2 Dicembre 1989
Nel 1983 la Chiesa tolse la scomunica agl’iscritti alle logge. Come si arrivò a quella decisione? Per la prima volta ecco la vera storia
di Lucio Brunelli
UNA multa di mille scudi d’oro, confisca dei beni, galera “ad arbitrio” e, per i recidivi, la pena capitale. Oltre la scomunica, naturalmente. Tempi duri per i Liberi Muratori, quelli del cardinale Firrao, autore nell’Anno Domini 1739 del primo e severissimo Editto penale emanato contro la massoneria. Da allora di acqua ne è passata parecchia sotto i vetusti ponti del Tevere.
E il nostro porporato del XVIII secolo rimarrebbe un tantino disorientato, oggi, a sfogliare le pagine del nuovo Codice di Diritto canonico, promulgato il 25 gennaio 1983. Invano cercherebbe nell’indice analitico la voce “massoneria”: nessuna esplicita menzione.
E se un suo moderno confratello gli indicasse infine il canone 1374 che prende di mira, genericamente, «le associazioni che complottano contro la Chiesa», egli non si tranquillizzerebbe di certo. Pene miti per i semplici aderenti, l’esclusione dai sacramenti solo per i capi. Di scomunica nemmeno a parlarne. Possibile che dopo due secoli e mezzo di aspre battaglie e oltre 580 condanne pontificie della massoneria (di cui 250 emanate solo da Leone XIII) oggi la legislazione della Chiesa mostri tanta irenica indulgenza verso i Liberi Muratori? Sì, possibile.
Almeno se ci fermiamo alla lettera del canone 1374. In realtà, come vedremo, le cose sono un po’ più complicate. Ma per spiegare al sempre più incredulo e demoralizzato cardinal Firrao come si è arrivati alla situazione attuale bisogna partire da lontano. Dagli anni dell’immediato post— Concilio, cioè.
FINE DELLE OSTILITÀ?
Fine delle ostilità. E titolato così l’ultimo paragrafo della voce “Chiesa cattolica”, nel Dictionnaire de la Franc-Maconnerie che esce a Parigi nel lontano 1971. Ne è curatore l’avvocato cattolico Alee Mellor, Maestro venerabile della Grande Loggia nazionale di Francia. Mellor si mostra ben informato circa l’orientamento della Commissione vaticana incaricata di redigere il nuovo Codice.
«Un numero apprezzabile di cattolici praticanti ha già ricevuto l’iniziazione massonica. Ed è prevedibile che la nuova legislazione ecclesiastica non riprodurrà più l’articolo 2335 del Codice di Benedetto XV (1917), che commina la scomunica agli iscritti alle Logge». Il Gran Maestro può contare su qualche buona “talpa” in Vaticano? Forse, ma le conclusioni cui giungerà la Commissione sono, data la mentalità cattolica prevalente in quegli anni, largamente previste. Scontate, quasi.
La “svolta giovannea”, ben oltre le intenzioni del Papa buono, crea un’atmosfera di sentimenti e pensieri in cui la Chiesa sembra non dover incontrare più, sul proprio cammino, “nemici” ma solo pecorelle sperdute da riportare all’ovile con la medicina della misericordia. E poi i Liberi Muratori, quelli doc almeno, non credono anch’essi in Dio, nella Legge morale e negli ideali di Pace e Fratellanza universale? L’intenzione di riformare il vecchio Codice benedettino è annunciata da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, insieme alla decisione di indire un Concilio ecumenico e il primo Sinodo romano dell’epoca contemporanea.
Una speciale Commissione, composta da 40 porporati e presieduta dal cardinal Pietro Ciriaci (che nel 1966 muore e passa il testimone al cardinal Pericle Felici) viene costituita dal Papa il 28 marzo 1963. Di fatto essa comincia a lavorare solo al termine del Vaticano II, con l’ausilio di 70 consultori aggiunti successivamente da Paolo VI. Tra i suoi primi atti la Commissione formula dieci principi generali che devono orientare l’intero lavoro di ristesura del Codice.
