La Croce quotidiano 5 Luglio 2017
15mila malati mitocondriali in Italia vivono con sgomento la vicenda del piccolo inglese. Ecco perché
di Giuseppe Martignano
Il piccolo Charlie Gard è affetto da una malattia mitrocondiale ma non è il solo. Si stima che la prevalenza delle malattie mitocondriali nella popolazione mondiale sia dell’ordine di 1 ogni 5000, che vuol dire che le malattie mitocondriali sono la famiglia più numerosa e frequente tra tutte le patologie genetiche rare ad oggi conosciute. In Italia si stima che i malati siano intorno a 15.000, e dietro di loro 15.000 famiglie vivono un’esperienza unica fatta di fatica, talvolta di tristezza, ma anche di speranza e di grande apertura alla vita
Mitocon è l’associazione che in Italia rappresenta i pazienti e le famiglie mitocondriali e che in questi anni si è impegnata a fondo nel sostegno della qualità della vita e per la ricerca scientifica per veder sconfitte presto queste malattie
Piero Santantonio è il presidente dell’associazione, impegnato in questi giorni ha provato a far sentire la voce dei pazienti e delle famiglie dei malati mitocondriali sulle vicende del piccolo Charlie.
Come vivono le famiglie dell’associazione il caso di Charlie Gard?
Le nostre famiglie vivono tutta questa vicenda con sgomento. Abbiamo visto sui giornali, in Tv, su internet la voce dei medici, dei legali, dei commentatori, ma non siamo riusciti a sentire con forza il punto di vista delle famiglie: di bambini come Charlie ce ne sono tanti. Nella nostra associazione sono decine i figli con problemi importanti che erano dati per spacciati e che nonostante tutto sono riusciti a sopravvivere e a vivere con le loro famiglie. Se passa il principio quello che e’ accaduto oggi a Charlie potrebbe accadere in ogni momento a tanti dei nostri ragazzi. Per questo abbiamo detto, abbiamo gridato: Fermatevi. ·
Ci sono terapie per il piccolo Charlie e per i bambini come lui?
Come in moltissime malattie rare, le terapie non sono ancora disponibili. Mitocon in questi anni ha supportato e continua a supportare costantemente la ricerca e quello che sappiamo è che finalmente ci sono molte ipotesi terapeutiche che si sono fatte largo recentemente. La sindrome di Charlie appartiene ad una categoria di malattie mitocondriali che proprio in questi ultimi anni hanno iniziato ad avere delle risposte. In linea di principio Charlie sarebbe potuto essere trattato con una terapia a base di nucleotidi. la cosa assurda è che non gli abbiano lasciato neppure provare, senza oneri per la collettività, visto che la famiglia aveva raccolto grazie alla grande generosità di tanti adeguate risorse per garantire al piccolo di tentare le cure in Usa.
Si tratta dunque oltre che di una cosa assurda umanamente anche illogica dal punto di vista scientifico: ogni volta che ci sono delle ipotesi terapeutiche cè sempre il problema di trovare i volontari che si vogliono sottoporre ai trial. qui abbiamo una ipotesi terapeutica idonea ed un volontario a cui si vuole impedire di tentare non solo a proprio beneficio ma anche a beneficio di altri bambini come lui che dalla conferma della efficacia della terapia potrebbero trarre motivi di grande speranza. È tutto assurdo ed illogico. ·
Secondo lei il caso di Charlie è un caso di accanimento terapeutico?
Dobbiamo chiarire alcuni concetti importanti. Hanno detto che la qualità della vita del piccolo non è ad un livello che possa garantire una vita dignitosa. Hanno detto che non ci sono terapie ed hanno detto che come conseguenza delle due cose di cui sopra ci troviamo davanti ad accanimento terapeutico. Vorrei allora spiegare che la qualità della vita di un bambino di pochi mesi di vita è altissima se questo piccolo può vivere e crescere con una famiglia intorno amorevole che lo accoglie e lo cura. Che è il caso di Charlie. Che è il caso di tanti bambini della nostra associazione.
Quali sono i criteri e gli standard di qualità della vita applicabili ad un bambino di 10 mesi?
Non stiamo parlando di un uomo attivo e di successo che da un giorno all’altro perde i sensi e non può più accudire a se stesso, dove il degrado della qualità della vita potrebbe essere evidente. Stiamo parlando di un bambino che ha intorno a se una famiglia così attenta e amorevole che mette in conto di avere una vita più difficile e faticosa pur di assicurare la vita al proprio figlio. Quindi dissentiamo fermamente sui criteri e gli standard di qualità della vita che i giudici prima inglesi e poi europei hanno voluto utilizzare.
Dobbiamo fermarci e ridefinirli. Dobbiamo stabilirli insieme a chi di questi standard ha una conoscenza diretta. E possono esserlo solo le famiglie ed i pazienti stessi. Poiché quindi è assolutamente discutibile il livello di qualità della vita di Charlie, e poiché c’è un’ipotesi terapeutica valida in linea di principio, qui non ci troviamo di fronte ad un caso di accanimento terapeutico, ma di accanimento contro il piccolo e la sua famiglia e basta.
Non le sembra che dopo questo caso siamo tutti più deboli?
Non so se siamo più deboli. So per certo che siamo più poveri. Il progresso della medicina pone degli interrogativi etici importanti. In particolare il costante progresso delle capacità diagnostiche evidenziano sempre più problemi che meritano attenzione e risorse per essere individuati e risolti. Quando pensiamo alla sostanza dei diritti. E’ necessario che ci interroghiamo sulle risorse che servono a garantirli e senza le quali i diritti sono vuoti.
Dunque pensando in generale al diritto alla vita ed alla salute è chiaro che questo deve trovare concretezza nella disponibilità delle risorse che non sono mai infinite. Ma dobbiamo ragionarci insieme. Non possiamo demandare decisioni insindacabili a chi certe esperienze non le vive o non le ha mai vissute e non ne comprende il valore. E comunque c’è diritto dei pazienti a decidere sulla propria vita e sulla propria salute che si estende alle loro famiglie nei casi dei bambini come Charlie, che deve essere inalienabile. Questo è il più grande torto fatto a Charlie e ai suoi genitori.