Cultura Cattolica giovedì 17 gennaio 2013
21 gennaio 1793, la verità in ricordo di Luigi XVI, re cattolico. 220 anni dopo!
di Luca Costa
“Venerabili Fratelli. Come mai le lacrime e i gemiti non soffocano le Nostre parole? Non Ci conviene piuttosto esprimere con i gemiti anziché con le parole quell’immenso dolore dell’animo che Vi dobbiamo manifestare, mentre Vi esponiamo quanto è successo a Parigi il 21 gennaio del corrente anno? Spettacolo orrendo di crudeltà e di barbarie!”. Così comincia la Quare lacrymae Pio VI, (giugno 1793). Ma cosa era accaduto di così crudele e terribile?
Il 21 gennaio del 1793 a Parigi, era stato ucciso Luigi XVI, ghigliottinato.
Quel giorno, la macchina inventata da Joseph-Ignace Guillotin, venne trasportata in Place de la Révolution (oggi Place de la Concorde) [1], abbastanza ampia da consentire a dodicimila uomini armati di dissuadere chiunque dal tentare una sortita per liberare Luigi (si era diffusa la voce qualcuno volesse assassinare il Re per sottrarlo all’umiliazione di esser ucciso dallo Stato), nel tragitto tra la prigione del Tempio, nella quale era rinchiuso da quattro mesi, e il luogo dell’esecuzione.
Le sue ultime parole: “Muoio innocente, sono innocente di quanto mi si accusa. Spero che il mio sangue possa cementare la felicità dei francesi”. Sui giornali del giorno dopo, il più feroce dei suoi aguzzini, Marat, scriveva: “Non c’è più modo di tornare indietro. Siamo infine approdati sull’isola della libertà e abbiamo bruciato le navi che avevano portato fin qui. Eccoci lanciati, le strade sono tagliate dietro di noi”.
Come si era arrivati a questo folle punto di non ritorno? Chi aveva condannato Luigi XVI, e perché?
C’è un primo punto che è doveroso sottolineare: Luigi XVI non fu mai veramente processato. Quello a Luigi XVI non fu affatto un processo. Soprattutto non lo fu visti i principi tanto sbandierati dai rivoluzionari, tantomeno per la Dichiarazione dei diritti. Un processo può dirsi tale se celebrato da e davanti a un tribunale, a un giudice, con precise garanzie di difesa per l’imputato, un’accusa determinata, un sano contraddittorio. E, invece, chi condannò Luigi?
La Convenzione, cioè quel Parlamento rivoluzionario nel quale dal settembre 1792 imperversavano giacobini, montagnardi, (in prima fila il trio Robespierre, Marat, Danton) che odiavano profondamente la monarchia e la Chiesa. E Luigi era il re Cattolico [2]. Il re cattolico che in estate (sempre 1792) si era rifiutato di firmare quella legge dei sospetti che prevedeva la deportazione nelle colonie penali dei tropici per ogni religioso accusato da chicchessia di essere refrattario (cioè di rifiutare fedeltà allo Stato invece che al Papa).
Un uomo ucciso senza un regolare processo, Luigi XVI. Già questo basterebbe a condannare senza riserve tutta l’esperienza rivoluzionaria. Ma c’è di peggio. Qual era l’accusa mossa contro di lui? In teoria, l’aver cospirato. In pratica, l’essere stato re.
Nel settembre 1792 avvenne la vera e propria Rivoluzione. La Francia cessò di essere una monarchia per divenire repubblica. L’esperienza si stava rivelando un disastro. Inoltre, il paese resisteva al nuovo potere. Dopo il fallimento della costituzione civile del clero, che il popolo rigettò categoricamente, inorridito; stava degenerando anche il patetico tentativo di decristianizzare il paese attraverso una nuova religione di Stato: il culto della dea ragione, l’essere supremo. In poche parole l’ateismo intelligente massonico, mascherato da divinità.
