Nel Regno Unito i musulmani sono quasi due milioni e mezzo, con una crescita di cinquecentomila unità negli ultimi quattro anni. Aumentano le scuole e le madrase, situate in gran parte presso le moschee. E si diffondono le sharia courts che regolano divorzi, eredità e dispute finanziarie. Conquista o naturale evoluzione? La vecchia filosofia (e pratica) del multiculturalismo appare irrimediabilmente superata. Ma nulla l’ha sostituita se non la presa d’atto dell’inevitabile cambiamento della società. Da tempo non si registrano conflitti e disordini, ma non mancano le tensioni nelle comunità locali
Elisabetta Del Soldato
A Brierfield, sulle rive del canale di Leeds e Liverpool il vecchio mulino di cotone si impone all’occhio del visitatore come la gigantesca e spettrale reliquia di un glorioso passato industriale. Un tempo chiave fondamentale per l’impiego della zona, oggi siede in completo abbandono.La città, con la sua fabbrica in disuso, si trova nel Lancashire, un luogo idilliaco che ispirò J.R.R. Tolkien per II Signore degli Anelli. Il mulino, che un tempo veniva usato per produrre garze mediche, è stato comprato un anno fa per un milione di sterline, circa un milione e 300mila euro, dall’ente di carità di Birmingham Islamic Help con l’intenzione, si legge nel progetto presentato al Comune, di costruire un collegio che possa ospitare fino a cinquemila ragazze musulmane.
Brierfield ci appare come un mix vibrante di un’Inghilterra bianca che appartiene alla classe lavoratrice e di famiglie di immigrati che hanno radici soprattutto nel subcontinente indiano, una comunità che sembra sappia convivere serenamente, almeno a prima vista. In realtà il progetto di trasformare il vecchio mulino in una scuola musulmana ha fatto riaffiorare crepe che nella comunità esistevano già da tempo.
L’opposizione al progetto è stata così forte, una raccolta di oltre mille firme in una cittadina di ottomila abitanti, che non solo è riuscita a farlo bocciare ma anche a sollevare una domanda in Parlamento sul rischio di “islamizzare la Gran Bretagna”. Abbandonata a se stessa, la vecchia fabbrica di garze sembra oggi il simbolo della crisi non solo economica ma anche sociale della Gran Bretagna. Sta in piedi ma tentenna, un po’ come la comunità in cui si trova.
Brierfield non è il modello di perfetta integrazione che ci è apparso all’inizio, anche qui come in gran parte del Regno ci sono tensioni. Ma a renderla più vulnerabile è la vicinanza a Burnley, un’altra cittadina che nel 2001 fu teatro di forti scontri tra la comunità bianca e quella asiatica. All’epoca gli abitanti della zona si dissero sorpresi di una così “inaspettata ondata di violenza” ma ovviamente qualcosa covava da tempo. Più tardi simili disordini si consumarono anche in città vicine come Bradford, Oldham e Leeds, nel nord dell’Inghilterra.
«L’idea di costruire una scuola esclusivamente musulmana – spiega il Vescovo di Burnley, Rt. Rev. John Goddard – vicino a una città che sta ancora cercando di riprendersi dai disordini del 2001 mi rattrista, perché so che creerà ulteriori tensioni, infiammerà gli estremisti di destra e rallenterà i progressi fatti fino ad oggi per integrare diverse comunità. Sarebbe infatti molto meglio che l’ente di carità Islamic Help pensasse ad un altro luogo, in un’altra parte del Paese».
Il Vescovo ha poi ricordato come sia la chiesa anglicana sia quella cattolica si fossero «astenute da progetti di apertura di nuove scuole dopo gli scontri del 2001 per paura di disturbare l’equilibrio fragile della coesione sociale». «Progetti come questo – continua il Vescovo – ci distraggono da più grande importante compito di integrarci. E finché altri progetti non saranno sviluppati, le scuole locali rimangono l’unica speranza per diffondere comprensione e tolleranza».
Dagli scontri del 2001 il governo ha investito 250 milioni di sterline (ciorca 275 milioni di euro) nelle scuole locali in programmi per migliorare le relazioni tra gruppi etnici. «Non capisco – ci dice Judith Preston, un’esponente della comunità di Brierfield – come una scuola di sole ragazze ed esclusivamente musulmana possa aiutarci a raggiungere l’obiettivo dell’integrazione. Fomenterà solo odio, invidia e violenza».
