di David Ressegotti
Nell’ambito del romanzo di science fiction, si indica con il termine di distopia un determinato sotto-genere in cui l’autore immagina un tempo futuro o alternativo, solitamente frutto delle contraddizioni e dei pericoli contemporanei, in cui le peggiore paure prendono corpo e danno forma ad una società umana iniqua e anti-libertaria.
Il genere distopico, in circa un secolo di sviluppo dei temi fantascientifici, ha dato alla luce assoluti capolavori, specialmente nel mondo anglosassone: Farenheit 451 di Ray Bradbury, per esempio, o ancora il celeberrimo 1984 di Orwell (per citare solo i più noti), sono entrati a pieno titolo tra le opere che hanno segnato il ‘900.
L’ideazione e descrizione di una distopia, peraltro, non ha lasciato indifferenti anche alcuni autori cattolici inglesi (è il caso, per esempio, de Il padrone del mondo di Benson o del divertente romanzo L’osteria volante di G.K. Chesterton).Difficile, tuttavia, trovare fra le varie fantasie distopiche mai create una realtà tanto sorprendente e terrificante quanto quella descritta ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley, pubblicato nel 1932 e primo vero successo editoriale di un autore originalissimo e molto controverso, uno spirito (a modo suo) profondamente religioso e precursore riconosciuto della celebre beat generation americana.
Il motivo è presto detto. Tutte le varie ‘distopie’ letterarie o cinematografiche hanno quasi sempre alcuni tratti in comune: viene molto spesso descritta una forma di regime totalitaria, in cui un governo rigido e pervasivo amministra il potere con brutale violenza sia fisica sia psicologica.
Non è difficile riconoscere dietro quei sistemi meccanicamente perfetti di dominio la paura di una nuova tirannia di stampo hitleriano e/o staliniano (a partire, per esempio, da La svastica sul sole di P.K. Dick): l’impressione suscitata da queste terrificanti esperienze di governo autoritario continua persino oggi a lasciare il segno nella produzione distopica, in un tempo in cui simili paure sono state -grazie al Cielo!- scongiurate.
Il brave new world di Huxley, al contrario, in un certo senso oltrepassa anche quelle paure di governo dittatoriale: viene descritto una Terra in cui non c’è più scopo alla lotta politica. Nell’universo creato da Huxley lo stesso concetto di ‘politica’ non ha più senso: si è sviluppata infatti la perfetta rivoluzione ‘psicologica’ dell’umanità, e non solo quella meramente sociale.
Nel “mondo nuovo” vengono dunque immaginati dei procedimenti di controllo mentale ed emotivo in grado di garantire un perfetto dominio sull’umanità: e se questo è certamente un tema ben presente anche in altre, molto celebri distopie (come quella di Orwell, per esempio), la genialità dell’autore è qui nel dare vita ad un controllo perfetto dell’umanità basato unicamente su meccanismi mentali, senza alcun bisogno di repressione violenta.
Con alcune semplici mosse, infatti, la vita dell’umanità viene incanalata in argini perfettamente ideati per negare alle persone anche solo la possibilità di sentirsi dominati.
La famiglia non esiste più: il governo si assume l’onere di programmare il numero di nascite e di immettere, grazie ad avanzate tecniche eugenetiche e “disgenetiche”, l’esatto quantitativo di essere umani necessari alla società. Questi feti vengono divisi, fin dal concepimento in vitro, in cinque categorie gerarchiche di importanza (da Alfa Plus a Epsilon Minus) e condizionati fin dall’incubazione al lavoro cui sono destinati. Particolare cura è destinata a inibire le capacità intellettuali e fisiche delle classi inferiori, in modo che siano perfettamente felici ed adatti agli incarichi più bassi – senza alcun desiderio di avanzare lungo la scala sociale.
L’educazione è uniforme, fondata sulla divisione dei ceti e impartita attraverso condizionamenti forzati dell’inconscio: le lezioni (semplici e rassicuranti) vengono inculcate nel sonno (ipnopedia) e sono ripetute fino a diventare parte integrante e inscindibile della mente dei bambini. Vengono rafforzati soprattutto i comportamenti sessualmente disinibiti, la contraccezione, il consumismo sfrenato e la passione per lo sport, e demonizzati o resi privi di senso i rapporti d’amore, le coppie stabili, la maternità, la creatività, l’amore per la natura e per la riflessione.
Tutta la terra è pacificata e riunita in un unico governo federale, diviso in dieci macro-settori senza alcun conflitto interno. Il concetto stesso di patria è inesistente: tutti gli uomini sono uniformati e del tutto uguali gli uni agli altri in ogni parte del globo. Il corpo sociale è l’unica cosa importante: ogni individuo ne deve far parte con gioia e godersi la vita senza occuparsi di politica o società. “Ognuno appartiene a tutti” è una delle principali lezioni continuamente ripetute nel sonno.