Così, dopo aver profanato i conventi, ucciso brutalmente e deportato decine di migliaia di religiosi, ora le cattedrali subivano la trasformazione in “templi della ragione”. I giacobini si inventavano nuovi riti come il battesimo civile-repubblicano, per il quale viene composto “L’Hymne à la Jeunesse” (in vigore in Francia ancora oggi, e c’è chi ha il coraggio di parlare di Stato “laico” di uno stato dove i sindaci battezzano, notare che c’è chi, come l’UAAR, vorrebbe importare certe commedie in Italia), il matrimonio civile e altro.
La Convenzione sente la nazione bollire. L’introduzione degli Assegnati si è rivelata un disastro per le fasce povere della popolazione. L’inflazione sale alle stelle: i beni di prima necessità, nell’autunno 1792, costano tre volte tanto rispetto all’89. La Francia ha fame. A causa del collasso dell’economia provocato dalla “nuova gestione” [3] si rende necessaria la coscrizione di un milione e duecentomila uomini per l’invasione dell’Europa, al fine di depredarla delle risorse necessarie per non far implodere l’intera impalcatura repubblicana.
Serve un capro espiatorio, un responsabile. Robespierre, Marat, Saint-Just e Danton si convincono che finché il re sarà vivo la repubblica non potrà essere altro che un ibrido deforme. Decidono così che devono ricadere sul Capeto le colpe della crisi, si deve gridare alla nazione che Luigi complotta dal carcere con i re stranieri, costringendo il paese alla guerra e alla fame.
Perché la Rivoluzione si compia, e la rifondazione, la rigenerazione della patria cominci a dar frutti, l’ex sovrano deve morire.
L’accusa formale di “tradimento verso la nazione e cospirazione” è assurda, è soltanto un pretesto, e non si fa nulla per nasconderlo. Durante il dibattito (durerà dal settembre 1792 al gennaio 1793), Robespierre il 3 dicembre 1792 osa addirittura affermare apertamente dal palco della Convenzione: “Il re non deve morire perché forse ha complottato, o perché forse era in contatto con l’Austria, il re deve morire perché è il Re! Occorre condannarlo a morte seduta stante, in virtù del diritto di insurrezione. Un re detronizzato in una repubblica può servire soltanto a turbare la tranquillità dello Stato e far vacillare la libertà. In effetti qual è la decisione che una buona politica prescrive per consolidare la repubblica nascente? È quella di imprimere profondamente nel cuore il disprezzo per la monarchia e impressionare tutti i partigiani del re”.
Il nuovo potere è astuto. Comprende che il re, anche se detronizzato, deve essere eliminato con impresso il marchio di “nemico del popolo”, proprio perché il popolo si riconosceva ancora in lui, rifiutando le ragioni del “progresso” rivoluzionario.
Robespierre prosegue l’attacco: “Non c’è nessun processo da fare. Luigi non è un accusato. Voi non siete giudici. Voi non siete altro, e non potete essere altro che degli uomini di Stato e dei rappresentanti della nazione. Non dovete emettere una sentenza pro o contro un uomo, ma dovete prendere un provvedimento di salute pubblica, dovete compiere un atto per la salvezza della nazione”.
Alcuni deputati propongono un plebiscito che confermi quella che sarà la sentenza. Robespierre, Marat e Saint-Just esplodono di rabbia alla proposta: “O egli è condannato o è condannata la Repubblica. Proporre in un modo o nell’altro di fare il processo a Luigi, significa ritornare indietro verso il dispotismo monarchico e costituzionale: è un’idea controrivoluzionaria, significa mettere in discussione la rivoluzione stessa: se Luigi può essere oggetto di processo, Luigi può anche essere assolto. Che dico? E presunto innocente fino a che non sarà giudicato. Ma se Luigi viene assolto, se può essere presunto innocente, che ne sarà della rivoluzione? Se Luigi è innocente tutti i difensori della libertà si trasformano in calunniatori. Luigi deve morire, perché la patria deve vivere”. Tuona Robespierre.
