da Alleanza Cattolica martedì 23 Aprile 2019
Un intricata rete di interessi contrapposti sta strangolando Lo Stato isolano. India, Cina e Pakistan ne sono i protagonisti principali, anche se magari il lavoro sporco viene poi affidato a comparse locali o estemporanee. Complica il quadro lo jihadismo locale, il nazionalismo hindu e il fanatismo di certe frange buddhiste. A pagarne le spese sono, in questo caso, i cristiani ignari e innocenti
di Valter Maccantelli
A 48 ore dalla sanguinosa serie di attentati che ha insanguinato lo Sri Lanka stupiscono due cose: la mancanza di rivendicazioni per una serie di azioni tecnicamente coronate da grande successo e la quasi immediata identificazione da parte degli organi di sicurezza di una serie piuttosto ampia di esecutori dei quali non viene però dichiarata l’appartenenza. Poco convincente risulta essere l’attribuzione ufficiosa degli attentati alla National Thowheeth Jama’ath (NTJ), una giovane organizzazione jihadista locale.
La pista jihadista è infatti tutt’altro che improbabile, ma da sola non rende giustizia alla straordinaria complessità dei giochi che si svolgono sopra e attorno questo Stato insulare nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, complessità sviluppatasi nell’ultimo decennio e rimasta ai margini dell’attenzione mediatica.
Molte cronache fanno oggi riferimento alla guerra civile fra il governo centrale e la minoranza separatista Tamil, ma questo scontro si è concluso quasi dieci anni fa e, probabilmente, è del tutto estraneo ai fatti. Tre sono invece gli scenari principali che potrebbero avere un collegamento con questa ondata di violenza: quello religioso, quello politico interno e quello geopolitico.
Gli attentati dei giorni scorsi hanno colpito due obbiettivi: la minoranza cristiana e i visitatori stranieri. Il doppio obbiettivo rimanda direttamente ai tre ultrafondamentalismi nazional-religiosi che stanno prendendo piede nell’area: islamico, hindu e buddhista. I militanti dello jihadismo internazionale di origine cingalese sono poche decine e le notizie su di loro scarse.
Nel numero di novembre 2015 di Dabiq, il periodico dell’ISIS e del suo pseudo-califfato, si rende omaggio a un militante originario dello Sri Lanka morto nel luglio 2015 in un raid dell’aviazione statunitense su Raqqa: Mohamed Muhsin Sharfaz Nilam, alias “Abu Shurayh al-Silani”, 30 anni, trasferitosi nel Levante con i sei figli e la moglie incinta dopo essersi formato in Pakistan.
Le notizie su al-Silani vengono riportate da un commilitone, anch’esso cingalese, Thauqeer Ahmed Thajudeen, alias “Abu Dhujaana Silani”, che allude a un gruppo di 16 militanti dell’ISIS provenienti dallo Sri Lanka. In quell’occasione il governo di Colombo aprì un’inchiesta sulla presenza di gruppi jihadisti infiltrati nella minoranza islamica dell’isola.
In collaborazione con la più grande organizzazione locale musulmana moderata, la All Ceylon Jamiyyathul Ulama (ACJU), venne individuata un’associazione fondamentalista, la Sri Lanka Thawheed Jamaat (SLTJ), che presenta una notevole assonanza nominale con il gruppo cui oggi gli organismi di sicurezza cingalesi attribuirebbero il ruolo di agitatore principale della comunità islamica.
Il trend positivo del fondamentalismo islamico nella regione viene del resto alimentato dal fatto che, in questo quadrante di mondo, i musulmani appartengono alla categoria delle minoranze discriminate e perseguitate dal radicalismo hindu e buddhista. Tipico è il caso della minoranza Rohingya nel Myanmar.
Questa situazione fornisce cioè argomenti forti al fondamentalismo internazionale, che se ne serve per una chiamata allo jihad in difesa dei fratelli perseguitati. L’induismo e il buddhismo non sono di per sé esperienze religiose che nell’opinione pubblica vengono normalmente associate a fenomeni di estremismo violento.
