Insorgenze antinapoleoniche in Garfagnana

Insorgenze antinapoleoniche in Garfagnana

Abstract: insorgenze antinapoleoniche in Garfagnana. Nel 1796, quando le truppe della Francia rivoluzionaria invadono l’Italia Settentrionale, la Garfagnana, cioè l’alta valle del Serchio, che faceva quasi tutta parte del Ducato di Modena, Reggio e Mirandola, su cui regna l’ultimo degli Estensi, Ercole III (1727-1803) insorge contro le angherie degli invasori contro la popolazione e la religione

I.D.I.S. – Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale

Voci per un dizionario del pensiero forte

L’insorgenza della Garfagnana (1796-1799)

Insorgenze antinapoleoniche in Garfagnana

di Giulio Guerra

1. L’invasione

Nel 1796, quando le truppe della Francia rivoluzionaria invadono l’Italia Settentrionale, la Garfagnana, cioè l’alta valle del Serchio, fa quasi tutta parte del Ducato di Modena, Reggio e Mirandola, su cui regna l’ultimo degli Estensi, Ercole III (1727-1803). Solo Gallicano e le due enclave di Castiglione e di Minucciano-Gorfigliano rimangono sotto la sovranità della Repubblica di Lucca, a cui gli Estensi hanno tolto il resto della vallata nel secolo XV.

Per molti anni la Garfagnana estense ha conosciuto, oltre a vere e proprie guerre fra Modena e Lucca, il “brigantaggio” anti-estense da parte dei “bravi” delle famiglie filo-lucchesi; anche dopo l’arbitrato imperiale del 1618 — che ha sancito ufficialmente la sovranità estense — vi sono state schioppettate fra civili sulle frontiere, definite soltanto agli inizi del secolo XVIII. Ma nel 1796 la valle è in pace e le sue autonomie sono rispettate dai rappresentanti del duca.

Quando a Modena, il 4 ottobre 1796, Napoleone Bonaparte (1769-1821) dichiara decaduto il duca, in Garfagnana sembra quasi non ci si accorga del cambiamento avvenuto: da quasi cinque mesi il duca ha abbandonato Modena, e la reggenza di governo da lui lasciata alla guida dello Stato non sa far altro che piegarsi alle sempre più gravose richieste dei francesi. Ma le imposizioni del nuovo governo rivoluzionario diventano sempre più insopportabili, e così in Garfagnana nasce un nuovo “brigantaggio”, questa volta filo-estense.

Frattanto, dal 16 al 18 ottobre 1796, si è svolto a Modena un congresso che pone le basi della futura Repubblica Cispadana. Il 28 ottobre, viene affisso a Castelnuovo un proclama per il reclutamento di una coorte di volontari, che affianchi l’Armée d’Italie nella guerra contro l’esercito dell’impero asburgico: nessuno si presenta e il timore che dalla richiesta di volontari si passi, sull’esempio francese, alla coscrizione obbligatoria fa crescere il numero dei “briganti”.

Il malcontento della popolazione aumenta di giorno in giorno: fra l’altro, il raccolto delle castagne è stato scarso e il governo di Modena non invia più il grano, come faceva un tempo il duca, anzi moltiplica le richieste di denaro, che neppure l’amministrazione giacobina locale sa come soddisfare; e il farro, unico cereale coltivabile nella vallata, ben lungi dall’essere l’odierna leccornia della cucina mediterranea, è ancora il magro “grano dei poveri”.

Alle proteste della gente affamata il governo risponde con una sorta di stato d’assedio, che però rimane sulla carta per la scarsità delle truppe: in Garfagnana si scivola verso l’anarchia.

2. L’insorgenza

Fra il 6 e l’8 novembre, l’esercito imperiale sconfigge i francesi a Calliano, in Val Lagarina, e li caccia dal Trentino. La notizia si propaga di bocca in bocca fino in Garfagnana, dove acquista un significato ben preciso: i francesi non sono invincibili. Così quando, il 25 novembre, a Castelnuovo, un giacobino di Reggio, tal Franceschetti, pretende di leggere alla popolazione — già in fermento perché da Modena, invece del tanto atteso grano, stanno arrivando nuove e più gravi imposizioni — un dispaccio in cui si annunciano straordinarie vittorie francesi, viene zittito e messo in fuga dalla folla, che insorge al grido di “Viva il duca!”, occupa la rocca, abbatte l’albero della libertà e innalza al suo posto l’aquila estense.

All’alba del giorno seguente l’insorgenza si riaccende, ancora più violenta: viene occupata la fortezza di Montalfonso, è svuotata l’armeria e sono distribuiti i fucili alla folla; si trascinano in città i quattro cannoni della fortezza e si stanano dalle loro case gli ufficiali di sicura fede estense, perché organizzino militarmente gl’insorti. La rivolta si estende: quasi contemporaneamente a Castelnuovo si producono sollevazioni a Concordia; la guarnigione di Camporgiano, ricevuto l’ordine di marciare contro gl’insorti, risponde con il grido di “Evviva S. A. R. Ercole duca di Modena!”; agl’inizi di dicembre insorgono Campo e San Possidonio.

