di Gérard François Dumond*
In Francia, nel comune di Saint-Domet, dipartimento della Creuse, una coppia di pensionati guarda la televisione, che diffonde a profusione schemi e dichiarazioni intesi a far credere che l’uomo sia il nemico della terra, anziché il suo giardiniere, e che ci sono troppi uomini sul nostro pianeta. Sullo schermo compaiono grafici impressionanti. Si tratta di curve esponenziali, errate per definizione, poiché in nessuna disciplina scientifica si sono mai visti dei fenomeni permanentemente esponenziali e neppure semplicemente lineari.
Peraltro ciò che desta meraviglia è che non viene mai presentata l’evoluzione dei comuni rurali che subiscono lo spopolamento, come quello di Saint-Domet: più di mille abitanti nel 1850, ridotti a un quinto oggi (203 nel censimento del 1990). E’ vero che questa evoluzione, una diminuzione dell’80% in meno di un secolo e mezzo, è dovuta in gran parte all’emigrazione dai centri rurali. Ma essa è anche il risultato di una affievolita fecondità, che si è aggravata soprattutto dopo gli anni settanta.
Mentre la conferenza del Cairo del settembre 1994, che riportava il nome ampolloso di «Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo», fa proprie alcune conclusioni ora eminentemente simpatiche e auspicabili – bisogna accelerare l’evoluzione della donna – , ora discutibili sul piano etico e scientifico – bisogna controllare il popolamento -, nessuno si interessa a Saint-Domet, né a tutti i comune d’Europa che, come quello, sono votati ad una perdita di vitalità.
Se si vuol costruire in avvenire umano, è necessario fare un inventario delle insufficienze della conferenza del Cairo, ricordando che le buone intenzioni, per quanto sincere, non fanno una buona politica. Sono cinque i punti che meritano d’esser presi in esame.
Inquietanti omissioni
1) Il silenzio. Il silenzio di una conferenza, dedicata alla popolazione e allo sviluppo, sulla situazione demografica dei Paesi che stanno subendo l’invecchiamento e/o l’eccedenza dei decessi sulle nascite, è stato davvero assordante. Pensare che un saldo naturale negativo in parecchi Paesi dell’Europa dell’Est – Estonia, Lettonia, Ungheria, Bulgaria, Ucraina, Russia, Romania, Croazia – possa favorire lo sviluppo di quei Paesi, mentre essi hanno ancora parecchi sforzi da compiere per superare gli insuccessi di una economia leninista; pensare, dicevamo, che l’invecchiamento dell’Europa dell’Est possa essere una condizione favorevole allo sviluppo significa dimenticare un dato essenziale.
Nelle società moderne l’invecchiamento della popolazione implica spese generali più gravose in materia di pensionamento, di cure, di assistenza domiciliare, e pesa di conseguenza sui bilanci pubblici; mentre l’effettivo assottigliamento delle giovani generazioni rischia di limitare le risorse. Come risultato, i Paesi invecchiati rischiano di essere meno disponibili per collaborare allo sviluppo dei Paesi meno ricchi. Fino a quando si manterrà il silenzio sull’importanza e sul significato del divenire demografico nei Paesi dell’emisfero Nord, che si stanno riempiendo di rughe?
2) L’irreale. La conferenza del Cairo si è lasciata imprigionare nel proprio titolo «popolazione». Si tratta di un aggregato che non consente di analizzare la realtà. Tanto gli uomini sono simili e fra loro fratelli, quanto le popolazioni sono differenti. La popolazione della Terra non è caratterizzata da criteri uniformi. La dimensione regionale del popolamento del pianeta è molto più importante della sua estensione mondiale. Prendendo in considerazione una dopo l’altra le terre emerse, si trovano contrasti e divergenze così molteplici da rendere non realistico il voler abbracciare in una politica unica ed uniforme tutta la popolazione mondiale.
