di Massimo Introvigne
Mentre – in modo peraltro comprensibile – l’attenzione sul viaggio del Papa in Portogallo si concentra sull’interpretazione del messaggio di Fatima e sulle sue relazioni con la crisi nella Chiesa che nasce dagli episodi dei preti pedofili, per molti rischia di andare perduta la straordinaria lezione della modernità impartita da Benedetto XVI nel Paese iberico, che ci riporta al cuore stesso del magistero di Papa Ratzinger.
Così Lutero insieme al razionalismo butta via la ragione, smantellando la sintesi di fede e di ragione che aveva dato vita alla cristianità medievale; l’illuminismo per rivalutare la ragione la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che voleva salvare; le ideologie del Novecento criticando l’idea astratta di libertà dell’illuminismo finisco per mettere in discussione l’essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Nella modernità dunque a esigenze o istanze dove non tutto è sbagliato corrispondono esiti o risposte che partono da gravi errori e si risolvono in drammatici orrori.
Il tema ha anche una sua attualità all’interno della Chiesa, dove il magistero di Benedetto XVI si è concentrato sulla corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si dice, senza sbagliare, che il Concilio si fece carico della modernità. Ma questo significa che il Concilio accolse le istanze del moderno oppure che condivise anche le risposte dell’ideologia della modernità a queste istanze?
Nel primo caso il Concilio può essere letto alla luce della Tradizione della Chiesa, che – dal Concilio di Trento, il quale si confrontò con le domande poste da Lutero dando però risposte totalmente diverse, fino a Leone XIII, di cui ricorre quest’anno il secondo centenario della nascita, di fronte alle ideologie nascenti – ha sempre accolto le istanze proposte dalla storia trovando nel suo patrimonio gli elementi per farvi fronte. Nel secondo caso il Vaticano II sarebbe invece un’innovazione radicale, un cedimento della Chiesa all’ideologia della modernità, una rivolta contro la Tradizione da leggere secondo quella che Benedetto XVI chiama “ermeneutica della discontinuità e della rottura” rispetto a tutto quanto è venuto prima.
In Portogallo il Papa torna su questi temi: e il discorso del 12 maggio a Lisbona rivolto al mondo della cultura è destinato a prendere posto fra i discorsi principali del suo pontificato. Qui, come di consueto, il punto di partenza è il Vaticano II, “nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita”.
Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le “istanze”, di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore – ma “superandole” –, e gli “errori e vicoli senza uscita” in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di ragionevole e di condivisibile.
Per il Papa la modernità come plesso di esigenze può e deve essere presa sul serio e diventare oggetto di discernimento. La modernità come ideologia dev’essere invece oggetto di una rigorosa critica. Questa ideologia comporta il rifiuto della tradizione – quella con la “t” minuscola, come patrimonio culturale trasmesso dalle generazioni passate, e quella con la “T” maiuscola come verità conservata e veicolata dalla Chiesa – e l’idolatria del presente.
In Portogallo il Papa denuncia un’ideologia che “assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato” e quindi fatalmente finisce per presentarsi “senza l’intenzione di delineare un futuro”. Considerare il presente la sola “fonte ispiratrice del senso della vita” porta a svalutare e attaccare la tradizione, che in Portogallo – e non solo – “ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una ‘sapienza’, cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un ‘ideale’ da adempiere”, strettamente legati all’idea di verità e all’identificazione di questa verità con Gesù Cristo. Dunque “si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo”.
Il “‘conflitto’ fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita”. In questo conflitto la Chiesa non ha dubbi su da che parte stare. “La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione”: parole di Benedetto XVI che richiamano – certo con uno stile e un linguaggio diverso – quelle del suo predecessore san Pio X nella lettera apostolica del 1910 Notre charge apostolique secondo cui “i veri operai della restaurazione sociale, i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti”.
La difesa della verità contro il culto relativistico e anti-tradizionale del presente è una missione “per la Chiesa irrinunciabile”, ripete Benedetto XVI. “Infatti il popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia”. Chi rinuncia alla tradizione e taglia il suo legame con il passato in nome di un culto modernistico del presente si priva al tempo stesso di ogni vera possibilità di “delineare un futuro”.