Per Rassegna Stampa 7 Dicembre 2017
Un romanzo, ma anche una ricostruzione rigorosa sui motivi per cui il discepolo diventato sinonimo di tradimento ha consegnato di fatto Cristo ai suoi carnefici
di Pietro Licciardi
Come ha potuto Giuda ben Shimon, uno dei discepoli, tradire Gesù? Egli aveva condiviso per ben tre anni le peregrinazioni del rabbi per tutto Israele e anche oltre, assistendo a ogni sorta di prodigi: guarigioni, resurrezioni, moltiplicazione di pani e pesche miracolose. Cose inaudite che nessun mago o illusionista sarebbe stato capace di fare. Eppure…
E’ vero, gli ebrei aspettavano un Messia, capace di fare cose grandi per il suo popolo, ma che doveva essere di tutt’altra specie; innanzitutto si aspettavano un re capace di guidare la nazione verso la vittoria sugli odiati romani e di suscitare un esercito così potente da assicurare la supremazia del popolo eletto sul mondo. Si capisce perciò come grande deve essere stata la delusione nel costatare che questo rabbi neppure ci pensava a istaurare un simile regno. Al contrario predicava la pace, l’amore per il prossimo, compresi gli odiati occupanti di Gerusalemme. Ma da qui a tradire… Un uomo poi da tutti considerato buono e giusto, pronto a ridare pace e salute ai sofferenti ovunque si recasse. Perché ?
Lo spiega Giuda stesso nell’ultimo libro di Rino Cammilleri, saggista e giornalista: “Il mio nome è Giuda”, edito da la Fontana di Siloe, 265 pagine, 19,50 euro. Un romanzo che ripercorre con la narrazione del discepolo le vicende che lo videro coinvolto accanto a Gesù negli anni della sua predicazione, fino a quella notta fatale nell’orto degli ulivi. Un racconto, come ci ha ormai abituati l’autore, che è anche una ricostruzione densa di notizie tratte da una solida visitazione di documenti storici
Ma torniamo al nostro Giuda ben Shimon.
Anche gli altri discepoli avevano seri dubbi su chi fosse Gesù. Anche loro fino all’ultimo si erano quasi litigati su chi avesse il privilegio di sedere alla destra di quello che secondo loro doveva essere il nuovo re d’Israele e su come accaparrarsi gli incarichi migliori. Quando poi le cose si misero male si rintanarono pieni di paura e ci volle la discesa dello Spirito Santo per aprire loro le menti e fargli comprendere ciò che fino ad allora non avevano del tutto compreso.
Eppure anche loro avevano visto e udito. Ma gli altri undici erano per lo più uomini semplici e poco istruiti. Giuda no, lui era un ebreo colto, che da tutta la vita si preparava alla venuta del Messia studiando ai piedi dei migliori maestri. Conosceva per filo e per segno le scritture e i passi che predicevano la venuta del nuovo re e non sarebbe caduto in alcuna trappola; non sarebbe stato uno di quei gonzi accecati d’odio pronti a seguire il primo sobillatore di animi per poi fare invariabilmente la fine dei capretti al macello, scannati dai romani nel corso di una delle ricorrenti rivolte. Giuda Sapeva bene chi doveva essere il vero Messia ma nonostante si fosse risolto a seguirlo, il dubbio poco a poco si insinua fino a prendere il sopravvento.
Scorrendo le pagine del libro, man mano che il protagonista manifestale sue perplessità e vede venir meno le aspettative, nel lettore si insinua il dubbio: anch’io sono come Giuda? Anche noi sappiamo bene chi deve essere Gesù: un sindacalista, un assistente sociale, un rivoluzionario, il nostro personal trainer spirituale e molto altro ancora e anche se inizialmente ci mettiamo con entusiasmo alla sua sequela quando non corrisponde alle nostre aspettative presto ci facciamo prendere dal dubbio e volentieri facciamo come Giuda: lo abbandoniamo.
Al temine della lettura del libro è tornata alla memoria di chi scrive il passo del Vangelo di Giovanni: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza».