Garibaldi e i suoi uomini commisero crimini efferati eppure la Rai sembra ignorarlo…
di Maurizio Moscone
La TV si è fatta promotrice di un’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla storia del Risorgimento e, durante un recente TG1, ha presentato un servizio sulle dure condizioni in cui vivevano i prigionieri politici italiani nelle carceri austriache dello Spielberg. Non ha però fornito alcuna informazione sulla deportazione di migliaia di soldati borbonici, ordinata da Vittorio Emanuele II nel 1860, un anno prima della proclamazione del Regno d’Italia.
I militari, colpevoli di essere rimasti fedeli al proprio re e alla propria patria, furono imprigionati nei campi di concentramento situati a Milano, Genova, Bergamo, Alessandria, San Maurizio Canadese, Fenestrelle e in altre località del Nord. In questi campi, prefigurazioni dei lager nazisti e dei gulag comunisti, furono fatti perire per fame e malattie migliaia di soldati meridionali, che preferirono morire piuttosto che abiurare il giuramento di fedeltà alla loro patria, il Regno delle Due Sicilie.
Particolarmente crudele era la sorte assegnata a coloro che venivano reclusi nel carcere di Fenestrelle, nel quale, a causa delle gelide condizioni climatiche, la vita non superava i tre mesi e i cadaveri, per non essere identificati, venivano disciolti nella calce viva.
I fatti sopra riportati non sono a conoscenza di gran parte del popolo italiano, poiché i manuali scolastici e i mass media presentano il Risorgimento come una nuova nascita dell’Italia sul piano culturale, politico e civile e pochi sanno, ad esempio, che la spedizione dei Mille del 1860 fu voluta e gestita da Cavour, mentre l’ideatore dell’impresa garibaldina fu Giuseppe La Farina, segretario della Società Nazionale, il partito cavouriano in Italia; fu lui a convincere Garibaldi, inizialmente esitante, a intraprendere la spedizione e a fornirgli le armi (1).
Inoltre, pochi sanno che i gloriosi “mille” in realtà era una formazione paramilitare, così descritta dallo stesso Garibaldi: “Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto” (2).
Garibaldi e la sua soldataglia terrorizzarono con la loro violenza le pacifiche popolazioni meridionali. La Farina, considerato da Garibaldi suo comandante , scrisse una serie di lettere a Cavour, denunciando i crimini compiuti dall’“eroe dei due mondi” e dai suoi seguaci (3).
Gli omicidi furono numerosi e commessi in modo brutale: “Io non debbo a lei celare che all’interno dell’isola gli ammazzamenti seguono in proporzioni spaventose; che nella stessa Palermo in due giorni quattro persone sono state fatte a brani; e che tutto è stato disordinato e messo sossopra con una insensatezza da oltrepassare ogni limite del credibile” (4).
Vennero arruolati con la forza ventimila bambini di età compresa tra gli otto e i quindici anni: “Si assoldano in Palermo bambini dagli 8 e i 15 anni e si dà loro tre tari al giorno!” (5).
ll denaro pubblico venne utilizzato in modo arbitrario: “Si manda al tesoro pubblico a prendere migliaia di ducati, senza né anco indicarne la destinazione!” 6). La magistratura fu sostituita da commissioni militari nell’esercizio dell’attività giudiziaria: “Si lascia tutta la Sicilia senza tribunali né civili, né penali, né commerciali, essendo stata congedata in massa tutta la magistratura! Si creano commissioni militari per giudicare di tutto e di tutti, come al tempo degli Unni” (7).
La Farina lamentò il degrado politico e civile, in cui era costretta a vivere la Sicilia, in alcune lettere scritte a vari conoscenti. Garibaldi era contrario all’azione del parlamento, della magistratura e della polizia: “Garibaldi dichiara pubblicamente che non vuole tribunali civili, perché i giudici e gli avvocati sono imbroglioni; che non vuole assemblea perché i deputati sono gente di penna e non di spada; che non vuole niuna forza di sicurezza pubblica, perché i cittadini debbono tutti armarsi e difendersi da loro” (8).
In Sicilia non esisteva più un governo civile: “Non abbiamo nulla che possa somigliarsi ad un governo civile: non vi sono tribunali, […] non ci è finanza, avendo tutto assorbito l’intendente militare; non v’è sicurezza, non volendo il dittatore né polizia, né guardia nazionale, non v’è amministrazione, essendo sciolte tutte le intendenze” (9).
Ladri e assassini governavano la Sicilia: “I bricconi più svergognati, gli usciti di galera per furti e ammazzamenti [vengono] compensati con impieghi e con gradi militari. La sventurata Sicilia è caduta in mano di una banda di Vandali” (10). La spedizione dei mille fu finanziata, oltre che dalla cavouriana Società Nazionale, dal governo britannico, che, come risulta dalla ricerca condotta da Di Vita, versò a Garibaldi tre milioni di franchi francesi, in piastre d’oro turche (11).
Lo scopo dell’ingente finanziamento era duplice: in primo luogo consisteva nell’aiutare Garibaldi a “colpire il Papato nel centro temporale, cioé l’Italia, agevolando la formazione di uno Stato protestante e laico” (12). Il secondo obiettivo era di carattere più immediato: consentire la corruzione dei generali e dei notabili borbonici: “È incontrovertibile che la marcia trionfale delle legioni garibaldine nel Sud venne immensamente agevolata dalla subitanea conversione di potenti dignitari borbonici alla democrazia liberale. Non è assurdo pensare che questa illuminazione sia stata catalizzata dall’oro” (13).
Come mai, ancora oggi, viene tramandata una visione oleografica e mitologica del Risorgimento e i fatti sopra riportati, che sono noti agli studiosi di storia, non sono portati a conoscenza dell’opinione pubblica? Per quale motivo chi rivela tali fatti viene accusato di revisionismo, come se revisionare la storia passata fosse una colpa e non invece una necessità insita nella ricerca storiografica?
La ricerca storiografica, come sosteneva De Felice, è, per sua natura, revisionista. Lo storico non può accettare passivamente i risultati a cui è pervenuta la storiografia precedente. Egli ha il compito di vagliare accuratamente la ricostruzione dei fatti e di reinterpretare questi ultimi alla luce della scoperta di nuova documentazione.
Probabilmente questo metodo storiografico non piace all’intellighenzia di sinistra, che detiene il potere culturale in Italia, timorosa che, con la sua utilizzazione, vengano smascherate le analogie tra nazismo e comunismo, tra lager e gulag, e rivelati i crimini commessi dai partigiani rossi nel periodo successivo alla Liberazione nei confronti di migliaia di innocenti, tra i quali anche molti sacerdoti.
Note
1) Cfr. G. La Farina, Lettera a Pietro Sbarbato, 14 ottobre 1860.
2) Cfr. A. Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000, p. 232.
3) G. Garibaldi, Lettera a La Farina , 8 gennaio del 1859.
4) G. La Farina, Lettera a Cavour, 28 giugno 1860.
5) G. La Farina, Lettera a Cavour, 29 giugno 1860.
6) Ibidem
7) Ibidem
8) G. La Farina, Lettera a Ausonio Franchi, 17 luglio 1860
9) G. La Farina, Lettera a Davide Morchio, 2 luglio 1860.
10) G. La Farina, Lettera a Giuseppe Clementi, 19 luglio 1860.
11) Cfr. G. Di Vita, Finanziamento della spedizione dei Mille, in Atti del Convegno “La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria”, organizzato dal Collegio dei Maestri Venerabili del Piemonte, Torino, settembre 1988.
12) Ibidem
13) Ibidem