Il nono stabilisce una «notevole riduzione» di tutte le pene ecclesiastiche. Dopodiché essa si divide in tredici sottogruppi, ognuno incaricato di redigere una parte del nuovo testo legislativo ecclesiastico. Quello che si occupa del capitolo “De iure poenali”, e quindi anche di massoneria, è presieduto dall’eccellentissimo monsignor Agostino Casaroli. Si radunerà 180 volte, per un totale di 450 ore. Intanto, un po’ dappertutto nel mondo, fioriscono come funghi i profeti del dialogo fra Chiesa e logge.
IL MASSONE E IL GESUITA
11 aprile 1969. E una cena speciale quella che si consuma nella Casa del Divin Maestro, a Roma. Da una parte del tavolo tre massoni: un israelita, uno gnostico ed un valdese. Dall’altra tre religiosi: un gesuita (Giuseppe Caprile), un salesiano (Vincenzo Miano), un paolino (Rosario E-sposito). Al Gran Maestro Giordano Gamberini viene offerto il posto di capotavola. Quasi per ricambiare la cortesia il dignitario massonico intona il Padre Nostro. Tutti i commensali si uniscono alla sua preghiera.
Poi, appena seduto, il Gran Maestro prende un pane e spezzandolo dice con tono ispirato: «Il massone spezza il pane col gesuita» e ne porge un pezzo al padre Caprile. Tutti ripetono il gesto di «condivisione fraterna». Non è fantapolitica religiosa. L’episodio è narrato con minuzia di particolari da uno dei commensali, il padre Esposito, nel libro Le grandi concordanze tra Chiesa e massoneria. I tre religiosi non agiscono a titolo esclusivamente personale.
Vincenzo Miano in quegl’anni è consultore del Sant’Uffizio e segretario del neonato dicastero per i non credenti, di cui presidente è l’arcivescovo di Vienna cardinal Koenig. Giuseppe Caprile, storico ufficiale del Vaticano II e dei Sinodi dei vescovi, perora apertamente la causa della riconciliazione sulle colonne di Civiltà Cattolica. Due vescovi, Dante Bernini e Alberto Ablondi, partecipano ad analoghi incontri con dirigenti massonici negli anni tra il 1968 e il 1977.
Il caso italiano non costituisce affatto una eccezione nel panorama ecclesiale di quegli anni. Anzi. Il 23 ottobre 1966 i vescovi di Danimarca, Svezia, Islanda, Norvegia e Finlandia decidono di consentire la “doppia appartenenza” a quei massoni che chiedono di entrare nella Chiesa cattolica. Il 5 luglio 1970 viene pubblicata la Dichiarazione di Lichtenau, sottoscritta da autorevoli delegati cattolici e massonici di lingua tedesca.
Vi si legge: «Noi siamo dell’opinione che le bolle pontificie, che si occupano della massoneria hanno ancora un significato puramente storico, ma non sono attuali nel nostro tempo. Pensiamo la stessa cosa anche delle condanne espresse dal Diritto canonico…». Il 19 luglio 1974 è il Sant’Uffizio ad alimentare le speranze dei riconciliatori. L’arcivescovo di Filadelfia, John Krol, domanda a Roma se la scomunica contro i cattolici iscritti alle logge debba ancora ritenersi valida.
Il cardinal Seper (predecessore di Ratzinger), risponde così: «Si può sicuramente insegnare ed applicare l’opinione di quegli autori i quali ritengono che il canone 2335, del Codice di Benedetto XV, tocchi soltanto quei cattolici iscritti ad associazioni che cospirano veramente contro la Chiesa».
Una risposta rassicurante per i più influenti prelati americani, persuasi che la massoneria yankee sia soltanto una tranquilla associazione filantropica, senza alcun intento complottardo contro il cattolicesimo. E infatti pochi mesi dopo (24 settembre 1974) ad un massone che si rivolge alla Curia di New York per chiedere spiegazioni il vice-cancelliere comunica: «Sono lieto di informarla che l’iscrizione alla massoneria non fa incorrere in nessuna scomunica. E proibito ad un cattolico unirsi ai massoni solo nel caso che la Loggia in questione sia anticattolica o anticlericale».