La vita si svolge infatti in una routine di lavoro leggero e privo di difficoltà, seguito da notti di vita sociale e sessuale sfrenata e da frequenti dosi di un potente allucinogeno e ansiolitico, il soma, in grado di inibire qualunque istinto violento o malinconico e qualunque cattivo pensiero. Nessuno ha mai fatto esperienza di desiderio insoddisfatto, di bisogno, di frustrazione, di malinconia o anche solo di malattia. Tutto ciò che costa fatica, infatti, non vale neppure la pena di essere inseguito: per esempio, la donna desiderata (nel raro caso in cui non si conceda immediatamente) può essere sostituita da dozzine d’altre, o da una generosa dose di buon soma. La scienza farmacologica ha fatto tali passi da gigante che a tutti è garantita giovinezza e bellezza fisica fino alla morte.
I morenti, solitamente vecchi non più di 60 anni e consumati dall’interno dall’uso di droghe e dalla vita sfrenata, vengono cremati e usati come concime: l’umanità è condizionata fin dalla tenerissima età a non temere la morte, a considerarla un atto necessario al benessere della società e a non ritenere in nessun caso una persona insostituibile. Di nessun defunto viene coltivato o ravvivato il ricordo, se non del mitico fondatore dell’ordine mondiale, il grande Ford, la cui religione (l’unica esistente) è modellata su una versione distorta del cristianesimo e basata sul massiccio uso di soma “sacro” e di canti spersonalizzanti. Le “messe” sono orge sfrenate ed anonime, basate su ritmi musicali ossessivi e su visioni allucinogene della divinità.
Stanti così le cose, chi ha bisogno di lottare per avere la libertà? La “felicità” è garantita dall’alto, e assicurata da un’intera struttura sociale che non riconosce altro valore che l’immediata soddisfazione dei sensi.
Un giovane di nome John Watson, europeo e “civile” ma nato e cresciuto per caso in una delle poche ‘Riserve’ non civilizzate della Terra (un Messico tribale e selvaggio), è l’esploratore e critico di questo “mondo nuovo”. Avendo trovato da bambino un’antichissima opera omnia di Shakespeare, che legge e rilegge come un testo sacro fin dalla più tenera età, John usa frequenti citazioni del Grande Bardo per descrivere e criticare questa realtà, totalmente priva di Dio, di amore e di bellezza.
Sull’altare della soddisfazione dei bisogni primari John riconosce perfettamente il sacrificio del senso del divino. Nessuno degli uomini civilizzati, infatti, è in grado anche solo di comprendere le parole che lui recita: tutte le opere d’arte dell’umanità sono andate perdute dopo la fondazione del sistema Fordiano ed oggi sono ancor meno che vietate, essendo totalmente inutili ed oscure. Persino la scienza è concepita ormai come mero sviluppo tecnologico, totalmente privata di ogni anelito di verità e di conoscenza.
Nello splendido finale, che vede John contrapporsi ad uno dei padroni di quel mondo, viene posto il bivio finale: rinunciando all’umanità, è possibile creare un sistema in cui non v’è che pace, uniformità e soddisfazione; rivendicandola, ci si estranea dalla collettività e si è destinati alla solitudine, come folli e anti-sociali. Arrendersi alla stolida e facile “felicità” dei propri simili, o “reclamare il diritto di essere infelice”?
Questa descrizione del “mondo nuovo” vi ricorda per caso qualcosa del nostro mondo occidentale? Si rimane persino terrorizzati dall’esattezza di certe tendenze descritte nel libro, isolate e portate all’estremo dal genio di Huxley nel lontano 1931 e oggi, ottant’anni dopo, così tangibili e comuni. Terrore perché, a differenza di nazismo e comunismo sovietico, questi tentativi di assicurare il benessere in cambio della rinuncia all’individualità ed alla religiosità riuniscono il peggio dei due totalitarismi; e ancora oggi (pur vestendo un manto molto più rassicurante) sono tutt’altro che sconfitti. Un mondo senza malinconia e senza paure, certo, ma solo a patto di annichilire anche la libertà, l’amore e la bellezza: ecco la peggiore delle distopie che lo scrittore inglese è stato in grado di ideare. Un mondo, cioè, dove non esiste più l’Uomo.
I personaggi descritti nel brave new world, per quanto felici possano pensare di essere, sperimentano infatti la più umiliante delle violenze e delle dominazioni: viene negato loro persino la possibilità di sentirsi schiavi. Non c’è neppure bisogno di una polizia segreta.
John infine sceglie la via più dura, e ne paga le conseguenze morendo tristemente in solitudine. Ma vivere senza fare mai esperienza della bellezza, per lui e per Huxley, è una opzione ancora peggiore della morte. Anche a patto di avere salute, pancia piena e completa libertà sessuale vita natural durante. Chissà quanti, oggi, sarebbero in grado di fare ancora la stessa scelta…