Sono 166 le scuole musulmane del Regno Unito tra quelle private e pubbliche. Oltre a queste ci sono circa 700 madrasse che insegnano part-time e che solitamente sono localizzate all’interno delle moschee. Il numero delle scuole sta crescendo così come quello dei musulmani che vivono nel Regno Unito. Nel 2009 la popolazione musulmana era cresciuta di 500 mila persone in quattro anni arrivando a un totale di due milioni e 400 mila. La popolazione musulmana, ci dice un impiegato dell’Ufficio nazionale di Statistiche, «è cresciuta dieci volte più velocemente del resto della società. Nello stesso periodo il numero dei cristiani è sceso di due milioni».
Secondo David Coleman, professore di Demografia all’Università di Oxford, le implicazioni di questa crescita sono “sostanziali”. «Parte della popolazione musulmana, ovviamente non tutta, è tra le meno socialmente e d economicamente integrate del Regno Unito e quella più facilmente associata ad un’insoddisfazione politica. Non si può affermare con certezza che siccome i numeri aumentano aumenteranno anche queste caratteristiche, ma è ragionevole pensarlo».
Per il professor Coleman non c’è dubbio che i musulmani trarranno benefici dalla crescita. «Quando una popolazione cresce, la sua voce si fa sentire di più e diventa più forte. Questa comincia ad avere un peso anche nella politica e non solo perché viviamo in una democrazia in cui persone di estrazione, cultura e religione diverse hanno diritto di voto, ma anche perché le loro opinioni vanno prese seriamente».
Carenza di Conoscenza
Ci sono circa 42 milioni e 600 mila cristiani nel Regno Unito ma se la maggior parte di questi hanno superato i settant’anni, la maggior pare dei musulmani non ne ha neanche quattro. Ceri Peach, professore di geografia Sociale all’Università di Manchester, ci spiega che la rapida crescita della popolazione musulmana pone la società di fronte a sfide importanti. «I gruppi con i principi più forti di famiglia e comunità sono i pakistani e i bengalesi, ma questi rispettano anche un codice d’onore che spesso si scontra con i principi di questa società. Dunque ci troviamo di fronte ad una situazione molto complessa».
Peach sottolinea che l’alto numero di musulmani sotto i quattro anni, circa 301 mila, «rafforzerà il futuro mercato del lavoro della Gran Bretagna ma metterà anche sotto grande pressione il mercato immobiliare e richiederà la costruzione di nuove scuole». Muhammad Abdul Bari, ex segretario generale del Muslim Council of Britain e presidente della East London Mosque, ha recentemente stimato che anche il numero delle moschee in Gran Bretagna, attualmente circa 1600, si moltiplicherà presto come quello della popolazione. «I numeri crescenti – ha tenuto a precisare – non dovrebbero essere considerati come una minaccia al resto della società. Tutt’altro, andrebbero festeggiati».
Ma la comunità di Bierfield non festeggia e in questo non è sola. La Gran Bretagna nonostante un’apparente immagine di tolleranza multiculturalista rimane molto sospettosa nei confronti dei musulmani, anche oggi, cinque anni dopo gli attacchi terroristici alla rete dei trasporti londinese che costarono la morte di 56 persone e segnarono l’inizio di una nuova epoca, dopo quella dell’Ira, del terrore, della paura, del sospetto.
«Le comunità musulmane nella maggior parte delle città britanniche – ci dice il professore di Cristianesimo e Islam David Thomas dell’Università di Birmingham – non sono più vecchie di cinquant’anni. Le prime due generazioni di immigrati hanno continuato a mantenere legami molto forti con il proprio paese di origine, soprattutto Pakistan e India, e di conseguenza molte comunità sono rimaste chiuse tra di loro». Per aiutare il dialogo interreligioso tra la comunità musulmana e quella cristiana, per esempio, continua il professor Thomas, «c’è bisogno che uno capisca la fede dell’altro. Entrambi le fedi hanno immagini dell’altra che sono versioni distorte della realtà. È dunque fondamentale esplorare la storia e la spiritualità della fede dell’altro».
Gli attacchi terroristici prima alle Torri Gemelle di New York e poi alla rete dei trasporti londinese «non hanno contribuito a migliorare l’immagine dei musulmani nella società britannica» – continua l’accademico – e la generale corruzione e aggressività di alcuni governi musulmani in varie parti del mondo alimentano un sentimento negativo. Non sono sicuro però che questo atteggiamento stia cambiando. Il problema è che nell’opinione pubblica britannica e più generalmente europea non è riconosciuta la diversità interna alle diverse comunità musulmane».
