Dalla newsletter dell’AMCI (Associazione medici cattolici italiani) Febbraio 2018
Tonino Cantelmi
Tre domande per una questione davvero fondamentale, quella del rapporto fra Ivg e salute mentale. Eccole. La prima domanda è questa: l’interruzione volontaria della gravidanza, comunque attuata, è un fattore di rischio per la salute mentale della donna? Ed ecco la risposta: sì, lo è.
Una gran mole di studi scientifici condotti in tutto il mondo lo dimostra – come avevamo documentato qualche anno fa nel volume Maternità interrotte (San Paolo) – . Ma preferisco citare il British Journal of Psychiatry, che ha presentato uno studio nel 2011, ad oggi la più grande stima quantitativa dei rischi per la salute mentale associati all’aborto disponibile nella letteratura mondiale. Studio mai smentito da dati successivi.
Il campione della metanalisi ha compreso 22 studi e 877.181 partecipanti e ha concluso che le donne che hanno subito un aborto presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale. È anche stato dimostrato che quasi il 10% di incidenza (cioè di nuovi casi psichiatrici in un anno) dei problemi di salute mentale è direttamente attribuibile all’aborto.
I ricercatori si augurano che queste informazioni vengano fornite alle donne in procinto di abortire. Se dunque l’Ivg è un fattore di rischio per la salute mentale delle donne – e per l’appunto lo è – allora ci sono due conseguenze.
La prima: le donne che si accingono a praticare una Ivg dovrebbero conoscere questi dati, altrimenti il consenso che esprimono, non è un consenso informato. In Italia, attualmente, in tutti i luoghi dove si pratica l’aborto, viene violato proprio quanto sancito dalla legge 194, cioè l’obbligo ‘forte’ di informare correttamente la donna sulle conseguenze dell’Ivg. La mancanza delle conseguenze psichiche dell’Ivg è una grave violazione della legge 194 e dimostra il fallimento dell’opera di prevenzione e di sostegno dei consultori pubblici.
La seconda conseguenza è però questa: occorre farsi carico di questo problema, assicurando alle donne che hanno abortito una reale assistenza psicologica anche dopo l’aborto. Dunque luoghi di cura e di accoglienza, operatori competenti sui disturbi psichici correlati all’Ivg e percorsi assistenziali specifici. Anche in questo caso il sistema sanitario nazionale è inadempiente: forse il ministero della Salute, Beatrice Lorenzin, non lo sa, ma né i consultori né la rete dei dipartimenti di salute mentale
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