La presa di posizione del cardinal Seper riflette un mutamento di attitudine ampiamente diffuso ormai nell’orbe cattolico. Il Sant’Uffizio nel 1968 ha inoltrato un questionario per sondare, su questa materia, gli orientamenti dei vari episcopati. Ebbene, la grande maggioranza dei vescovi si esprime per l’abrogazione della vecchia legislazione, considerata superata dallo spirito di apertura del Concilio. Nella breccia aperta dalla lettera di Seper a Krol si infilano prontamente sempre più episcopati locali.
Quello inglese (14 novembre 1974), brasiliano (12 marz0 1975, di Santo Domingo (29 gennaio 1975). In Francia il più attivo è il presidente della Conferenza episcopale, Roger Etchegaray. Il 4 maggio 1975 dichiara: «La Chiesa, pur attendendo la riforma del Diritto canonico per riesaminare la sua legislazione penale, lascia tuttavia intendere che la scomunica non è operante e non può riguardare che una loggia che agisca espressamente contro l’esistenza e la missione della Chiesa». Massonerie buone e massonerie cattive, dunque. Ma vediamo a che punto sono giunti, nel frattempo, i lavori della Commissione incaricata di redigere il nuovo Codice.
DUBBI DELL’ULTIMA ORA
Il sottogruppo che si occupa delle “sanzioni nella Chiesa” approva la nuova formulazione del canone sulle associazioni che cospirano contro la Chiesa il 7 maggio 1977. Come previsto non si parla più di scomunica e la massoneria non è esplicitamente menzionata. Il professor Pio Ciprotti, presidente del tribunale della Città del Vaticano nonché relatore al suddetto sottogruppo, da noi interpellato ricorda: «Sì, fummo tutti d’accordo, non ci fu grande discussione. Un altro canone, quello sull’aborto, di cui si voleva attenuare leggermente la pena, creò molti più problemi».
Ultimato l’intero schema del Codice inizia un lungo processo di consultazione. In questa fase gli unici a sollevare dubbi sono alcuni porporati di Curia considerati tradizionalisti e l’episcopato tedesco. I vescovi teutonici, proprio nel 1980, portano a termine l’esperimento di un dialogo ravvicinato e senza precedenti con la massoneria, iniziato sei anni prima.
Il vescovo Josef Stimpfle, che guidò la delegazione cattolica, spiega oggi a II Sabato: «Pervenimmo alla conclusione della totale incompatibilità delle due appartenenze; il problema non riguarda tanto o solo il carattere cospirativo (che non fummo in grado di accertare) ma la visione “religiosa” della massoneria, che ingloba e relativizza quella cattolica, facendola scadere a opinione soggettiva».
All’assemblea plenaria della Commissione che incomincia a Roma il 20 ottobre del 1981 sei questioni aperte vengono segnalate all’attenzione dei Padri. Tra queste figura la decisione se conservare o meno la scomunica per i massoni. C’è ancora margine per un ripensamento, dunque.
Ma a votare per la conservazione dello status quo legislativo è solamente una minoranza, sconfitta. Il 21 aprile 1982 la segreteria della Commissione può presentare al Papa l’ultima stesura dell’intero testo legislativo. Giovanni Paolo II si circonda di un gruppo di 7 esperti per esaminarlo. Sono Mester, Egan, Betti, Ochoa, Diez Garcia, Grocholewski e Corecco.
Se ne va tutto luglio e settembre. Vengono ridiscusse ben 158 questioni. Su 119 di esse si trova un accordo. Trentanove rimangono pendenti. «Quale pena per coloro che aderiscono alla massoneria» è una di queste. C’è ancora indecisione. Il Papa, rispettoso del metodo della collegialità, vuole che l’ultima parola spetti ad una Commissione ristretta composta da tre cardinali ed un vescovo: Casaroli, Ratzinger, Jubany (canonista rinomato, arcivescovo di Barcellona), e Vincenzo Fagiolo, allora vescovo di Chieti. Il segreto pontificio impedisce ai membri della Commissione rivelare se e in che misura ci furono dissensi tra loro.
Alla fine comunque passa la formulazione già approvata dal XIII sottogruppo nel 1977. «Non è stato ritenuto opportuno menzionare i massoni esplicitamente quando si parla di associazioni contrarie alla Chiesa e che agiscono contro la Chiesa» dichiara al Sabato monsignor Fagiolo «per far comprendere che anche altre associazioni vi sono incluse». Quali? «Troppo lunga la lista per enumerarle tutte: i partiti comunisti, ad esempio, almeno quando tramavano contro la Chiesa…».
