4 Febbraio 1989
Per gli abortisti c’è troppa libertà di coscienza. Dati alla mano non è così. Però della legge si abusa. Ecco come.
di Daniele Nardi
C’è voluto il caso della Mangiagalli per riportare il tema della difesa della vita all’attenzione del mondo politico. In discussione proprio la legge 194 che prevede l’aborto oltre al terzo mese di gravidanza solo in caso di grave pericolo per la salute della madre.
Ma l’aborto terapeutico è stato di fatto interpretato in senso molto ampio tanto che le denunce di casi simili ormai non si contano più. Il Movimento per la vita le ha raccolte in un dossier.
E’ il caso del Sant’Antonino di Firenze dove proprio pochi giorni fa è stata interrotta una gravidanza gemellare giunta al quinto mese perché uno dei due feti presentava una malformazione cerebrale. Benché l’articolo 7 della legge parli chiaro in proposito, nulla è stato fatto per tutelare la vita del bambino sano.
Oppure è il caso della piccola Elena di Modena, sopravvissuta per tre giorni all’aborto nonostante che i medici non abbiano deliberatamente fatto nulla per mantenerla in vita. E la legge prevede esattamente il contrario. Ma è anche il caso, accaduto alla Mangiagalli, della piccola Celeste abortita al sesto mese perché sospettata di una lieve malformazione all’utero, che è stata sezionata ancora viva per accertare l’esistenza o meno di quella malformazione.
Questa volta i medici abortisti, sono partiti all’attacco, minacciando addirittura di incrociare le braccia se non verrà fatto qualcosa. L’accusa ai colleghi obiettori in compenso è sempre la stessa: quella di fare una scelta esclusivamente per un tornaconto personale.
«Obiezione di comodo» l’ha definita la socialista Alma Cappiello, dimenticando con eccessiva facilità quanto affermato nel 1988 dal ministro della Giustizia Vassalli, anch’egli socialista: «Nel 1987 sono stati 31 i casi accertati di medici che hanno praticato l’aborto clandestino. Di questi uno solo è obiettore di coscienza».
Dove finisce dunque l’ipotesi che i medici obiettino per poter far abortire poi a caro prezzo nelle cliniche private? Neppure l’accusa che l’obiezione serva a fare carriera sembra reggere a lungo. Bisognerebbe chiederlo, ad esempio al dottor Accorsi di Correggio licenziato in tronco soltanto perché dichiaratosi obiettore. Ovviamente in barba alla legge.
Come del resto in barba alla legge vengono effettuati tutti quei concorsi in strutture pubbliche esplicitamente riservati a «medici non obiettori». Lo scontro sull’obiezione a questo punto è diventato un caso politico con i partiti che si sono schierati secondo una geografia ormai nota.
Ma qualcosa sembra muoversi. In particolare il Psi ha dato qualche segnale di novità: da un lato le donne guidate dall’onorevole Cappiello che erano arrivate ad annunciare una proposta di legge che si proponeva di limitare la libertà dei medici, e dall’altra i vertici del partito che richiamavano ad una maggiore prudenza.
Da una riunione di fuoco della Direzione è poi uscito un documento contrastante ed equivoco nelle tesi esposte ma interlocutorio nella sostanza. Per Fabio Fabbri, capogruppo socialista al Senato, «in quella riunione si è esclusa ogni possibile coartazione o comunque riduzione della libertà di coscienza, ma si è anche preso atto della necessità di far funzionare le strutture sanitarie».
Sarà dunque la consultazione con gli altri partiti che «hanno voluto e difeso la 194» a decidere i passi futuri. Per Carlo Casini «la cosa grave non è tanto il rischio dello sbocco legislativo di queste proposte, piuttosto improbabile, quanto quello del ricatto implicito rivolto ai cattolici ed alla Dc alla vigilia di due appuntamenti importanti come l’undicesima Giornata per la vita del 5 febbraio e la conferenza convocata dalla Cei proprio su questi temi per i prossimi mesi»
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PARODI
Giù le mani dalla nostra libertà
ABORTO sì, aborto no? Al centro della bufera, questa volta, i medici e la loro libertà di non praticare aborto. Ci siamo rivolti ad Eolo Parodi, di recente confermato alla guida della Federazione degli Ordini dei Medici.
«Su questo i medici non possono assolutamente transigere. La nostra professione non tollera imposizioni né restrizioni di libertà specie in un campo come quello dell’aborto che chiama in causa la coscienza più profonda dell’uomo».
Eppure le proposte di riduzione vengono anche da ambienti sanitari…
Quando un medico si presta ai giochi della politica finisce per perdere il senso della sua professione. Se però si dovesse andare oltre le parole la gran parte dei medici e le istituzioni che li rappresentano prenderebbero una posizione ferrea. Consiglio vivamente a tutti i politici di riflettere bene prima di cimentarsi in questo braccio di ferro.
Quanti sono gli obiettori in Italia?
Non lo sa nessuno. Per questo stiamo andando a chiederlo direttamente ai singoli medici. E con l’occasione cercheremo di fare anche un quadro dell’applicazione della 194 e dei suoi abusi. Poi passeremo alla fase di elaborazione di alcune proposte di modifica della legge da avanzare in sede istituzionale.
Ha ancora senso parlare di aborto terapeutico, come si è fatto nel caso della Mangiagalli?
La legge lo prevede in alcuni casi particolari e ben definiti. Ma questo non autorizza a giocare sulle parole. I casi in cui la vita del bambino è alternativa a quella della madre sono estremamente limitati. La paura vera è che sotto questo termine vengano fatte passare ben altre motivazioni, come quella eugenistica.
Le risulta che si registrino però abusi anche in altre parti della 194?
Purtroppo sì. La mancanza più grave è senza dubbio quella di omissione. La legge impone un colloquio volto a rimuovere le cause di aborto che ho l’impressione che non si faccia da nessuna parte.
D.N.