Contrariamente all’impressione lasciata dalla conferenza del Cairo, la realtà demografica è polimorfa, tenuto conto della diversità dei tassi di natalità, dei tassi di mortalità in generale, dei tassi di mortalità infantile, delle speranze di vita alla nascita, dei tassi di nuzialità, dell’età al matrimonio, dell’età alla nascita del primo figlio, della differenza di età tra marito e moglie, della frequenza di divorzi, delle nascite al di fuori del matrimonio, della composizione della popolazione per età e, infine, della densità di popolazione.
Esaminiamo quest’ultimo punto, la densità. Come in Francia sono agli estremi opposti la densità delle Hauts-de-Seine e della Lozére, del Rhône e dell’Ardéche, così nel mondo sono agli antipodi alcuni spazi ad alta densità abitativa, che rappresentano una proporzione limitata delle terre emerse, e alcuni spazi molto scarsamente popolati. Per esempio, l’Africa registra quattro piccole regioni in cui il numero di abitanti per chilometro quadrato è significativo: la valle del Nilo; la zona marittima della Nigeria e dei Paesi vicini che si affacciano al Golfo del Benin, cioè il Benin e il Togo; le terre alte dell’Africa centrale e orientale, che sono essenzialmente il Ruanda e il Burundi; e infine, in misura inferiore, il litorale del Maghreb. Il resto del continente è molto scarsamente popolato.
In America latina non si cono che due poli significativi quanto a popolosità: la zona di Città di Messico e quella di San Paolo in Brasile; altrove si ha una debole densità abitativa. Questi dati, e molti altri che si potrebbero citare, mettono in evidenza che la realtà demografica non ha nulla a che vedere con la pretesa sovraoccupazione del pianeta tanto spesso evocata, anche se qua e là potrebbero essere intraprese politiche di gestione del territorio foriere di un migliore equilibrio. E’ questo il caso dell’Indonesia, per esempio, dove è stata avviata una politica detta di «trasmigrazione» dalle isole di Giava e Madura, densamente popolate, verso altri territori dell’arcipelago molto scarsamente popolati.
3) Il dirottamento. Per lungo tempo un certo numero di esperti ha annunciato la minaccia della fame per insufficienza di risorse alimentari, salvo interventi episodici su territori limitati, però, queste carestie non si sono verificate; gli episodi più terribili di fame sono derivate, e ancor oggi derivano, da situazioni politiche. Negli anni cinquanta il Giappone, densamente popolato e senza risorse naturali, era classificato tra i Paesi sottosviluppati.
Si sa poi come si sono svolti i fatti. Nello stesso periodo la Cina, con i suoi 500 milioni di abitanti, era candidata alla malnutrizione; ma questo Paese sta raddoppiando la sua popolazione, soprattutto in virtù dei progressi della lotta contro la mortalità secondo lo schema della transizione demografica, e riesce comunque a nutrirla.
L’India, mediante la rivoluzione verde, sta per diventare esportatrice di cereali e sta per conoscere uno sviluppo inatteso, anche se ancora insufficiente a stroncare tutte le povertà. Nei paesi sviluppati, che devono anch’essi combattere con la precarietà e la povertà del proprio territorio, le politiche agricole hanno comportato politiche di lotta contro la sovrapproduzione agricola. Tutte queste evoluzioni, e i successi dell’agricoltura in numerose regioni del mondo che hanno migliorato le loro tecniche di coltura, mettono in evidenza che il postulato secondo il quale la Terra non potrebbe nutrire gli uomini è erroneo.
Peraltro, questo postulato è generalmente sostenuto da argomentazioni ormai inutilizzabili. Poiché lo spauracchio della malnutrizione diventa meno presentabile, la questione è stata dirottata verso un sostituto: la relazione tra ambiente e popolazione. Ora, contro tutte le argomentazioni relative alle relazioni tra il numero degli uomini, l’effetto serra, lo strato di ozono e via dicendo, esistono forti obiezioni, e in effetti esse sono realmente messe in discussione.