Un criterio di natura tecnica, redazionale. Questa l’interpretazione ufficiale. Che certamente non è quella divulgata ed amplificata in quei giorni dai mass media. L’entusiasmo con cui gli ambienti massonici e i profeti della riconciliazione accolgono la promulgazione del nuovo Codice, il 25 gennaio 1983, non lascia dubbi al proposito. Sulla scia della nuova legislazione alcuni episcopati si apprestano già a pubblicare istruzioni pastorali che sanciscono in pratica il principio della doppia appartenenza. Intanto, proprio in quei giorni, lo scandalo della Loggia P2 domina la vita politica italiana.
«Sì, anche in Vaticano l’impressione fu notevole», confida il cardinal Palazzini. «Negli elenchi di Gelli figuravano, come è noto, anche alcuni cattolici…». Preoccupato delle ambigue interpretazioni “liberalizzatrici” del Codice il cardinal Ratzinger si persuade che occorre porre un saldo argine dottrinale al loro dilagare. Il “prefetto della fede”, secondo quanto rivelano fonti attendibili, deve faticare non poco per vincere le resistenze di alcuni alti prelati, anche in Vaticano.
Fatto sta che solo un giorno prima della entrata in vigore della nuova legge ecclesiastica, il 26 novembre 1983, l’ex Sant’Uffizio pubblica un’asciutta ma eloquentissima dichiarazione. In essa si ribadiscono tre punti fermi. Primo, che il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche non è mutato. Secondo, che tutti i fedeli appartenenti alle associazioni massoniche (non solo i dirigenti), «sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione». Terzo, che non compete alle conferenze episcopali «pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito».
Inutile dire che la dichiarazione è vista come il fumo negli occhi in molti ambienti cattolici. «Un fulmine a ciel sereno» ricorda padre Caprile che, in spirito di santa obbedienza, oggi non vuol dire di più. Diverse Conferenze episcopali, quella statunitense in testa, esigono chiarimenti da Roma. Specialmente nella Compagnia di Gesù, come ha riconosciuto in una intervista a 30Giorni il “Papa nero”, Peter-Hans Kolvenbach, non pochi “massonologi” manifestano delusione ed amarezza.
«A proposito dell’affermazione sull’inconciliabilità dei principi si va ora da qualche parte obiettando» nota L’Osservatore romano del 22-23 febbraio 1985 in un fondo chiaramente ispirato dall’ex Sant’Uffizio, «che essenziale della massoneria sarebbe proprio il fatto di non imporre alcun “principio” ma piuttosto di raccogliere insieme, al di là dei confini delle diverse religioni e visioni del mondo, uomini di buona volontà sulla base di valori umanistici comprensibili ed accettabili da tutti».
Una ecumene umanitaria ben disposta a tollerare al suo interno, per usare una felice espressione del professor Del Noce, la sezione di rito cattolico. Ma il cristiano «al quale è cara la sua fede», replica il corsivista vaticano citando Leone XIII, percepisce di istinto che la «forza relativizzante di una tale fraternità riduce la salda adesione alla verità di Dio, rivelata nella Chiesa, a semplice appartenenza ad una istituzione, considerata come una forma espressiva particolare, accanto ad altre forme espressive, più o meno altrettanto possibili e valide, dell’orientarsi dell’uomo all’eterno». Il cardinal Firrao legge queste righe e muove il capo in segno di consenso, finalmente rasserenato. I tempi sono cambiati e le pene ecclesiastiche possono ben essere meno severe, ma la fede è la stessa.
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DOSTOEVSKIJ
La parabola del massone Inquisitore
VOLTAIRE, il terribile, fu iniziato alla massoneria da un vescovo cattolico francese. Gli ecclesiastici francesi affollavano le logge nel Settecento. «E’ infondata», ci fa sapere il professor Aldo A. Mola, «l’equazione “massoni = persecutori dei gesuiti”, dal momento che molti gesuiti erano massoni, compreso Barruel!». Per chi non lo ricordasse Barruel è il veemente autore delle Mémoires pour servir à l’histoire du Jacobinisme, un grande affresco di dietrologia storica per dimostrare che la Rivoluzione francese e tutta la modernità sono il frutto di una congiura planetaria ordita dalle società segrete ai danni del Trono e dell’Altare.
