Ogni vittoria elettorale è vana senza un’egemonia culturale
di Giorgio Israel
Il direttore del Foglio Giuliano Ferrara ha osservato giustamente che, se in tanti anni e dopo che tante volte il popolo ha dato mandato alle bandiere garantiste non si è ottenuto alcun risultato, non si può imputare la colpa soltanto ai giornali o al partito dei parrucconi.
Il dialogo si riferiva al tema della giustizia, ma ha una portata generale. Del resto, in un’altra lettera e in vari articoli, l’on. Bondi si era lamentato con piena ragione della violenza di certi oppositori politici, del clima di odio ideologico che travalica il confine di un legittimo dissenso politico.
Le difficoltà e le opposizioni accanite al progetto di fare dell’Italia un paese autenticamente liberale erano note, richiedono un impegno totale e soprattutto la mobilitazione di tutte le forze realmente, e non strumentalmente, convinte nella necessità di dare successo a quel progetto. Questa necessità è connessa a un’altra non meno fondamentale: non si uscirà mai dal pantano se nella cultura politica di questo paese non entrerà in modo pieno l’idea dell’alternanza, e non in senso formale, ma sostanziale: e cioè il principio che chi vince governa per una legislatura e l’opposizione esercita il diritto di contrastare anche duramente l’azione di governo sui contenuti ma non mirando continuamente a ribaltare il risultato elettorale, né mirando a ottenere spazi di gestione.
Il consociativismo è l’altra faccia dell’opposizione radicale e violenta: difatti, quando non viene concessa la cogestione e la conservazione di spazi di potere, si grida all’attentato alla democrazia, e quando la democrazia è in pericolo l’unica risposta concepibile è la lotta di liberazione. Il problema è che nella cultura postcomunista – e questo Bondi dovrebbe saperlo – la cogestione è vista soltanto come una tappa per scalzare l’avversario per cui, quando questi resista a concedere tutti gli spazi possibili, si passa alla lotta di liberazione.
Uno dei più grandi errori del centrodestra, dopo aver vinto con larghissimo margine le elezioni due anni fa, è di aver fatto aperture consociative, di aver tentato di coinvolgere gli avversari, prima ancora che le forze culturalmente più vicine, quasi fossero imbarazzanti. Ricordiamo bene l’appello a collaborare rivolto dall’on. Bondi agli intellettuali italiani di sinistra. Ci si chiede cosa mai ci si potesse attendere se non la supponente accettazione degli spazi offerti per meglio esercitare l’opposizione.
Ci vorrebbero molte rubriche per illustrare come la presenza di personale all’opposizione (e persine ostile) nei ministeri, nell’amministrazione, negli enti culturali eccetera si sia persine accresciuta. Del resto, tanto per fare un esempio, non è indicativo che il centrodestra si trovi a sostenere proposte per l’università che sono in larga misura uscite dai pensatoi del Partito democratico e della Confindustria?
Che la sinistra sia in crisi di idee e di progetti è evidente, ma il centrodestra l’ha soccorsa lasciando intatta la sua tradizionale egemonia di potere culturale e non preoccupandosi affatto di aggregare ceti e persone interessati a una prospettiva liberale. Vincere le elezioni non basta: occorre che la vittoria si traduca in un’egemonia nella società. In questa direzione non è stato fatto un solo passo e ora se ne pagano i prezzi. Una maggioranza elettorale priva di egemonia culturale e progettuale e una minoranza elettorale priva di progetto ma che mantiene un’egemonia sociale: il risultato è, appunto, il pantano.