Qualche mese fa un sondaggio della British Social Attitudes su cinquemila persone commissionato dal governo ha confermato che la Gran Bretagna è profondamente divisa in campo religioso. La maggior parte degli intervistati non si è detta infatti contenta di avere una moschea vicino a casa. La ricerca ha inoltre rivelato che solo il 45% degli intervistati pensa che la diversità culturale e religiosa abbia portato benefici al Paese.
Lo studio ha incrementato le preoccupazioni che le tensioni religiose siano in crescita in Gran Bretagna e queste sono state confermate da un’altra ricerca della Islamic Education and Research Academy secondo la quale più del 63% dei 500 intervistati non musulmani è d’accordo con la frase che «i musulmani sono tutti terroristi» ; il 94% crede che la religione sfrutti le donne e il 70% che predichi l’odio. Ma per Hamza Tzortzis, relatore dello studio della IERA, molte persone cambierebbero idea se conoscessero più a fondo l’Islam.
«La ricerca infatti – spiega – ha esposto una generale carenza di conoscenza. Più di un terzo degli intervistati non sapeva chi fosse il Profeta Maometto e più di tre non aveva mai parlato con un musulmano della sua religione. Ma la cosa più sorprendente è stata che la maggior parte delle persone con cui ho parlato mostrava segni di apatia nei confronti della religione in generale».
Per qualche ragione i musulmani del Regno Unito si sentono più integrati nelle regioni della Scozia. Un recente sondaggio del British Council of Scotland ha infatti rivelato che sei scozzesi su dieci pensano che i musulmani siano ben integrati nella loro società.
«Le ragioni – spiega Rowena Arshad, direttore del centro per l’eguaglianza razziale in Scozia – possono essere legate al fatto che il numero dei musulmani in Scozia è più basso ma anche a un atteggiamento meno ansioso nei confronti del terrorismo e alla natura tipicamente amichevole, socievole, burlona, onesta, aperta e diretta di questo popolo. Il fatto che il 65% degli scozzesi abbiano espresso un certo livello di apprezzamento nei confronti dei musulmani è rassicurante per il futuro delle relazioni comunitarie in Scozia». La ricerca, continua la Arshad, «cita l’istruzione e i media come i mezzi principali che stanno influenzando questa tendenza. È dunque consigliabile esplorare queste aree e capire come queste possano migliorare l’integrazione».
Nonostante alcune situazioni di apparente buona convivenza multiculturale, comunicare è invece difficile e i primi a subirne le conseguenze sono spesso i cristiani, la maggioranza religiosa di questo Paese. Sono infatti quelli che più spesso rimangono vittime di discriminazioni. Lo dimostrano alcuni episodi recenti balzati alle cronache che hanno creato stupore e indignazione tra la comunità religiosa cristiana.
Per citarne solo alcuni, quello di un’infermiera che non poteva pregare per un malato terminale “per non invadere la sua privacy”; o quello di un’impiegata della British Airways che non poteva indossare la catenina con il crocifisso al collo per “non offendere esponenti di altre fedi” o di un’altra infermiera con non poteva indossare la croce per il “rischio che si impigliasse in un paziente”.
L’anticristianesimo ha toccato livelli ancora più decadenti quando dalle cartoline natalizie alcune compagnie hanno deciso di togliere la parola “Buon Natale” e rimpiazzarla con “Festività Invernali” per non escludere dalle feste gli esponenti di altre fedi.
«Questo concetto di political correctness adottato nei tredici anni di governo laburista – continua il professor Thomas -, questo modo di voler trattare tutti allo stesso livello, ha impedito di notare e comprendere le diversità tra la nostra gente. È come se riuscissimo a mantenere un’apparenza tollerante senza però arrivare a toccare il cuore della comunità. Un po’ come voler mettere un distacco tra noi e loro. Di conseguenza ci troviamo di fronte a una società divisa più che mai. Penso che la domanda posta dal Papa durante il suo recente discorso a Westminster Hall, “Su che basi la società prenderà le sue decisioni?”, necessiti profonda riflessione e una risposta. Visto che le religioni, tra cui il Cristianesimo e l’Islam, hanno codici di moralità, dovrebbero contribuire al dibattito nazionale sui valori morali».
I segni dell’intolleranza
In una recente intervista al Daily Telegraph, il primate della Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles, l’Arcivescovo Vincent Mchols, ha detto che «se la Chiesa cattolica svolge una parte attiva nella società, soprattutto con le sue scuole, potrebbero passare generazioni prima che la comunità musulmana sia ben integrata nella vita britannica». «Integrata», ha continuato, «significa dedita al benessere di questo Paese».