Accanto alle affiliazioni massoniche di cattolici «modernisti», ci s’imbatte nel massonismo, convinto e teorizzato profondamente, di Joseph De Maistre. Le edizioni Slatkine di Ginevra hanno pubblicato nell’83 un bel volumetto intitolato Ecrits Maçonniques de Joseph De Maistre, dov’è raccolto anche il suo saggio rivolto al duca di Brunswick, alla vigilia dello storico convegno massonico di Wilhemsbad, nel 1782. Maria Antonietta concludeva sarcasticamente: «Tutti ci sono dentro».
In effetti verrebbe da pensarlo a scorrere le varie liste di ecclesiastici massoni redatte negli anni. Il Taute, nel 1909, ne contava 500. Le liste sono altrettanto numerose. Da quella del Gamberini, ripresa da Rosario Esposito in Le grandi concordanze fra Chiesa e massoneria, si ricavano i nomi dei cardinali De Bernis, Brancaforte, Delci, monsignor Morosini, vescovo di Verona, monsignor Ventimiglia, vescovo di Catania, inquisitore generale di Sicilia. E moltissimi altri.
Ma l’ecclesiastico massone più rivelatore ha avuto solo esistenza letteraria: il Grande Inquisitore de I fratelli Karamazov di Dostoevskij. La scena è ambientata in una calda Siviglia secentesca, per le cui strade è tornato a camminare un uomo sconvolgente, Gesù Cristo.
Il Grande Inquisitore lo fa arrestare: infatti si sente un filantropo, vuole il bene degli uomini, si preoccupa della loro felicità garantita da un ordine sociale controllato. Per questo ha dovuto arrestare Gesù. La sua sola presenza, che parla alla libertà del cuore umano è — per il Grande Inquisitore — il più tremendo pericolo per l’umanità fragile e impotente.
«E chi sa» racconta Ivan, che si identifica chiaramente con l’Inquisitore «può darsi che questo vecchio maledetto, che ama l’umanità così a modo suo e così ostinatamente, esista anche oggi, sotto l’aspetto di un’intera schiera di questi vecchi; e che esista non per caso, ma per un accordo, per un’alleanza nascosta, organizzata già da molto tempo, allo scopo di custodire il segreto, di nasconderlo agli uomini deboli e disgraziati per farli felici.
Certamente è così, dev’essere così per forza. Io penso vagamente che i massoni, alla base, abbiano qualcosa del genere». Alla fine, nel romanzo, il Grande Inquisitore, baciato sulle labbra da Gesù, forse per la prima volta nella vita commosso nell’intimo, decide di non metterlo a morte: «Vattene, e non venir più… Non venire mai… mai!». A.S.
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La gran pace è con noi
«Quando fu tolta la parola scomunica le iniziazioni si moltiplicarono». Il Gran Maestro ricorda i giorni felici.
di Antonio Socci
IL giardino della roccaforte del Grande Oriente d’Italia, la Villa Medici Riccardi, confina da un lato con l’ambasciata sovietica in Italia e dall’altro con l’abitazione di un importante diplomatico americano a Roma. Armando Corona ce lo racconta tutto divertito. E ormai alla vigilia dell’abbandono della carica di Gran Maestro alla quale fu eletto il 27 marzo del 1982, dopo la tempesta della P2 che decapitò i vertici di Palazzo Giustiniani. Si vanta di aver «ripulito» la massoneria dal fango in cui si trovò sommersa con la P2.
Ma soprattutto questi anni hanno visto consumarsi un evento storico: la cancellazione delle parole «scomunica» e «massoneria» dal nuovo Codice di diritto canonico entrato in vigore nel 1983. Una svolta, dopo 250 anni di condanne della Chiesa, a cui Corona attribuisce l’effetto di una «rifioritura» delle iniziazioni alla massoneria da parte di cattolici, nonostante il documento del 26 novembre 1983 della Congregazione per la dottrina della fede, dove si nega che sia possibile ai cattolici l’iniziazione alla massoneria.
