’atteggiamento mi hanno sempre aiutato a guardare oltre la mia ferita, e a vederci tutti poveri peccatori. Oggi e da qualche anno, trovo uno specifico sostegno nel cammino di spiritualità “Sposi per sempre”, nato nell’ambito del progetto Misterogrande, sotto la guida spirituale di don Renzo Bonetti, rivolto a persone separate o divorziate che scelgono consapevolmente la fedeltà al matrimonio-sacramento e, con l’aiuto della Grazia divina, scelgono di vivere un amore “per sempre”, oltre la sfida del fallimento umano.
Si parla di avere misericordia verso chi ha sbagliato a sposarsi e ora vive una nuova unione, magari con figli. Si dice che queste persone dovrebbero comunque poter ricevere la Comunione. Cosa ne pensa? E’ questa misericordia?
Cito il beato Paolo VI in merito: “Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime” (N.d.R., Humanae Vitae, 25 luglio 1968, n. 29. Il passo fu ripreso anche da Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n. 33). L’insegnamento della Chiesa, nel suo Magistero perenne, è sempre stato chiaro a questo proposito, e a questo mi attengo, nonostante oggi sia messo in discussione anche all’interno della gerarchia ecclesiastica.
Devo poi dire che, personalmente, trovo inaccettabile l’idea che la santità non sia alla portata di alcune persone, e che per loro l’unica via di salvezza, intesa in senso legalistico, sia quella di adattare la legge alle loro esigenze. Nella mia stessa vita ho provato che il Signore non ritira la sua promessa davanti alla nostra fragilità e ai nostri peccati, e, se lo chiediamo, ci dà la grazia per vivere coerentemente con la verità del vincolo sacramentale da Lui voluto.