«Basta falsità sui cambiamenti climatici: sono causati dall’uomo». Risposta

da Tempi.it

28 maggio 2019

Una lettrice, membro di Fridays For Future Pavia, ci rimprovera per aver scritto che nella comunità scientifica non c’è unanimità sulla causa del global warming. La nostra replica

Camilla De Luca – Leone Grotti  

Gentilissimi, sono una studentessa di Scienze politiche dell’Università di Pavia e sono membro di Fridays For Future Pavia, vi scrivo però a titolo personale. Vorrei cordialmente rispondere al vostro articolo, citando precisamente un passaggio: «In attesa di sapere se i cambiamenti climatici sono davvero causati dall’uomo, c’è dunque una certezza: il catastrofismo sta danneggiando seriamente il pianeta, deprimendo quelle stesse persone che potrebbero “salvarlo”».

Ci sono molteplici studi  che dimostrano che la causa del cambiamento climatico è l’azione umana. In più molteplici climatologi lo sostengono, come Luca Mercalli. In più, proprio perché è praticamente certo che siano le attività umane ad aver determinato l’attuale condizione del pianeta, la comunità scientifica ha pensato di chiamare la nostra epoca, a partire dagli anni 50 “Antropocene”, perché gli effetti che abbiamo causato sul pianeta sono paragonabili a quelli originati dalle forze che lo hanno plasmato 4,6 miliardi di anni fa.

Con questo, vi chiederei gentilmente di fornire riferimenti scientifici prima di pubblicare certe affermazioni che non rispecchiano la realtà. Infine vorrei sottolineare che il «catastrofismo di Greta» non è poi così inutile, considerando che la realtà dei fatti è ormai innegabile secondo la comunità scientifica (e non è per un cavillo grammaticale di un verbo coniugato al tempo condizionale nel documento Ipcc che non c’è certezza dello stato delle cose).

Di fatto le nuove generazioni sono spesso criticate perché inattive e inette, collegate agli smartphone e disattente al mondo che le circonda. Le manifestazioni recenti dimostrano al contrario che vogliamo togliere la testa da sotto la sabbia, che vogliamo che nel poco tempo che ci resta, 10 anni, delle azioni concrete possano invertire la rotta ed evitare che noi future generazioni dobbiamo vivere ingiustamente in un mondo diverso, avendo accesso a meno risorse e a meno possibilità di chi si è potuto godere la natura e la terra nel pieno della sua bellezza ed integrità.

Per questo data la nostra condizione, non credo che il sentimento pervasivo possa essere la gioia o l’esaltazione per il futuro che ci attende. Con ciò, vorrei invitare a tirare la testa fuori dalla sabbia, ad assumersi le proprie responsabilità e a prendere in considerazione dati scientificamente rilevanti, dato il periodo di disinformazione in cui viviamo.

Grazie anticipatamente, cordialmente,

Camilla De Luca

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«AMBIENTALISMO È UNA NUOVA RELIGIONE»

Gentile Camilla, quello che dice è vero: viviamo in un «periodo di disinformazione». O meglio, di informazione parziale, che se possibile è ancora più dannosa. Ecco perché Tempi, raccogliendo il suo invito, si «assume le proprie responsabilità» e ribadisce: non c’è consenso nella comunità scientifica a riguardo dell’origine antropica del cambiamento climatico.

Templ non è il luogo giusto per aprire un contenzioso a colpi di studi e dossier, perché non siamo una rivista specializzata. Ma non serve essere scienziati per accorgersi che l’ambientalismo “stile Greta”, per dirla con il premio Nobel per la Fisica 1973, Ivar Giaever, è «una nuova religione» (e chi non è d’accordo, per il Guardian, deve essere chiamato «negazionista»).

Come ha giustamente scritto Richard Siegmund Lindzen, famoso fisico atmosferico americano dell’illustre Mit di Boston, «ci stiamo allontanando dalla scienza per entrare nel fanatismo religioso. L’ambientalismo non tollera dissenso».