«Nei Paesi latino—americani i vescovi rifiutano l’interpretazione del cardinal Ratzinger perché asili, chiese, ospizi, perfino l’acquisto di arredi, sono dovuti quasi totalmente alla solidarietà della massoneria. In Europa è diverso. Qui c’è stata la scomunica del 1739, che fu dovuta esclusivamente a motivi politici, perché la massoneria si opponeva alla commistione fra spirituale e temporale nella Chiesa».
II Sinodo romano confermò la scomunica agli appartenenti alla massoneria. Nel Concilio invece la parola massoneria non fu neanche pronunciata. Lei sa darmi una spiegazione?
Perché nel Concilio c’erano tutte le componenti. C’erano ad esempio gli episcopati latinoamericani e Usa. La stessa Curia romana non aveva nessun contrasto con noi. Il cardinal Ottaviani, ad esempio, conosceva benissimo la massoneria. Anche il cardinal Siri conosceva molti «fratelli» ed era continuamente informato della vita delle logge a Genova.
Al Concilio gli stessi episcopati, francese, olandese, spagnolo, britannico, irlandese, tutti avevano una buona idea della massoneria, senza preconcetti. Comunque io sono fiducioso. Molti ecclesiastici, di diversi ordini, intrattengono continui rapporti con noi, partecipano alla nostra vita, sanno ciò che facciamo e pensiamo. Sanno, ad esempio, che abbiamo aiutato moltissimo tanta gente nell’Est europeo.
In Polonia i fratelli sono molti, molto attivi ed hanno avuto un ruolo importantissimo per accelerare i processi di liberalizzazione. Lo stesso esperimento di Gorbacev sarebbe fallito se non avesse avuto una certa accoglienza. In Russia c’è una grandissima tradizione massonica (erano fra l’altro massoni Tolstoj e Kerenskij). Torniamo alla Chiesa. Che parte ha avuto il cardinal Koenig nel «dialogo»? Gran parte del merito è suo.
Prima cominciò un dialogo, del tutto riservato, con grandi esponenti massonici. Poi, una volta compreso, fece maturare il momento per proporre un diverso giudizio ai cattolici. La sua influenza sul Codice è stata decisiva. Koenig sa bene cos’è l’Istituzione. Ad esempio conosce bene cosa significa la «solidarietà» massonica, perché ogniqualvolta ha chiesto aiuto ai massoni ha ottenuto abbondantemente anche senza dover spiegare a cosa servissero quei fondi.
Sapevate di ciò che stava maturando attorno al nuovo Codice?
Sapevamo da alcuni anni che doveva cadere la parola «scomunica» riferita a noi. Quando fu definitivamente approvato fra noi scoppiò un grande entusiasmo. Ricevemmo lettere da tutto il mondo. Fu un grande sollievo. Molti fratelli che prima avevano avuto problemi in famiglia a causa della scomunica poterono rientrare in pace nell’Istituzione. Vi fu un fiorire di iniziazioni. Era qualcosa di straordinario: dopo centinaia di documenti di condanna da parte della Chiesa, finalmente i cattolici potevano farsi massoni senza condanne dalla Chiesa.
Senonché, il giorno precedente l’entrata in vigore del nuovo Codice, la Congregazione per la dottrina della fede corregge le interpretazioni «permissive» del canone 1734 e ribadisce che il giudizio della Chiesa sulla massoneria non è affatto mutato.
Nella Chiesa dev’essere accaduto qualcosa. Il momento di massima tensione morale per noi è stata quella dichiarazione del cardinal Ratzinger, che solo dopo qualche mese fu collocata nella giusta posizione. In Spagna, dove esiste una facoltà di Storia della massoneria, il padre Benimeli, che ne è il preside, scrisse un intero libro per dimostrare che Ratzinger non poteva rilasciare quella dichiarazione a nome di una commissione che non era stata ancora insediata (quella per la corretta interpretazione del nuovo Codice).
Veramente il cardinale non pubblicò quella dichiarazione a nome della commissione di cui lei parla, bensì a nome della Congregazione per la dottrina della fede e con l’approvazione del Papa. Quindi a nome della Chiesa.
