13 Giugno 2018
Difendendo l’Humane Vitae, Costanza Miriano ha spiegato: «Oggi siamo davanti alle macerie di una sessualità disordinata, in cui la contraccezione ha prodotto separazioni e abbandoni, siamo più infelici pure dal punto di vista sessuale. Anche se a volte la Chiesa si vergogna di dirlo e di annunciare gli insegnamenti di un’enciclica che danno gioia».
di Valerio Pece
Ospite a Brescia della Giornata di studi “Humanae Vitae – La verità che risplende”, colei che il quotidiano britannico Catholic Herald ha definito «la scrittrice cattolica più pericolosa del mondo» non si smentisce. E incanta i 500 dell’Auditorium San Barnaba con una narrazione sull’enciclica montiniana diametralmente opposta alla vulgata corrente. Abbiamo requisito Costanza Miriano a convegno in corso, ricevendo in dono queste ricche, appassionate e scoppiettanti riflessioni.
Proprio mentre lei difende accoratamente l’Humanae Vitae, molta parte della Chiesa sembra aver sostanzialmente abdicato rispetto all’insegnamento dell’enciclica. Come lo spiega?
Forse 50 anni fa si poteva anche capire una certa timidezza, le sorti magnifiche e progressive della contraccezione avevano sedotto molti. Oggi però facciamo i conti con le macerie di una sessualità disordinata, in cui la contraccezione è “di routine”. Mamme che portano le figlie, appena dopo lo sviluppo, a prendere la pillola affinché siano “pronte”, poveri ragazzi a cui già alle medie viene insegnato come mettersi il preservativo. Saremmo anche evoluti, ma non mi pare di vedere in giro una grande felicità, neppure dal punto di vista sessuale.
É per questo che ha parlato di “vendetta” dell’Humanae Vitae?
Sì. E non parlo delle conseguenze sociali della mentalità contraccettiva, anche se la piaga denatalità è autoevidente, parlo di ciò che mi interessa davvero: la felicità delle persone.
Chi non si rifiuta di parlare di denatalità è il mondo liberal, per il quale la risposta all’inverno demografico c’è: è l’immigrazione.
Il tema dell’immigrazione è complesso e non credo di padroneggiarlo. Certo, quel che vedo a Roma, con accampamenti selvaggi e strade che sono latrine a cielo aperto, non è certo accoglienza. Non credo che Gesù parlasse di questo quando diceva «ero forestiero e mi avete accolto». L’accoglienza va fatta in modo organizzato e soprattutto dignitoso.
Diceva che a lei interessa la felicità delle persone…
L’impoverimento è sotto gli occhi di tutti. Le famiglie che restano in piedi sono sempre meno, ancora meno sono quelle che fanno figli. Senza parlare della fragilità affettiva nei ragazzi, tanti dei quali sono figli di separati. Dobbiamo dirci la verità: dalla comparsa della pillola sono discese conseguenze enormi, forse è l’evento più deflagrante della modernità. Se abbiamo un cuore non possiamo chiudere gli occhi di fronte a queste rovine.
Alle lettrici del suo blog ha lanciato un appello, invitandole a raccontare la loro verità sull’enciclica. Com’è nata l’idea?
Alla Gregoriana avevo ascoltato don Maurizio Chiodi parlare di “obbligo alla contraccezione” (assicuro che quella relazione l’ho ascoltata tutta) mentre non ho sentito niente della bellezza che testimoniano le persone che invece hanno provato a vivere Humanae Vitae. Dico provato perché si può anche cadere per poi rialzarsi.
Siccome l’enciclica di Paolo VI non è stata recepita, dovrebbe per questo essere quantomeno “ripensata”. Lei sostiene che sia questa la posizione più o meno ufficiale di non pochi moralisti.
Io però sono piena di amici che sull’insegnamento della Chiesa ci hanno costruito la vita. Quell’insegnamento per loro è carne, ci si sono aggrappati e si sono fidati. Visto che sul piano teologico non potevo replicare ad un professore della Pontificia Accademia per la Vita, ho chiesto alle persone di raccontare le loro storie.
Il risultato dell’appello alle sue lettrici?
Un mare di testimonianze commoventi. Coppie sposate da decenni che continuano a desiderarsi, perché aver educato il cuore all’attesa, al rispetto, è qualcosa che aiuta il desiderio, anche quello sessuale. Il vero amore è il contrario del possesso. C’è bisogno di un modo completamente diverso di vivere la relazione, che va consegnata nel cuore di Dio, come a dire: “Noi siamo tuoi alleati”. Da quel momento Dio combatterà al fianco degli sposi. Ma se questi mettono una barriera tra loro e Dio, lui, che la nostra libertà la rispetta fino in fondo, non interviene.
Secondo lei è davvero da quella barriera, da quel “fare da soli”, che nasce l’impoverimento affettivo imperante?
Certo! Come al solito il nemico è riuscito a far passare esattamente l’opposto, cioè l’Humanae Vitae è una gabbia e chissà gli altri come si divertono… Quel che possiamo opporre a questa falsa vulgata sono i racconti delle persone, concordi nel dire che è l’apertura alla vita a rendere felici. Le testimonianze più efficaci sono quelle di chi ha vissuto entrambi i modi di vivere la sessualità. Molti, magari per paura di avere altri figli, hanno confessato che per un periodo hanno usato la contraccezione, avvertendo subito con chiarezza che il loro rapporto affettivo ne stava risentendo molto pericolosamente.