Luigi, gettato nella prigione del Tempio insieme alla famiglia (il piccolo Luigi XVII non ha nemmeno dieci anni, è chiuso in una cella al freddo infestata da topi e insetti, non si riprenderà più) senza poter conferire con nessuno, fu difeso degnamente dagli avvocati Tronchet, de Séze e Malesherbes, ma comparve solo due volte per parlare di fronte alla Convenzione, l’11 e il 26 dicembre. Dimagrito, ammalato, piegato dalla detenzione, si appellò semplicemente alla Costituzione, che prevedeva la sua immunità, e al fatto che non vi era nessuna prova della sua pretesa cospirazione contro lo Stato (dopotutto era da mesi in cella senza poter vedere nemmeno la moglie; ed era la Francia che stava invadendo l’Europa e non il contrario). Inoltre, i documenti a suo carico trovati alle Tuileries erano palesemente falsi. Un qualsiasi Tribunale avrebbe assolto Luigi in cinque secondi.
Le sorti del re vennero affidate alla maggioranza semplice dopo un intervento di Danton. La convenzione decise (nell’ordine): che Luigi era colpevole, che doveva morire e che non si sarebbe fatto alcun appello al popolo. Le modalità con cui si svolsero le operazioni di voto sono imbarazzanti; la Rivoluzione abolì le più elementari norme di civiltà e giustizia. Fu imposto il voto per chiamata nominale, dalla tribuna, per dichiarazione individuale espressa a voce alta. Metodo che vanificò la libertà (sarebbe servita in un caso così anche la segretezza) del voto. Montagnardi armati minacciavano, all’interno della stessa assemblea, i deputati prima della pronuncia.
E’ un membro della Convenzione, Carnot che ci conferma, nelle sue memorie, tali metodi: “Luigi XVI sarebbe stato salvato se la Convenzione non avesse deliberato sotto la minaccia dei pugnali”.
Come se ciò non bastasse, in una assemblea trasformata in un tribunale di piazza assetato di sangue, successe ben altro. Fu fatto entrare e votare uno scrittore belga, tale Robert, che non era neppure cittadino francese. Quattro deputati supplenti votarono contemporaneamente ai deputati titolari, altri erano assenti. Cinque votanti non risultavano essere nemmeno deputati ed erano quindi privi di qualunque legittimità. Vi è, infine, il fatto di tre membri della Convenzione che, per non essere costretti a votare la morte del proprio Sovrano, sollevarono (inconfutabili) pregiudiziali sulla mutazione dell’assemblea in Tribunale, si dichiararono incompetenti come giudici ed abbandonarono l’aula. Furono ritrascinati in aula e, sotto la minaccia dei pugnali, votarono per la morte del Re.
Da dove veniva tanto odio? Cosa fu veramente, e cosa determinò la Rivoluzione? Servirebbero biblioteche intere per definire la questione. Scelgo qui di presentare il mio punto prospettico sulla questione attraverso due brevi scritti, che se confrontati con il dovuto criterio reputo davvero efficaci. Sono citati entrambi nell’imprescindibile opera di Pierre Gaxotte “La Rivoluzione francese”. Il primo è di Voltaire ed è degli anni antecedenti la Rivoluzione, l’altro, del Conte di Segur, è successivo.
Voltaire: “È arrivata l’ora in cui tutti i filosofi devono unirsi. Fate corpo, radunatevi, e sarete padroni. Per farlo, dobbiamo calunniare, screditare, distruggere l’Infame. Dobbiamo infangare la loro condotta, trascinarli davanti al pubblico come persone viziose; dobbiamo presentare le loro azioni sotto una luce odiosa. Se ci mancano i fatti non importa, calunniare, supporre l’esistenza di azioni torbide, con malizia, fingendo astutamente di nascondere in realtà le loro vere colpe, così da sembrare innocenti. Tutto è permesso contro di essi. Colpite e nascondete la mano. I misteri di Mithra non devono essere divulgati”.