Fatto sta che noi continuammo i nostri contatti con una serie di esponenti della Chiesa i quali sostennero che nessuno può cancellare né lo spirito, né la lettera del Codice. A dire il vero non fummo molto sorpresi di quella sortita di Ratzinger, perché già sapevamo che egli è un nostro avversario da sempre. Se non ricordo male, proprio lui ostacolò i primi passi del nostro dialogo cominciato in Austria. In Germania, in questa lotta feroce che si fa alla nostra Istituzione, c’è sicuramente la sua longa manus.
Ma perché continua a parlare del cardinale: quel documento uscì con l’approvazione del Papa.
Sì, ma il Papa approvò anche il Codice. Io non sono mai riuscito a spiegarmi questa contraddizione. E non mi sono nemmeno accontentato della spiegazione che circola: che cioè il Papa avesse vicino a sé un ordine religioso, di cui si fidava ciecamente e che gli fece firmare anche la dichiarazione di Ratzinger (dicono si tratti dei salesiani). Questa spiegazione non mi ha mai convinto. In coscienza, però, non so darne un’altra.
E perché non ne è convinto?
Noi riteniamo che il Papa conosca bene personalmente l’azione che i massoni hanno svolto in Polonia, dove l’Istituzione è viva e operante. Io dunque penso si tratti di una lotta all’interno della Curia: fra la novità e la conservazione.
Entriamo nel merito. La dichiarazione dell’ex Santo Uffizio ribadisce la condanna, non tanto in forza di una presunta trama sovversiva di cui sarebbe soggetto la massoneria, ma per la stessa filosofia esoterica dell’iniziazione massonica (di cui peraltro si vogliono far conoscere solo i primi tre gradi) che sono in gravissima contraddizione con i dogmi della rivelazione cristiana. Dunque: posto che già i primi tre gradi minano alla radice la verità cristiana, perché vi rifiutate di far conoscere il contenuto esoterico degli altri gradi?
Noi non possiamo entrare in discussioni teologiche. Non possiamo e non vogliamo. L’obbedienza massonica principale, quella che fa capo alla Gran Loggia d’Inghilterra e al principe di Kent, con 50mila logge in tutto il mondo, pone, alla base della sua speculazione, la credenza in un Essere Supremo, ma non impone nessuna particolare confessione religiosa.
I Landmarks prescrivono a ciascun massone di vivere secondo la legge morale e in coerenza con la propria coscienza. Entrare nel merito teologico delle varie confessioni è per noi impossibile e assurdo: noi abbiamo fratelli delle più diverse confessioni religiose.
Dopo quei pronunciamenti cosa è accaduto?
Niente di particolare. Noi continuiamo ad ospitare gesuiti, paolini ed altri ai nostri convegni. Da ciò che dicono comprendiamo cosa sta accadendo. Il tempo, comunque, sarà galantuomo, è inevitabile che prima o poi, dopo la caduta della scomunica, si arrivi all’incontro ufficiale.
Si è detto che perfino i settori tradizionalisti avrebbero qualche rapporto con la massoneria. Si è parlato addirittura del gruppo di Lefebvre. Ma egli è feroce contro le commistioni di cattolici con la massoneria. Lei cosa ne pensa? Esiste davvero qualche rapporto?
Non c’è dubbio. Ogni Gran Loggia prende le iniziative che vuole. Penso che in Francia Lefebvre, forse anche senza saperlo, abbia rapporti con quelle logge della massoneria francese che si oppongono al Grande Oriente di Francia, il quale — caso unico al mondo — è ateo e razionalista (fra l’altro è assai ramificato nel mondo politico). Gli aderenti alla Gran Loggia appartengono invece ai settori più conservatori, sono governatori e ufficiali delle ex colonie francesi, gente dalla cultura tradizionalista (del resto lo stesso Lefebvre non è stato vescovo missionario in Africa occidentale?).
Adesso quali sono gli ecclesiastici più vicini nel dialogo con voi?
Abbiamo l’impressione che all’interno della Chiesa si stiano ancora muovendo molte pedine, che ci sia una situazione molto fluida.
I vostri tradizionali interlocutori, quelli della prima ora, ritiene siano stati emarginati dentro la Chiesa?
No, non mi sembra. Probabilmente sono stati avvertiti di andare più cauti perché la presenza del cardinal Ratzinger condiziona molto questi uomini di fede. Prenderanno slancio e vigore, ma in futuro.
