L’Occidentale 5 Luglio 2017
di Lorenzo Formicola
Guinea, Nigeria, Costa d’Avorio. I dati forniti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) parlano chiaro. Sono 84,879 gli immigrati sbarcati sulle coste italiane da gennaio 2017 ad oggi, in un grafico aggiornato quotidianamente, il numero di arrivi ha già superato del 19% quello dello scorso anno. E sono sempre le Nazioni Unite ad affermare che sette persone su dieci che attraversano il Mediterraneo dalla Libia, sono migranti economici, solo il resto rientrano nel cosiddetto insieme delle “persone bisognose di protezione” – rifugiati e richiedenti asilo. Sono gli uomini e le donne che fuggono in cerca di benessere, e il diritto internazionale non impone che diventino cittadini di altri stati, non ne certifica il naturale accoglimento in un altro paese.
E’ la Libia il punto nel quale convergono tutte le rotte dei trafficanti di uomini, di armi, di droga, il passaggio ideale per il terrorismo che si vuol proiettare in Europa. E’ il rubinetto aperto con le “primavere arabe” attraverso il quale passano dal deserto centroafricano per catapultarsi in Italia. E, da un po’ di tempo, è l’arteria che sostiene la tratta a scopo di sfruttamento sessuale che investe soprattutto le donne nigeriane e camerunensi in una catena di criminalità organizzata internazionalizzata.
I centri di accoglienza di migranti fungono ormai da recinti in cui le donne vengono raccolte e costrette a prostituirsi in tutta Europa. Stando ai dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2014 furono registrate in Sicilia 1.450 donne provenienti dalla Nigeria. Solo un anno dopo erano già 5600. Per le migrazioni dei 37 mila nigeriani sbarcati in Italia nel 2016 (la nazionalità più numerosa) oltre 11 mila erano donne, l’80 per cento era destinato al marciapiede e quasi tutte venivano da Benin City. Al 31 maggio 2017 sono sbarcati già 5255 nigeriani, per lo più donne.
Europa – Nigeria sarà anche una tratta antica, ma dal 2014, sovrapponendosi all’ondata di partenze dalla Libia, ha assunto proporzioni, è il caso dirlo, disumane. I trafficanti, che sono taglia-gole, non frati francescani, approfittano dell’esodo dei “profughi” e si servono degli scafisti per portare qui la merce: le donne. Dopo lo sbarco, le porte aperte dell’emergenza danno loro i permessi temporanei utili a trattenerle e a forzarle al marciapiede. E’ così che dai barconi finiscono sul sedile dei “clienti”. Per qualcuno, poi, non sono solo destinate a diventare squillo, ma sono vera e propria merce di scambio tra i trafficanti e le organizzazioni militari o paramilitari che si incontrano lungo il tragitto: utilizzate come beni di baratto.
A luglio dello scorso anno, un rapporto firmato da Save the Children metteva in evidenza il dettaglio dell’età nella tratta delle schiave rispetto ai decenni precedenti. Aumentano, infatti, soprattutto le adolescenti di età compresa tra i 15 e i 17 anni, con un numero crescente di bambine di 13 anni. Sempre il rapporto documenta che le ragazze e le bambine vengono adescate nel circuito “tramite conoscenti, vicini di casa, compagne di scuola o spesso anche sorelle maggiori già arrivate in Italia”.
Reclutate, vengono costrette ad un giuramento, con cui si impegnano a ripagare allo sfruttatore il loro debito (che si aggira tra i 20.000 e i 50.000 euro) per il viaggio dalla Nigeria all’Italia, attraverso una miscela tossica di false promesse di occupazione legittima e cerimonie “juju” per ottenerne il controllo psicologico – sono portate a credere che cose terribili accadranno alle loro famiglie se non riusciranno ad onorare quelle promesse.
In molti casi vengono costrette alla prostituzione già durante il viaggio, mentre attraversano il Niger e durante la successiva sosta in Libia, e arrivano nel nostro Paese sotto il controllo dei trafficanti”. Recita ancora il rapporto che aggiunge, “molte ragazze vengono indotte alla prostituzione già nelle aree limitrofe ai centri di accoglienza e identificazione, oppure vengono trasferite dai trafficanti in Campania, per essere smistate e distribuite nelle principali città italiane”.
La scriteriata disponibilità all’accoglienza consente ai trafficanti di esseri umani, così, di fare affari d’oro. Esiste un’intera filiera di schiavisti, insieme alla mafia nostrana – come vedremo – che raccoglie profitti dallo sfruttamento della prostituzione nigeriana approfittando delle frontiere aperte.
Anche se nessuno, come già detto, parla di un fenomeno nuovo, ma che semplicemente è andato peggiorando perché gestito malissimo. Il New Yorker ha provato a ricostruire nel dettaglio il percorso di queste giovani donne. Un’inchiesta che, sebbene farcita di quel politicamente corretto stucchevole schierato a favore dell’accoglienza, sfata tantissimi luoghi comuni sull’immigrazione.
Quando nei salotti buoni si sente parlare degli immigrati nigeriani si ripete spesso che “scappano da Boko Haram”, e quindi dai macellai islamici padroni del loro Paese d’origine. Sarà vero, ma per un’infima minoranza, per la semplice ragione che da quelle grinfie è quasi impossibile scappare. E’ proprio, piuttosto, dalle pagine del New Yorker che emerge come la stragrande maggioranza delle donne nigeriane sono “teenager provenienti da Benin City, la capitale dello Stato di Edo, nel Sud della Nigeria”.
Non scappano dai terroristi, bensì dalla corruzione endemica e dall’inetta incapacità di governo del loro Stato. Alla Nigeria, per fare un esempio, solo lo scorso anno, in base agli accordi presi al vertice di Malta, sono già andati almeno 36 milioni di euro stanziati dai Paesi membri dell’ Ue per il contrasto all’immigrazione, e molti altri arriveranno. Ma forse non servono, o chissà come vengono spesi. Stiamo parlando infatti di quella che al 2014 è diventata la prima economia del “continente nero” superando il Sudafrica (per chi non ci credesse). Eppure, le diseguaglianze economiche interne continuano a essere profonde, nonostante ogni sorta di aiuto umanitario. Il che vuol dire che a poco servono.
Ed è il motivo per cui molte ragazze partono alla volta dell’Europa, spesso sotto la spinta dei parenti. Di fatto vengono vendute ai trafficanti. E, figure centrali nel traffico, sono proprio le donne, le cosiddette ‘madam’, che si occupano di reclutare fanciulle sempre più spesso minorenni. Una volta fuori dalla Nigeria, arrivano in Niger e da lì, mille peripezie porteranno le ragazzine in Libia.
Ad ogni tappa ci sono altri soldi da pagare, altre richieste da soddisfare che solo la prostituzione può saldare. Chi riesce a mettere su abbastanza denaro viene caricato sui barconi, e via alla volta dell’Italia. Quando lasciano la Nigeria viene dato loro un numero di telefono che usano per comunicare al contatto in Italia di essere arrivate. E nei centri di accoglienza diventano proprietà della mafia nigeriana e sicula.
E’ lì che le donne diventano come prodotti da supermercato, acquistate, sfruttate e rivendute in centri di accoglienza che fungono da magazzini dove le ragazze, e le ragazzine, vengono stoccate.