Sulle proposte di legalizzazione della marijuana
di Carlo Bellieni
Uno schieramento di forze potente, degno di ben altra causa. Probabilmente i personaggi pubblici che fanno di tutto, dagli Stati Uniti all’Australia, per la liberalizzazione della marijuana dovrebbero avere a cuore di dimostrarne l’innocuità, dato che la ricerca scientifica sembra essere di tutt’altro avviso. Giusta campagna, quella antiproibizionista, o dobbiamo difenderci da qualcosa di nocivo?
I dati scientifici starebbero a sostenere che sia vera la seconda opzione, che diventa tanto più urgente quanto più i rischi della droga vengono sottovalutati in pubblico da rockstar o vedette che hanno a disposizione le telecamere e gli altoparlanti più suadenti e potenti del mondo. Il tentativo, benché rigettato dal popolo della California, verrà riproposto nel 2012 e già in Colorado, Oregon e Washington sono in programma per il 2011 richieste analoghe che potrebbero sfociare, riporta la Cnbc, in un referendum. Certo, forse negli intenti si vorrebbe così superare la coda di criminalità legata allo spaccio.
In pratica, si finisce invece con eludere il vero problema, trascinando il dibattito sulla solita distinzione tra droghe leggere e pesanti (come se il problema non fosse per entrambe la fuga dalla realtà) e sulla lotta tra proibizionismo e antiproibizionismo. Finendo col nascondere, sotto questi dibattiti fatui, due fatti incontrovertibili: primo, che la droga fa male; secondo, che la società non vuole affrontare il disagio per il quale qualcuno finisce col drogarsi.
Che la droga, ogni droga, faccia male lo spiega la ricerca scientifica; porta addirittura effetti contrari a quelli desiderati. Paradossalmente la cocaina, che comunemente si pensa giovi alle “trasgressioni”, oltre a causare altri guai sembra che agisca negativamente sulle capacità sessuali (”European Urology”, agosto 2007).
Anche la marijuana, che tanti supposti vip non si vergognano a pubblicizzare in televisione, ha effetti negativi, e non solo perché altera lo stato di coscienza di chi guida, ma perché vari studi la legano all’insorgenza di psicosi come la schizofrenia (”Lancet”, luglio 2007; “Nature”, novembre 2010) e all’alterazione dei riflessi e memoria (”Journal of Psychopharmacology”, febbraio 2010) persino a distanza di giorni dall’assunzione. La presenza di allucinazioni sembra essere maggiore nei ragazzi che hanno assunto marijuana anche solo due volte nel mese precedente (”Schizophrenia Research”, febbraio 2009).
L’American Academy of Pediatrics, paladina della salute dei minori, si schiera assolutamente contro la liberalizzazione per i motivi suddetti e dopo aver esaminato gli effetti negativi laddove la liberalizzazione sia stata autorizzata (”Pediatrics”, giugno 2004).
Che la società non affronti il disagio è un dato di fatto, come testimonia il numero crescente di suicidi nei Paesi occidentali. Ed è tanto facile dire “drogatevi pure”, invece di dare risposte a chi, piuttosto di ridursi a usare stupefacenti per fuggire dal reale, vorrebbe incontrare una vera ragione per vivere e un accesso al mondo del lavoro.
Ma il dibattito in atto non si preoccupa dei rischi o delle cause, che diventano polvere da nascondere sotto il tappeto, come se il problema fosse solo un fatto di ordine sociale da tutelare o di libertà stravaganti da ottenere. Il disagio giovanile non si risolve negandolo, e neppure con i negozi dove si va a comprare lo spinello come se fosse una caramella. Lo Stato deve incrementare la cultura della solidarietà e in questo sforzo non può cedere e agevolare la vendita di un prodotto potenzialmente pericoloso.
Finalmente, dopo decenni di abuso, iniziamo a mettere in guardia dalla vendita di sostanze nocive, a ritirarne alcune dal mercato perché danneggiano la salute come certe plastiche, a vietare la vendita di alcolici e tabacco perlomeno ai minori. E vorremmo aprire una breccia pericolosa per la salute quando la porta alle intossicazioni si sta chiudendo con utilità per tutti?
L’uso di marijuana per scopi antidolorifici deve essere ben analizzato, anche perché la lotta al dolore deve essere incrementata in tutti i mezzi. La succitata American Academy of Pediatrics mostra che se esiste un’utilità contro il dolore dei derivati della canapa indiana, sta nelle singole sostanze, non nello spinello che invece farebbe assumere anche sostanze pericolose e la cui supposta utilità manca di supporto scientifico. E che, aggiungiamo noi, magari farebbe improvvisamente moltiplicare esponenzialmente il numero di persone con “dolori cronici” e far consigliare la droga per presunti dolori morali o contro la depressione, impedendo magari a chi ne soffre davvero di trovare la cura adatta ed efficace.
Il problema droga ha un approccio razionale solo partendo da una reale messa in discussione di ciò che questa società offre ai giovani. Ma la società postmoderna, quella che lascia l’individuo solo e disperato mettendo in atto teatrini per fargli credere di essere libero, sa solo offrire scappatoie solitarie, spacciandole per libertà.I giovani aspettano chi faccia loro intravedere un senso, una solidarietà duratura, un amore che non sia uno scherzo come invece accade a molti loro genitori.
Ma c’è chi non vuole che questo senso, quest’amicizia e amore diventino un itinerario di ricerca gioiosa da parte dei giovani; finché non saranno i giovani a chiederne conto.