Il vero San Francesco: pacifista e ecologista? un bonaccione che parla agli uccellini? No di certo!
di Vittorio Messori
Francesco d’Assisi ci è troppo prezioso per lasciarlo ai faciloni, ai disinformati, quando non ai falsari. Di recente, uno che conosce bene il santo “vero”, quello della storia e non del mito che oggi circola, ha reagito con la passione che gli è propria.
Ha detto dunque Franco Cardini, il medievista, lo storico delle crociate («E Francesco d’Assisi – ricorda – è il prodotto più rappresentativo ed ortodosso della Chiesa delle crociate») che quel grandissimo «non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso.
Non era il precursore dei teologi della liberazione. Né tantomeno fu l’araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico-pacifista: il tipo che ride sempre, lo scemo del villaggio che parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi. Gli voglio troppo bene, a Francesco, per vederlo ridotto così dai suoi sedicenti seguaci. No, Francesco era ben altro».
Il problema è importante: ancor oggi (anzi, forse oggi più che mai) la straordinaria figura del figlio di Pietro Bernardone esercita un fascino unico sugli uomini di ogni razza, di ogni fede, di ogni incredulità. Ma, spesso, il “loro” Francesco non è mai esistito. A lui credono di rifarsi adepti e proseliti di molte ideologie e utopie contemporanee, sospette e magari dannose sotto le nobili apparenze.
È nel suo nome che si parla di uno “spirito d’Assisi” che ha spesso l’aria di uno spirito di pseudo ecumenismo “da otto settembre”, da “tutti a casa”. Discorsi che, se li sentisse, indurrebbero il santo a riconvocare quel suo “pugile di Firenze”.
Sentite, infatti, che cosa si racconta nella «Vita seconda» di Tommaso da Celano: «Come ogni animo ripieno di carità, anche Francesco detestava chi era odioso a Dio. Ma fra tutti gli altri viziosi, aborriva con vero orrore i denigratori, e diceva che portano sotto la lingua il veleno, col quale intaccano il prossimo (…). Un giorno udì un frate che denigrava il buon nome di un altro e, rivoltosi al suo vicario, frate Pietro di Cattaneo, proferì queste terribili parole: “Incombono gravi pericoli sull’Ordine, se non si rimedia ai detrattori. Ben presto il soavissimo odore di molti si cambierà in un puzzo disgustoso, se non si chiudono le bocche di questi fetidi. Coraggio, muoviti, esamina diligentemente e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l’accusatore con un severo ed esemplare castigo! Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo”. Chiamava “pugile” fra Giovanni di Firenze, uomo di alta statura e dotato di grande forza».
Né, quelle, erano minacce a vuoto, visto che quel fra Giovanni, entrato nell’Ordine e in fama di sante virtù, non esitava a rimettersi, su comando, in azione. E i pugni sapeva usarli in tal modo sui confratelli riottosi che il Salimbene, nella sua «Chronica», non teme di chiamarlo «spietato carnefice». Ammetterete che un simile “fioretto” (taciuto anche da molti storici perché non si inquadra nel loro schema) fa a pugni – è davvero il caso di dirlo… – con l’immagine di un santo tutto svenevole dolcezza.
Quanto a certo ecumenismo, quello inteso come resa o dimissioni, il Francesco “vero” vi ha altrettanto poco a che fare. Dopo la conversione, tutta la sua vita è segnata dall’ansia non di «dialogare» accademicamente con i musulmani, ma di «convertirli» a Gesu Cristo. Più volte tenta di giungere in Oriente con lo scopo esplicito di conseguirvi il martirio: non vi andava, dunque, per diffondervi idee ireniche, ma per predicarvi il Vangelo in modo così esplicito da meritare la morte dagli infedeli.
Del resto, i primi martiri dell’epoca francescana sono san Daniele e i suoi compagni, trucidati in Marocco poco dopo la morte del santo perché, malgrado gli avvertimenti delle autorità islamiche, non vollero saperne di «dialogo» e tentarono di convertire chi capitava loro a tiro, predicando in italiano e in latino, visto che non conoscevano nulla degli idiomi locali…