Tutto vero, dopotutto sono storie vissute. Oggi, però, circa la contraccezione domina il mantra del “che male c’è”. Come la mettiamo?
Chi non ha un cammino di fede serio non riesce a capire e si può scusare, ma un sacerdote che consiglia la contraccezione in una conferenza, no. É come entrare in un bar in cui sono già tutti ubriachi e dire che però ogni tanto un goccetto si può bere. Ma se già fanno tutti come vogliono! ..É che la Chiesa a volte si vergogna di Cristo, “fa la cortigiana della storia”, come diceva don Giussani; prova soggezione nell’annunciare qualcosa di così completamente estraneo al sentire comune.
Chi sono quegli sfrontati che non si adeguano ancora al pensiero unico dominante?
Chi cerca di vivere un rapporto autentico con il Signore. Queste persone, che non sono poche, sanno che con lui c’entra con tutto, ogni nostro gesto. Lo spiega bene San Paolo: «Sia che mangiate, sia che beviate, sia che dormiate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio». Possiamo davvero pensare che l’atto più significativo dell’unione coniugale, il rapporto sessuale, possa sfuggire a questa relazione vivificante senza in qualche modo svalutarsi?
Precisamente cosa significa per un credente vivere la contraccezione come prassi?
Significa dire: «Non permetto che Dio si intrometta nella mia vita fino a questo punto». Significa tagliare fuori Dio, creatore del cielo e della terra, dalla relazione. Questo impoverisce e rende il rapporto tra gli sposi maledettamente più fragile. Quando Cristo inabita la relazione è veramente un’altra cosa, la trasfigura.
“Il centuplo quaggiù”, questo il titolo della sua relazione al Convegno sull’Humanae Vitae. Ce lo spiega?
Una premessa. L’apertura alla vita è anche molto conveniente da un punto di vista umano. Insomma, il preservativo diminuisce il piacere e la pillola fa malissimo. A parte la ritenzione idrica, le cui conseguenze per noi donne non sono poca cosa, la pillola altera tutto l’equilibrio femminile, che è un equilibrio di pelle, di unghie, di capelli, di appetito; di umore, soprattutto. Anche se la cosa più grave fra tutte è che la pillola, nell’1% dei casi, può non impedire il concepimento, ma solo l’annidamento. Siamo quindi di fronte a un aborto, inconsapevole ma sempre aborto. In ogni caso per la donna la pillola è sconvenientissima, è una vera violenza.
L’alternativa sono i metodi naturali, snobbati da sempre.
Sbagliando moltissimo, però. Quello che viene chiesto con i metodi naturali è solo un po’ di pazienza nel conoscersi. D’altronde, come ricordava anche il cardinale Eijk al Convegno, è talmente breve il periodo “pericoloso”.. Se poi si vuole essere sicurissimi lo si allunga a 5 giorni. Aprirsi alla vita conviene, dunque, da tutti i punti di vista: quello umano (libertà e piacere massimo perché non ci sono barriere), quello medico (addio scatti d’ira e mal di testa) e anche se è l’ultimo dei miei pensieri, quello ecologico. Il centuplo quaggiù, appunto.
Come ha influito la mentalità contraccettiva sull’uomo?
Da sempre il desiderio sessuale dell’uomo ha rappresentato una grande spinta a costruire un progetto, a rimboccarsi le maniche cercando un lavoro per formare una famiglia. Se l’uomo può avere il sesso “gratis”, cioè senza impegni, senza bisogno di investire in una relazione, tende chiaramente ad abbassare lo standard. «Perché comprare la mucca se puoi avere il latte gratis tutti i giorni?», Paul Newman può sembrare un po’ brutale ma dice la verità. La contraccezione come habitus mentale ha pesato molto sul desiderio dell’uomo di spendersi, di donarsi, di dare la vita, di investire in qualcosa di stabile. E la prima a soffrirne è la donna.
Perché?
Innanzitutto per la promiscuità, non essere scelta in modo esclusivo deprime e addolora. E poi per un motivo banalmente biologico. Mentre l’uomo può far figli fino a 70 anni, penso a Charlie Chaplin (altro, poi, è se riesca anche a tenerli in braccio), la donna a un certo punto esaurisce il tempo della fertilità. Mi viene in mente la chiacchierata di qualche giorno fa con una cassiera…
Che le ha detto la cassiera?
Mentre mi raccontava che non aveva figli «perché non ho tempo, devo lavorare e pagare la colf che mi pulisce casa» un pensiero mi angosciava: ci sono riusciti, ci hanno convinto che 12 ore alla cassa di un supermercato siano meglio che stare a casa con un marito e dei figli. Come siamo arrivati a quest’inganno? Quand’è successo esattamente?
Nel cuore della Brescia montiniana ha affermato che «spetta alle donne il compito di difendere la profezia che la Chiesa ci ha fatto».
Sì, credo che l’annuncio della Chiesa ribadito da Humanae Vitae possa essere difeso solo dalle donne. Da quelle stesse donne che ancora oggi continuano a esultare per le vittorie irlandesi sull’aborto, a lamentarsi degli uomini, a comprare 600.000 scatole di pillole del giorno dopo per abortire da sole a casa. Dopo questi 50 anni di esperimenti in corpore vivo è importante tornare ad aiutare gli uomini a fare cose grandi, ad alzare l’asticella della felicità, a sognare e a costruire. Spetta alle giovani donne annunciare all’uomo la grandezza e la bellezza di cui può essere capace.