Dal blog di Costanza Miriano
3 Ottobre 2018
di Costanza Miriano
Come per l’Humanae Vitae sotto attacco abbiamo raccontato qui le storie di tante vite che sono state letteralmente salvate dall’annuncio della Chiesa sulla sessualità e l’apertura alla vita, che sono state incredibilmente più felici grazie al coraggio di Paolo VI, così adesso mi piacerebbe che raccontassimo la bellezza della Chiesa attraverso le parole di chi la conosce davvero (cioè non il giornalista collettivo).
Ora che per il tradimento di alcuni sacerdoti il volto della Chiesa sembra più macchiato e sporco di quello che è nella realtà, forse è il caso di ricordare quanto bene fanno i sacerdoti in tutto il mondo. Un bene che in certi casi arriva fino al martirio, e all’eroismo di chi vive in situazioni estreme. Ma c’è anche il martirio e l’eroismo di chi dà la vita una confessione alla volta, ascoltando, accogliendo, caricandosi di pesi, istruendo, educando, aiutando in tutti i modi, economici e spirituali, curando la liturgia con amore. Oltre a essere il tramite unico e indispensabile e insostituibile per Dio, nei due sensi: Dio senza di loro non arriva a noi, e noi non arriviamo a lui. Non mi stupisce che la Madonna li chiami “i miei figli prediletti”.
Vorrei che raccontassimo quanto bene fanno, spesso nel silenzio e nell’ombra, perché è giusto ogni tanto ringraziare, e ricordare che in mezzo ai preti pedofili (pochissimi) e a quelli omosessuali che non combattono la propria inclinazione (pochissimi, anche se purtroppo un po’ più numerosi nei pressi del Vaticano, ma comunque molti, molti di meno di quelli che danno la vita davvero al Signore e a noi), c’è una schiera di preti che camminano verso la santità, e che hanno bisogno della nostra stima e delle nostre preghiere.
Ho pensato tanto a come parlare di tutti i sacerdoti che sono o sono stati importanti per me (ne ho contati oltre centoventi solo nella rubrica del telefono, molti di più nella rubrica della memoria). Volevo trovare un metodo, perché sono stati davvero tanti quelli decisivi per la mia vita, e moltissimi altri che ho solo incrociato ma da cui ho sempre ricevuto qualcosa di buono, o anche prezioso. Mai da nessuno, per inciso, uno sguardo fuori posto (mi devo offendere?), un gesto meno che appropriato, neppure quando ero giovane e fresca, e non, come oggi, un esemplare per collezionisti di modelli d’epoca.
Il primo prete con cui ho litigato, e a cui dunque ho voluto bene è stato quello che insegnava religione quando ero alle elementari, e che si doveva sorbire le mie presuntuose domande da rompiscatole (è un mistero come facesse tanta arroganza a stare in pochi centimetri e pochissimi chili): mi chiamava l’avvocato delle cause perse, e sebbene non mi torni in mente molto di quello che diceva, mi ricordo perfettamente la dolcezza di don Antonello, il suo sorriso e la sua amabilità. Si “faceva litigare” da me con mansuetudine, che poi è l’unica cosa che possiamo davvero insegnare, cioè l’amore per quelli che ci sono consegnati.
Quello a cui devo le basi della fede e un’infinità di ricordi felici e risate e ritiri spirituali e pellegrinaggi e merende è però il Doni, cioè don Ignazio, che era parroco quando cambiai casa a otto anni, e 40 anni dopo è ancora parroco lì, quasi con la stessa energia, di certo con più amore per il Signore: quando ci portava a benedire le case con la 126 che sfrecciava a 50 all’ora (da cui l’appellativo “Don Ignazio il primo prete dello spazio”) ci sembrava di essere dei privilegiati per le caramelle e le catechesi esclusive che ci portavamo a casa, dopo averle ascoltate in un abitacolo che oggi troverei minuscolo ma che allora mi sembrava una business class.
Non posso certo fare un elenco perché interesserebbe solo me, e poi sarebbe quasi interminabile, ma devo almeno ricordare, perché è morto, padre Arsenio Ambrogi, da cui andavamo a fare i ritiri dei tempi forti al santuario dell’Amore misericordioso, che al termine della confessione ti faceva sentire davvero in paradiso, quando sorrideva con gli occhi chiusi, e sembrava vedesse (o forse vedeva davvero) le realtà ultraterrene.
Dopo di loro, quelli di quando ero bambina, ci sono stati preti che mi hanno dedicato ore ed ore di ascolto, preti che sento padri, altri fratelli, altri amici: che hanno veramente dato la vita per me e per tante altre persone, fornendo ascolto gratuito, paziente, infaticabile, intelligente, vero (il fatto che un uomo ascolti così una donna che non vuole sedurre è una delle prove dell’esistenza di Dio).
Ho visto preti con i vestiti consunti perché davano tutto, altri senza soldi per mangiare. Qui, in occidente. Ho visto preti non dormire, non avere il tempo di curarsi perché si lasciavano prendere tutto dagli altri. A volte severi quando volevo essere compatita, altre accoglienti quando mi aspettavo di essere sgridata a sangue. Ho visto preti obbedire dolorosamente e in silenzio, ne ho visti tantissimi soffrire per il male nella Chiesa, ma senza mai lasciarsi sfuggire una parola di condanna (ma io sono femmina, mi basta vedere un sorpacciglio leggermente contratto).
Ho visto preti sostenere genitori che avevano perso un figlio, o bambini a cui era morta la mamma; ho visto preti dire a una ragazza di sedici anni che le doveva essere amputata una gamba; ho visto preti sostituire con figli adolescenti e drogati padri che erano morti; ho visto preti mettere una croce sul loro cuore e attraversare l’Oceano per rimanere fedeli alla loro vocazione; ho visto preti fare un lavoro sul loro sguardo, per essere accanto a delle donne belle e un po’ innamorate di loro – quando un prete è davvero virile, ha questi problemi – senza mai cedere di un centimetro; ho visto preti aiutare mamme con crisi isteriche a fidarsi dei loro mariti, restituire loro la stima dell’uomo che avevano accanto, e da cui volevano scappare rifugiandosi da loro; ho visto preti donare i propri organi a una sorella; ho visto preti lasciare carriere promettentissime e cestinare titoli di studio; ho visto preti dell’alta borghesia andare a vivere nelle borgate e cercare gli ultimi; li ho visti abbracciare barboni; li ho visti partire in missione e stare senza portare apparentemente frutto per un tempo interminabile, ma rimanere per essere un seme macerato; li ho visti togliersi la giacca nuova appena ricevuta in regalo per darla a una vecchietta; li ho visti assumersi il rischio della guida spirituale di migliaia di giovani: li ho visti accettare tumori con il sorriso sulle labbra; li ho visti morire di sla con la gente intorno a godere fino all’ultimo minuto della loro santità; li ho visti accompagnare un diciassettenne a morire senza concedersi nessun sentimentalismo.
Li ho visti, e sono molti, molti di più degli altri.
Raccontateci anche voi di questi uomini peccatori ma indispensabili, di questi figli prediletti, di questo tramite al sacro di cui ogni giorno dobbiamo essere grati a Dio: ne basta uno, uno solo, bastano due righe (non fate come me che mi faccio prendere la mano e poi finisce che mi commuovo).