In realtà entrambe hanno al proprio interno forme ideologiche radicali: l’ideologia Hindutva in ambito induista e il gruppo Bodu Bala Sena (“Forza di potere buddhista”) nel mondo buddhista. Queste ideologie si esprimono in partiti politici ‒ si pensi al Bharatiya Janata Party, il Partito del popolo indiano, del primo ministro Narendra Modi in questi giorni alla prova delle elezioni politiche, al movimento nazionalista birmano 969 o al movimento cingalese Shanga ‒, ma anche in gruppi locali dediti alla violenza nei confronti di chiese, moschee e i simboli del colonialismo culturale occidentale.
Giochi di guerra
A questa dimensione religiosa si somma il quadro politico nazionale che, nella repubblica semipresidenziale dello Sri Lanka, vive da almeno un lustro uno scontro molto aspro e che nell’ultimo anno ha conosciuto picchi straordinari di intensità. Fino al 2015, per due mandati consecutivi, è stato presidente Mahinda Rajapaksa, un uomo politico assai controverso.
Nelle elezioni del 2015 gli è succeduto Maithripala Sirisena, suo collega di partito, ma con una visione molto diversa del posizionamento internazionale del Paese. Sirisena ha iniziato una lunga lotta con il primo ministro Ranil Wickremesinghe, impostogli dal parlamento, sfociata nella sua destituzione, cui è seguita la reintegrazione e passata attraverso due tentativi di scioglimento del parlamento da parte del presidente.
Al netto delle intricate e difficilmente riassumibili vicende istituzionali del Paese, appare evidente che una tensione come quella in corso crei i presupposti per l’imposizione di norme straordinarie di ordine pubblico, come il coprifuoco ora in vigore, all’ombra delle quali potrebbe prevalere una fazione o l’altra. Il che introduce il terzo livello: quello geopolitico.
Sul piatto vi è il boccone molto ghiotto dei porti dello Sri Lanka, in particolare quello di Colombo, da sempre cardine delle rotte commerciali tra Oriente e Occidente, e anche l’unico con un fondale idoneo a ospitare il naviglio militare di stazza adeguata alle acque oceaniche.
Nel momento del cambio alla presidenza, nel 2015, era in fase di avvio un programma di investimento cinese da 1,4 miliardi di dollari per il potenziamento di questo e di altri porti della costa, costa di fronte alla quale passa il principale corridoio marittimo previsto dalla “Belt and Road Initiative” (BRI) cinese, il colossale complesso di strutture ribattezzano “nuove vie della seta”.
In Sri Lanka Sirisena ha vinto elezioni promettendo di bloccare il progetto (blocco prima avvenuto e poi parzialmente revocato) per riequilibrare il posizionamento internazionale del Paese verso l’India. India e Cina si contendono da tempo l’influenza sullo Sri Lanka per il suo straordinario valore strategico: controllarne i porti significa controllare le rotte di tutto l’Oceano Indiano e quindi tutto il traffico navale di beni da Oriente verso Occidente, oltra a tutto il traffico energetico che dal Golfo Persico fluisce verso Cina, Corea, Giappone e Filippine.
Da alcuni anni la Cina pattuglia queste acque con i sottomarini, che sono certamente l’arma navale più insidiosa, ma che pure richiedono basi di supporto specificamente attrezzate, meglio se vicine. La cosa risulta, ovviamente, straordinariamente invisa all’India ‒ non coinvolta nella BRI e tradizionale competitor regionale di Pechino ‒ e fastidiosa per i tentativi di contenimento profusi dagli Stati Uniti d’America nei confronti dell’espansionismo cinese.
Entrambi questi ingombranti vicini hanno interesse politico e strategico a coinvolgere lo Sri Lanka in una serie di torbidi nei quali pescare a proprio vantaggio. Nella partita potrebbe entrare anche il Pakistan, nemico giurato di Delhi e snodo chiave della BRI.
Molti oggi evidenziano il notevole livello tecnico richiesto dal coordinamento di una serie così numerosa di attentati. Questo know-how potrebbe quindi provenire dalla galassia del terrorismo pakistano legata a Laskar-e Taiba, che è considerata l’ideatrice della catena di attentati avvenuti a Mumbai, in India, nel 2008 ed eseguita secondo un copione molto simile a quello della Pasqua di Sangue cingalese di oggi.
Molte sono insomma le ganasce che potrebbero aver stritolato gli incolpevoli cristiani che quella mattina sono andati in chiesa per incontrare la Resurrezione e invece, per mano di ignoti assassini, hanno trovato la morte.