SAPERE DI NON SAPERE

Non stiamo negando che il clima stia cambiando ma come ha dichiarato all’Huffington Post Franco Prodi, climatologo di fama internazionale ed ex direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr, «attribuire sicuramente il riscaldamento globale alle emissioni della sola CO2 è scientificamente quantomeno avventato».

Nella stessa intervista aggiunge: «La conoscenza scientifica del sistema clima è ancora molto incompleta, e non è in condizione di consentirci di fare quelle previsioni che oggi ci vengono proposte come tali ma che in realtà sono solo degli scenari. Quando diciamo che alla fine del secolo la temperatura globale del pianeta a due metri dal suolo sarà aumentata tra 1,5 e 7 o 8 gradi vuol dire che non sappiamo cosa succederà. Ci sono diversi modelli, sempre più affinati ma sempre incompleti, e che ci danno risposte diverse. […] Oggi non possiamo quantificare l’effetto delle nostre azioni. Abbiamo di fronte scenari tra i più vari, proposti da modelli numerici complicatissimi che richiedono il lavoro di centinaia di ricercatori nelle diverse equipe tra Giappone, Stati Uniti, Regno Unito e via dicendo».

Bjorn Lomborg

Le dichiarazioni di Giaever, Lindzen e Prodi dimostrano esattamente quello che abbiamo scritto nel nostro precedente articolo: «Nella comunità scientifica non c’è unanimità sulla causa del riscaldamento». Nella sua lettera ci scrive che «ci restano 10 anni», secondo l’Ipcc ce ne restano 12, ma già trent’anni fa si diceva che «ci restano dieci anni per salvare la Terra». Nel 2007 l’Ipcc scrisse che i ghiacciai dell’Himalaya si sarebbero sciolti entro il 2035, poi nel 2010 fece marcia indietro ammettendo che era una dichiarazione non scientifica.

COME SI INVERTE LA ROTTA?

Con questo non vogliamo sostenere che l’Ipcc pubblichi sempre e solo Fake news, ma solo che catastrofismo e allarmismo possono portare a prendere abbagli clamorosi.

Al momento, la verità è che la comunità scientifica non è in grado di dire con certezza quanto realmente influiscano le attività umane sul cambiamento del clima che, come ricorda ancora il professor Prodi, «non può non cambiare» a prescindere da noi.

È bello e lodevole, come ci scrive ancora, che le nuove generazioni vogliano «invertire la rotta». Il problema però è “come” farlo: riproporre il fallimentare “modello Kyoto” (riassunto così dallo scienziato politico danese, Bjorn Lomborg: «Fare promesse costosissime sul piano individuale, che hanno un impatto modesto sul clima anche in un periodo di cento anni»), per non parlare del modello Alexandra Ocasio-Cortez, non sembra la strada giusta.

Da questo punto di vista, le proteste studentesche, per quanto allegre e colorate, sono molto carenti e altamente omologate e ideologizzate, mentre ci sarebbe bisogno di idee originali in grado di conciliare uomo e ambiente.

«DIFFONDERE TERRORE È UNO SCANDALO»

Lei scrive infine che, «data la nostra condizione, non credo che il sentimento pervasivo possa essere la gioia o l’esaltazione per il futuro che ci attende».

A questo riguardo la pensiamo come Pascal Bruckner, che al Figaro denunciava una «pericolosa propaganda»: «Lo scandalo è duplice: siamo estasiati nel trovare nei nostri bambini le preoccupazioni che abbiamo inculcato loro e sveniamo di fronte a questa infantile ecolalia. I piccoli pappagalli ci sgridano per procura, ci danno una bella lezione su cui dovremmo riflettere. Ma è una semplice camera d’eco e troviamo in loro le parole che sono state messe loro in bocca da un indottrinamento. L’infame propaganda della paura contro cui, con altri, mi sono battuto per venticinque anni, ha devastato i nostri piccoli: la razza umana deve espiare o morire. E vogliamo che sorridano? Creiamo generazioni di bambini terrorizzati dalla nostra propaganda, e così facendo li derubiamo della loro infanzia. (…) È uno scandalo diffondere paura e terrore tra i nostri bambini invece di armarli per affrontare il mondo».

Nel nostro piccolo, cerchiamo di offrire queste armi.