Una delegazione d’insorti arriva a Lucca con la richiesta di munizioni e di viveri. Ma, nel conflitto che da più di quattro anni insanguina l’Europa, la vicina repubblica aristocratica ha fatto una scelta suicida: la neutralità disarmata. Anche i francesi pretendono da Lucca munizioni per reprimere l’insorgenza. Il senato lucchese non sa far altro che appellarsi alla già dichiarata neutralità, negando aiuti a entrambe le parti. I francesi rispondono minacciando rappresaglie contro Lucca, accusata di favorire il contrabbando, che le guardie stanziate lungo i tortuosi confini fra i due Stati non hanno la possibilità, e forse neanche la voglia, d’impedire.

Quanto alla Garfagnana, per i francesi è virtualmente perduta: i centri più importanti sono in mano agl’insorgenti, e i passi appenninici e apuani, già poco transitabili a causa della stagione, sono da loro presidiati.

Il 4 dicembre Bonaparte, informato della situazione, ordina al generale nizzardo François Dominique Rusca (1761-1814) di organizzare la repressione dell’insorgenza, che considera molto pericolosa a causa dell’importanza strategica della Garfagnana nel quadro delle operazioni militari in Val Padana. Nei giorni seguenti il generale viene rifornito di armi e di soldati, mentre Bonaparte ordina a Rusca d’intervenire in Garfagnana con una colonna mobile, di fucilare i capi dei ribelli, di spedire venti ostaggi al suo quartier generale, di bruciare la casa di famiglia del francescano Pier Paolo Maggesi, già confessore del duca di Modena, uno dei capi, con i fratelli Giuseppe e Saverio, della rivolta, e di porre sulle rovine l’iscrizione “Per giusta pena di un prete furibondo che, abusando del sacro suo ministero, ha predicato la rivolta e l’assassinio”.

3. La repressione

All’inizio Rusca si limita a lanciare proclami: i ribelli devono “rientrare nell’ordine”, rialzare l’albero della libertà, abbattere gli stemmi estensi, abbandonare il forte di Montalfonso, pagare tutte le spese, rinnovare il giuramento di fedeltà e nominare due rappresentanti al congresso che si aprirà il 27 dicembre a Reggio per fondare ufficialmente la Repubblica Cispadana. Per tutta risposta gl’insorti scavano trincee sulle strade di accesso alla valle; poi, nel timore che gl’incerti cedano alle minacce di rappresaglie, l’11 dicembre a Castelnuovo piantano un palo a cui appendere i giacobini e scavano una fossa in cui promettono di seppellirli.

Vista l’inutilità dei proclami, Rusca muove il 18 mattina da Bologna alla volta di Pistoia, alla testa di una colonna di 4000 uomini. Giunto il 22 al confine della Repubblica di Lucca, chiede il permesso di attraversarne il territorio per recarsi in Garfagnana con 2600 soldati — il resto della colonna proseguirà per Carrara, anch’essa in rivolta —, lasciando capire che, in caso di rifiuto, userà la forza.

Il senato lucchese, prigioniero della sua neutralità disarmata, può solo ottenere che le truppe non entrino in città, alloggiandole comodamente a Monte San Quirico, sull’altra sponda del Serchio, da cui ripartono il giorno di Natale senza aver molestato la popolazione. Quando arriva a Castelnuovo la notizia che i nemici stanno risalendo indisturbati il Serchio per invadere la Garfagnana dal lato meno difendibile, i capi dell’insorgenza maledicono la viltà del senato lucchese e cercano di serrare i ranghi, ma non possono evitare che il movimento insurrezionale si sgretoli.

Inoltre Rusca, durante la sua sosta in Lucchesia, prende segretamente contatto con quei funzionari garfagnini che, dopo aver giurato fedeltà al duca nei giorni del trionfo dell’insorgenza, sono pronti a passare con il più forte: così è minuziosamente informato di tutte le mosse degl’insorti.

Appena giunto a Castelnuovo, Rusca istituisce un tribunale militare, che all’inizio deve limitarsi a condanne a morte in contumacia perché i principali capi dell’insorgenza si sono già dati alla macchia. Oltre a padre Maggesi e ai suoi due fratelli la sentenza colpisce anche gli altri “primi autori e complici della ribellione”: i castelnuovesi Angelo Bimbi, Giuseppe Turri e Cesare Castellari, il caporale delle milizie Francesco Raffaelli, il capopopolo Paolo Ferrari, detto “Burasca” — ossia “tempesta” — e Antonio Guidugli, del vicino paesetto di Antisciana.