E con i vescovi italiani che rapporti intrattenete?
Con loro abbiamo rapporti locali, abbastanza diffusi. Posso dire che l’episcopato italiano negli ultimi dieci anni ha assai migliorato la sua posizione verso di noi. C’è stato qualcuno, come il vescovo di Perugia, con cui in passato abbiamo avuto qualche scontro. Però noi abbiamo consentito con grande tolleranza che appurasse i fatti e tutto così è tornato tranquillamente in ordine. Solitamente i vescovi ricevono le nostre riviste, i libri, i documenti, persone che contemporaneamente sono nostre e vicine ai vescovi. A noi interessa il convincimento continuo, non la polemica, perché quando verrà questo momento ufficiale deve essere una svolta definitiva, come lo fu la caduta della scomunica.
Può fare altri esempi di comunanza d’intenti con la Chiesa su questioni internazionali?
Per esempio il caso del Libano. Sono stato laggiù un paio di anni fa a rifondare la Gran Loggia libanese (quella che c’era era asservita alla monarchia di Giordania). Ero ospite dei cristiani maroniti, ma attorno al tavolo c’erano tutti: cristiani, drusi, islamici. Erano tutti massoni, il generale Aoun come il capo del governo, che era un islamico. Allora ho detto: «Vedete: la loggia è il momento unificante. Partendo da questo potete smettere di spararvi, là fuori». D’altronde la massoneria nacque in Inghilterra proprio per mettere fine ai conflitti tra monarchici e repubblicani.
Adesso devo tornare in Libano. Andrò a dire che il grande nemico comune è il materialismo e l’edonismo. Dalla loggia può scaturire la pace. C’è un precedente clamoroso in Medio Oriente: la pace fra Egitto e Israele fu stipulata appunto da due statisti, Sadat e Begin, che erano entrambi massoni. Noi vogliamo migliorare la società. Dovunque vi sia la nostra presenza cadono le barriere.
La società va in una certa direzione. Tutte le religioni e le istituzioni iniziatiche devono tendere a questo. La Chiesa comincia a prenderne coscienza adesso. Se si dirigerà alla liberazione dell’uomo dal materialismo e dalla quotidianità e spingerà l’individuo alla ricerca di una sua interiorità si troverà fatalmente al nostro fianco, visto che la nostra istituzione ha come scopo la costruzione del tempio interiore.
Ma la Chiesa non deve occuparsi eccessivamente dei problemi materiali dell’uomo, perché la qualità spirituale dell’uomo è la stessa, che abiti in un grattacielo di New York o in una capanna. La Chiesa secondo me dovrebbe incoraggiare soprattutto la spiritualità dell’uomo: a occuparsi dei problemi materiali dell’uomo ci pensano già altri, i partiti, i sindacati, l’Onu.
Vorrei concludere sull’argomento. Lei come è intervenuto durante la fase preparatoria del nuovo Codice?
Ma no, guardi, io non ho fatto nulla. Ai primi di maggio del 1982, nei giorni del Congresso de, quando incontrai De Mita (che stava per essere eletto segretario) insieme con Flavio Carboni e Carlo Caracciolo, c’era anche monsignor Hilary. Chiesi a lui notizie sulle trattative fra Chiesa e massoneria per addivenire alla delicata cancellazione della scomunica dal nuovo Codice.
In quell’occasione lui mi invitò in Vaticano appunto per la questione del Codice, ma non fu un incontro molto produttivo. In compenso, là vidi per l’ultima volta Roberto Calvi. Mi fece l’impressione di uno sprovveduto, di un uomo un po’ ingenuo. E poi che brutta fine ha fatto. Come sa si è suicidato — è sicuramente suicidio —, e io penso anche di averne capito i motivi psicologici: era assillato dal terrore di vedere crollare il suo impero bancario e tornare ad essere un signor nessuno.
Per finire, ci può dare qualche notizia sul suo successore. Si sono fatti vari nomi… Penso che ormai abbiano raggiunto un accordo su Enzo Paolo Tiberi; che era già stato eletto Grande oratore. Sono molto soddisfatto di questo clima di concordia dentro l’Istituzione. E sono felice di tornare a svolgere l’attività che più mi preme, quella internazionale.