Ecco invece un passaggio tratto dalle Memorie del Conte Luigi Filippo di Segur: “Quanto a noi, giovane nobiltà francese senza rimpianti per il passato né inquietudine per l’avvenire, camminavamo lieti su un tappeto di fiori che ci occultava l’abisso. Ridenti denigratori dei vecchi costumi, dell’orgoglio feudale dei nostri padri e della loro etichetta solenne, tutto ciò che era tradizione ci sembrava ingombrante e ridicolo. La gravità delle vecchie dottrine ci pesava. La libertà, qualunque fosse il suo linguaggio, ci piaceva per il suo coraggio, l’uguaglianza per la sua semplicità. È piacevole scendere verso il fondo finché si crede di poter risalire, e noi, imprevidenti, gustavamo i vantaggi del patriziato insieme alle dolcezze della filosofia plebea. Così, quelli che fossero i privilegi e i resti della nostra antica potenza che venivano minati sotto i nostri passi, questa piccola guerra ci piaceva. Non ne sentivamo i colpi, godevamo solo lo spettacolo nelle feste scintillanti dominate da filosofi che come alta società ci permettevamo. Non ci accorgevamo che l’edificio era minato. Ridevamo dei preoccupati allarmi del clero e della vecchia corte. Partecipavamo, discutevamo coi i filosofi, applaudivamo gli spettacoli repubblicani nei nostri teatri, le opere più ardite dei letterati. Ma quando gli aristocratici acclamano quelli che li impiccano in effigie, si può prevedere che non passerà molto tempo prima che vengano impiccati sul serio”.
Papa Pio VI condannò senza alcuna riserva il mostruoso omicidio di Luigi XVI, Re Cristianissimo, ucciso per odio contro la Fede e in oltraggio ai dogmi del Cattolicesimo: “Ahi Francia, ahi Francia! Chiamata dai Nostri predecessori “specchio di tutta la Cristianità e sicura colonna della Fede”, tu che nel fervore della Fede cristiana e nella devozione alla Sede Apostolica non hai mai seguito le altre Nazioni, ma le hai sempre precedute! Quanto sei lontana da Noi oggi, con codesto animo così ostile verso la vera Religione: sei diventata la più implacabile nemica fra tutti gli avversari della Fede che mai siano esistiti!”.
“Ahi Francia, ancora una volta! Tu che hai chiesto di avere un re cattolico, poiché le leggi fondamentali del regno non esigono nessun altro re se non cattolico, proprio perché era cattolico lo hai ucciso!”.
L’uccisione di Luigi XVI fu un atto disumano, una vergogna per tutta la Francia e per l’Europa che non intervenne prontamente in sua difesa. Dopo 220 anni sarebbe il momento di proporre i fatti della Rivoluzione, e mandare il mito in pensione.
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Note
1). Durante il Terrore dell’anno II della Repubblica, la ghigliottina veniva continuamente spostata in diverse piazze di Parigi. Questo perché il ritmo delle decapitazioni era così elevato che il terreno non riusciva ad assorbire il sangue, creando evidenti problemi igienici, avveniva quindi una sorta di “rotazione” dei luoghi per le esecuzioni. Prima, nel maggio 1793, era avvenuto un “trasloco” piuttosto paradossale: la macchina era in Place de la Reunion, visibile dalle stanze delle Tuileries occupate dalla Convenzione Nazionale; ma i parlamentari non ne sopportavano la vista e comandarono, innervositi, che essa venisse reinstallata nel luogo dell’uccisione di Luigi, in Place de la Révolution appunto.
2). È necessario sottolineare la granitica fede cattolica di Luigi. Rifiutò fino all’ultimo di confessarsi a sacerdoti costituzionali, e quando il suo confessore fu assassinato, pretese, come ultima volontà, di essere assolto da un prete fedele al Papa.
3). Il 15 dicembre 1792, la Convenzione approva la proposta del Ministro delle Finanze Clavière: far mantenere l’esercito al nemico, cioè ai paesi “liberati”. Clavière sostiene che l’aiuto della Francia non può essere gratuito, ma implica da parte delle nazioni “assistite” una completa sottomissione alle leggi rivoluzionarie. Traduzione: i soldati francesi devono trovare di che vivere in casa dei popoli occupati, saccheggiano, rubano tutto ciò che possono (che si vedono portare oro e argento delle casse pubbliche e delle Chiese a Lille e poi a Parigi). Proprio quando tocca all’Olanda subire la libertà, l’Inghilterra si sveglia e scende in campo per impedire che venga depredato il paese che con il suo oro sostiene il debito pubblico di Londra.