Viceversa, quando si va alla ricerca, per esempio in Europa, dei principali inquinamenti, questi non si trovano né dove ci sono le più elevate densità di popolazione, né dove la crescita della popolazione ha il tasso maggiore. Il triangolo europeo dell’inquinamento – l’ex Germania orientale, il nord della Boemia e l’Alta Slesia – è la risultante dei metodi di produzione frutto del socialismo sovietico. Invece, dove l’uomo adempie alla propria missione di giardiniere della Terra, le condizioni dell’ambiente migliorano. Per esempio, soprattutto grazie al moltiplicarsi delle stazioni di depurazione, le spiagge francesi sono più pulite oggi che all’inizio degli anni settanta.
Errate previsioni
4) L’errore. Male informati sulle realtà geografiche, parecchi delegati alla conferenza del Cairo sono rimasti confusi dallo schema che l’inglese Thomas Robert Malthus aveva proposto nel 1786: la povertà rischiava di distruggere il mondo perché «la capacità della Terra di produrre la sussistenza dell’uomo» era infinitamente più piccola della «capacità degli uomini di moltiplicarsi».
Questo ragionamento pessimistico e semplicistico è stato smentito dai fatti. Dal 1798 a oggi, il numero degli uomini è stato moltiplicato per cinque grazie ai progressi dell’economia e della medicina: crollata la mortalità infantile, scesa dal 25% a meno dell’1% nei Paesi più avanzati; quasi triplicata la speranza di vita. La capacità dell’uomo di produrre generi di sussistenza è aumentata molto più rapidamente della crescita demografica.
Spiegare il mondo di oggi mediante un ragionamento di ieri, precedente alla rivoluzione di Pasteur, alla rivoluzione industriale e pure alla rivoluzione scientifica, non ha alcun senso. Sarebbe molto più interessante studiare gli insegnamenti della scienza della popolazione, che consente di capire perché la popolazione dell’Inghilterra è aumentata del 375% nel XIX secolo, perché quella del pianeta è cresciuta in analoghe proporzioni nel XX secolo, perché questo incremento rallenta rapidamente e si trasforma persino in decremento in Paesi e regioni sempre più numerosi. E’ ormai tempo di sbarazzarsi di un principio erroneo – quello di Malthus – per tenere conto delle lezioni dei fatti. Ma questo passo è ostacolato forse da un ultimo elemento: l’imperialismo.
5) L’imperialismo. A dispetto della legge del silenzio tanto largamente imposta, parecchi testimoni non esitano a spiegare che certi aspetti erronei della conferenza del Cairo sono frutto di una politica deliberata del Paese più ricco del pianeta. Se si dà credito alla testimonianza di certi demografi africani, certi metodi hanno portato a pubblicare cifre discutibili, per non dire falsificate, allo scopo di giustificare certe raccomandazioni. Altri metodi sono stati utilizzati per fare pressioni su alcuni paesi del Sud perché si allineassero sulla posizione del potente, l’obiettivo del quale era di conservare la propria potenza.
E’ facile immaginare quello che avrebbe potuto dire il generale de Gaulles per denunciare questa nuova macchinazione che cerca di entrare in funzione. Ma avrebbe potuto parlare a nome dei Paesi del Sud, a nome dei Paesi francofoni e a nome della Francia. Mentre alla conferenza del Cairo la Francia non aveva voce: il suo messaggio era diluito nella posizione del Ministro dell’Unione Europea, gli esperti della quale non sempre hanno recepito l’esatta misura della perdita di vitalità demografica dei Paesi che la costituiscono.
Non prendiamo le lucciole dei neo-malthusiani per lanterne. Non lasciamoci sedurre da ragionamenti globali e semplicisti che mascherano la verità. La realtà demografica essenziale è regionale e locale. E compete a ciascun Paese, a ciascuna collettività territoriale, nel quadro delle proprie responsabilità, mettere in atto le proprie politiche a favore di buoni equilibri demografici.
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* demografo, docente universitario e presidente dell’Institut de Démographie politique della Sorbona di Parigi, autore per le edizioni Ares di Il festino di Crono. Presente & futuro della popolazione in Europa (Milano 1994, pp.184). Quella pubblicata è la sua comunicazione del 12 ottobre 1994 alla Commissione Demografia dell’Assemblea nazionale francese.