dal sito Alleanza cattolica
Venerdì, 22 marzo 2019
L’ambientalismo che oppone dialetticamente uomo e natura è poco credibile e accettabile, mentre un sano realismo ci conduce ad evitare due estremi: il catastrofismo e l’ottimismo, declinando il ruolo dell’uomo quale custode del creato.
di Daniele Fazio
Il «fenomeno» Greta Thunberg ha rimesso sul tappeto della discussione socio-politica le svariate questioni ambientali. Senza scendere nel dibattito circa quanto sia vero o meno l’urlo catastrofico degli ecologisti, ma ricordando solamente che non sono pochi coloro che avanzano, da un punto di vista scientifico, seri dubbi circa i vari allarmi che vengono di tempo in tempo lanciati, come ad esempio, l’ambientalista e accademico danese Bjørn Lomborg, è bene concentrarsi sulla differenza tra una sana prospettiva ecologica e un’ecologia ideologica.
Nella sua sapienza millenaria, il Magistero della Chiesa ci consegna il termine «ecologia integrale», specificando che si tratta della salvaguardia del creato che costituisce la casa comune dell’umanità, ragion per cui l’uomo non deve essere annichilito, ma va reso responsabile, in un’ottica comunitaria, dei destini del contesto ambientale in cui abita, evitando così di consegnare alle generazioni future un mondo peggiore di quello che ha ereditato.
L’uomo cristiano si pone in un’ottica simbiotica nei confronti della natura, ciò vuol dire che conosce il fine di ogni creatura che é armonizzato in un universo gerarchico, in cui ogni essere vivente ed ogni elemento della natura hanno il proprio posto e meglio ancora il proprio senso. Non solo, quindi, deve rispetto al creato perché donato da Dio, ma perché grazie alle svariate creature l’uomo é aiutato a contemplare l’ineffabilità del Creatore.
Tale prospettiva garantirebbe un corretto uso di quanto é a disposizione degli uomini per poter migliorare le condizioni di vita.Tuttavia, l’antropocentrismo moderno e le innovazioni apportate dalla tecnoscienza hanno condotto man mano la società occidentale alla dispersione della visione finalistica e contemplativa del mondo, a favore semplicemente di una prospettiva meccanicista, che ha portato ad una concezione di esclusivo dominio del creato.
Non poteva essere diversamente per un contesto culturale che ha scelto di vivere come se Dio non esistesse. Se Dio non c’è qualche altro deve prendere il suo posto e questo è l’uomo che ha ritenuto di risolvere definitivamente ogni e qualsiasi problema con la scienza, con la tecnica, con la pedagogia, con la psicologia, con la politica. I risultati sono continui fallimenti e a caro prezzo.
L’ambientalismo (nelle sue varianti) più che risolvere il problema di un corretto rapporto tra l’uomo e il creato, venutosi a generare dall’Età moderna in avanti, lo ha amplificato, impostando soluzioni erronee. Esso, infatti, sostanzialmente vede nell’uomo il male da estirpare a favore di una natura intoccabile e divinizzata.
Dalla divinizzazione dell’uomo si è così scivolati al culto pseudo-religioso della natura, della «Madre Terra». Una tale prospettiva, si sposa sin da subito con le politiche di salute riproduttiva e neo-malthusiane, che evidentemente eliminano alla radice il problema-uomo evitandone la nascita.
L’uomo è il cancro del pianeta e i suoi diritti alla fine andrebbero trasferiti agli animali, quanto meno a quelli più evoluti come alcune razze di scimpazè. Così da diverso tempo va teorizzando il filosofo australiano Peter Singer, che non è disponibile a concedere però lo statuto di persona, ad esempio, agli embrioni umani, ai neonati e ai diversamente abili gravi.
L’ambientalismo che oppone dialetticamente uomo e natura è dunque poco credibile e accettabile, mentre un sano realismo ci conduce ad evitare i due estremi: quello del catastrofismo e quello dell’ottimismo ad oltranza, declinando il primato dell’uomo rispetto all’ambiente quale compito di custodia e quindi anche l’utilizzo dei beni del creato sarà effettuato intrecciando promozione della vita umana, bene comune e salvaguardia della natura.
In fondo, solo chi riconosce l’esistenza di un Dio Creatore può giungere ad accordare ecologia ambientale ed ecologia umana, perché avrà chiaro che sia la vita umana e sia l’esistenza della natura dipendono da un unico principio, o meglio ancora da un’unica Persona, che ha partecipato a tutto l’esistente, sia pur in gradi diversi, la perfezione del suo essere.