14 Luglio 2018
Dittatura, razzismo, volontà di leadership globale, ambizione di riscrivere l’ordine mondiale. Questi quattro elementi, combinati tra loro e bene evidenti nella Cina contemporanea, hanno un precedente storico che ha determinato conseguenze drammatiche. E’ anche nostra responsabilità avere piena consapevolezza del pericolo che abbiamo davanti, affinchè la storia non si ripeta.
La prima volta in cui ebbi prova che i cinesi sono un popolo di razzisti, mi capitò qualche anno fa in Italia. In occasione di un meeting di lavoro, la mia collega cinese mi disse con apprensione di non fidarmi della controparte, in quanto uno dei due interlocutori era nero.
Ricordo che fece uno sforzo evidente anche solo per stringergli la mano. Negli anni seguenti, frequentando con continuità la Cina, ebbi ulteriori conferme di questa insita convinzione cinese di essere una razza superiore.
In seguito, leggendo il libro di Federico Rampini – Occidente estremo, mi impressionò quanto affermato da un sinoamericano di quarta generazione: “anche se il mio quadrisnonno arrivó in America centoventicinque anni fa, non ritengo di essere diventato americano ma sono sempre un cinese. Sia tra quelli come me, nati in America, sia tra gli immigrati arrivati di recente, c’è una convinzione comune: che noi cinesi siamo superiori a qualunque altra razza”.
Interessante notare che negli anni Sessanta, all’epoca delle battaglie per i diritti civili da parte dei neri d’America, i cinesi non assunsero nessun ruolo attivo, malgrado fossero anche loro oggetto di gravi discriminazioni. Tuttavia per i cinesi sarebbe stato impensabile far fronte comune con il movimento di Martin Luther King.
Questo convinzione “di superiorità razziale”, ignobile e ripugnante, poteva costituire un problema circoscritto fino a quando la Cina ha mantenuto un ruolo marginale ed isolato. Ma ora che sta emergendo come superpotenza globale, che effetto potrà avere il razzismo implicito dei cinesi e la loro visione gerarchica dei rapporti tra i popoli? Questo è il quesito che si pone Martin Jacques nel saggio When China Rules the World.
Adesso dobbiamo solo capire se anche il razzismo fa parte dei diritti concessi alla Cina e quindi non oggetto di condanna da parte del consesso mondiale. Anzi, come abbiamo visto recentemente, la Cina viene indicata da (autorevoli?) esponenti politici, come virtuoso esempio a cui ispirarsi.
Comunque le prime risposte iniziano ad arrivare dall’Africa, dove la Cina sta imponendo una nuova forma di colonialismo e dove quindi la questione razziale può manifestarsi con grande facilità.
Un esempio recente arriva dal Kenya (Franco Nofori – AfricaExpress.info 11.7.2018). L’amministratore delegato della Kenya Railways, Atanas Maina, a cui è affidata la supervisione delle attività della nuova ferrovia Mombasa-Nairobi, costruita e condotta dalla società cinese CRBC (China Road and Bridge Corporation), ha ordinato un’inchiesta per verificare le numerose segnalazioni di discriminazione, attuati da personale cinese nei confronti dei colleghi africani. Il caso è esploso a seguito di molte testimonianze raccolte dal quotidiano The Standard, presso il personale di colore della ferrovia. Secondo tali testimonianze, lo staff cinese, ostenterebbe verso quello africano, un arrogante atteggiamento di superiorità.