A Castelnuovo, la casa dei Maggesi — sui quali la municipalità cerca di scaricare tutte le responsabilità — viene saccheggiata e rasa al suolo, come ordinato da Bonaparte. Dieci ostaggi, cinque ecclesiastici e cinque laici, sono inviati a Milano, e il 7 gennaio sfilano per le vie di Modena, scortati da un distaccamento francese “a tamburo battente”. Ma, per scoraggiare con il terrore nuovi tentativi d’insorgenza occorre che si odano le scariche dei plotoni di esecuzione e si veda il sangue dei giustiziati; così Rusca ordina la massima severità verso i “pesci piccoli” che è riuscito a catturare.

Il 30 dicembre viene fucilato il diciottenne Angelo Masotti, di Castelnuovo, riconosciuto colpevole di aver collaborato al trasporto e alla messa in opera a Castelnuovo dei cannoni, e di aver partecipato all’arresto di un caporale della guarnigione modenese. Il giorno dopo tocca a Giovanni Andrea Raggi, anch’egli diciottenne, figlio dell’oste di Montalfonso, per aver partecipato al trasporto dei cannoni e a molte altre azioni. Le esecuzioni avvengono utilizzando proprio il palo e la fossa preparati, venti giorni prima, per i giacobini.

L’1 gennaio 1797 nessuno, in Garfagnana, avrebbe voglia di festeggiare l’anno nuovo, ma il generale Rusca impone che le finestre sulla piazza di Castelnuovo siano illuminate in segno di festa. Il giorno dopo il tribunale processa gl’insorgenti di Trassilico, condannando a morte il notaio Antonio Santi, suo figlio Pellegrino e Giuseppe Calleri per aver rimesso sulla porta di San Rocco gli stemmi estensi, e il primo anche per aver istigato la folla a bruciare i proclami del Comitato di Governo di Modena e del generale Rusca. Lo stesso giorno viene bruciata, a Vagli di Sopra, la capanna di Rocchi, già “ajutante della milizia ribelle”.

Più difficile si rivela la caccia agl’insorgenti rifugiatisi sui monti, specialmente sul lato occidentale della valle, dove le numerose grotte carsiche delle Alpi Apuane offrono ai “briganti” rifugi pressoché inespugnabili: si ha notizia di scontri e d’imboscate fino al febbraio del 1797. La maggioranza della popolazione si rifugia nella resistenza passiva: per tutto il 1798 arrivano da Modena al governo della Repubblica Cisalpina denunce di scarso “patriottismo” nei confronti dei garfagnini e addirittura delle stesse municipalità giacobine. L’ostilità della popolazione verso il regime cresce ulteriormente con la soppressione, il 15 giugno 1798, degli ordini e delle confraternite religiose.

L’occupazione francese della Repubblica di Lucca, il 2 gennaio 1799, fa della Garfagnana la principale via per il passaggio attraverso l’Appennino delle truppe francesi, impegnate in Val Padana contro la nuova coalizione, le quali devastano e saccheggiano a più riprese tutta la vallata, mentre gl’insorgenti — che hanno ripreso forza dopo la sconfitta dei francesi a Cassano d’Adda, il 27 aprile — possono solo compiere azioni di disturbo alle retrovie.

Soltanto dopo aver visto, alla fine di giugno, i resti delle truppe del generale Jacques-Étienne Macdonald (1765-1840) allontanarsi verso Lucca per riparare in Liguria, possono scendere a valle e proclamare la restaurazione del duca, che sarà ufficializzata il 19 luglio dalle truppe imperiali giunte in Garfagnana.

Dopo la vittoria di Bonaparte a Marengo, il 14 giugno 1800, e la ricostituzione della Repubblica Cisalpina, si ha notizia solo di agguati alle truppe francesi che, nel settembre dello stesso anno, si dirigono a Bologna dopo aver abbandonato Lucca. Negli anni successivi, più che di brigantaggio si parla di diserzione, che perde ogni ragion d’essere dopo il decreto di Napoleone del 20 marzo 1806, che stacca la Garfagnana dal Regno Italico per annetterla al Principato di Lucca e Piombino, l’unico, fra gli Stati napoleonici, in cui non vige la coscrizione obbligatoria.

____________________

Per approfondire: vedi un quadro generale delle insorgenze in Giacomo Lumbroso (1897-1944), I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII (1796-1800), 1932, 2a ed. rivista, a cura di Oscar Sanguinetti, Minchella, Milano 1997; sull’insorgenza in Garfagnana, vedi Antonio Marrazzo, Una Vandea estense: la Garfagnana, in AA.VV., Le insorgenze antifrancesi in Italia nel triennio giacobino (1796-1799), Apes, Roma 1992, pp.

____________

Leggi anche:

Rivoluzione, scristianizzazione, insorgenze

Opposizione popolare, insorgenza e brigantaggio nell’Italia napoleonica

L’Insorgenza come categoria storico-politica

L’Insorgenza italiana, il suo significato, la sua «modernità»

L’insorgenza dell’Italia Centrale negli anni 1797-1798

Le insorgenze ferraresi del 1799 e del 1802-1809

Le insorgenze antifrancesi in Italia

La controrivoluzione in Italia

Quando l’Italia si svegliò