Ci vorrà del tempo prima che una piccola moschea di Birmingham che è praticamente la replica di un villaggio del Pakistan cresca e impari la lingua e i mezzi culturali che permettono di contribuire alla società». È impossibile dire se il primate si riferisse alla controversa moschea di Green Lane di Birmingham, che tre anni fa divenne teatro di un programma filmato in segreto da Channel Four, poi trasmesso con il titolo di Undercover Mosque, in cui si sentiva l’imam Abu Usamah dire che gli «infedeli vanno crocifissi» ed elogiare l’uccisore di un soldato britannico in Afganistan.
Il reporter in incognito visita anche altre moschee del Paese e filma l’imam Abdullah el-Faisal quando dice che «bisogna bombardare i negozi indiani mentre gli ebrei bisogna ucciderli fisicamente» e Bilal Philips che condona l’atto di sposare ragazze prima che abbiano raggiunto la pubertà.
Dopo cinque mesi di indagini da parte della polizia, tra cui perquisizioni e interrogatori, nessuno dei predicatori è stato incriminato per mancanza di prove. Secondo i legali degli imam, Channel Four avrebbe «decontestualizzato» le loro parole rendendole «aggressive».
L’intolleranza non è solo nelle moschee ma si riflette nelle strade, nelle comunità, nelle scuole. Un recente studio della Civitas, l’istituto per lo studio della società civile, ha scoperto che su molti siti di scuole musulmane del Regno Unito sono comuni messaggi che criticano lo stile di vita britannico.
Il ricercatore Denis MacEoin ci spiega che su alcuni si insegna ai bambini a non leggere Harry Potter; su un altro a non sognare di giocare a cricket perché è una perdita di tempo; su altri si proibisce il gioco del Monopoli perché sarebbe contro l’insegnamento del Profeta.
«È molto interessante – continua MacEoin – capire come questi ragazzi riusciranno a integrarsi in un mondo completamente diverso da quello che hanno imparato a casa e a scuola. Vedere tutto ciò che è occidentale come l’opposto di ciò che ci è stato insegnato essere giusto può avere effetti deleteri. Questo dovrebbe essere preso in considerazione molto seriamente soprattutto per evitare di alimentare l’odio. In questo studio non diciamo che queste scuole insegnano il terrore, ma ci chiediamo se non rendano gli studenti facilmente preda di un più grande estremismo. Se tutto ciò che è islamico è giusto e ciò che non lo è è corrotto, come può una mente che funziona capire e conoscere il proprio ruolo nella vita britannica?»
Le comunità musulmane nel Regno Unito sono a volte così isolate che non solo vivono, imparano e pregano a parte, ma cercano il più possibile di gestirsi da sole anche a livello legale e giudiziario. Per risolvere le dispute interne non si rivolgono infatti solo alle autorità ufficiali ma anche e più volentieri alle corti locali musulmane che applicano la sharia, la legge islamica.
Da qualche anno, infatti, la popolazione musulmana britannica può rivolgersi alle sharia courts per cause di divorzi, dispute finanziarie e di eredità. Il primo tribunale islamico in Gran Bretagna è stato istituito nel 1982 a Leyton, nell’est di Londra, con il nome di Cerf, Consiglio della sharia islamica. Nel suo statuto il Cerf sancisce la supremazia della sharia che «incarna inequivocabilmente le leggi supreme della vita e come tale deve essere rispettata». I fori che seguono la sharia sono a Londra, Birmingham, Bradford e Manchester, mentre il nucleo della rete è Nuneaton, nel Warwikshire.
La più controversa di queste court si trova a Dewsbury, nel West Yorkshire, all’interno di un vecchio pub inglese, ed è registrata come ente di carità per sgravarsi di alcune tasse. L’evoluzione di questo sistema giudiziario parallelo è stata possibile grazie a un comma del British ArbitrationAct del 1996, che classifica le corti che fanno riferimento alla sharia come «tribunali arbitrali islamici». E nel sistema di Common Law britannnico è possibile che le parti, di comune accordo, decidano di affidare la soluzione di una controversia a un terzo, il cosiddetto arbitro.
La legge islamica che si basa sulla sharia si richiama direttamente agli insegnamenti del Corano e il giudice prende le decisioni in base al testo sacro. I tribunali musulmani hanno emesso le prime sentenze nell’agosto 2007 e a oggi hanno assunto più di mille decisioni che riguardano cause civili, come sentenze di divorzio o dispute ereditarie. In alcuni casi, soprattutto di violenza domestica, la decisione del tribunale è stata contestata e i giudici hanno ordinato ai mariti di seguire corsi per controllare la rabbia.
La diffusione della legge islamica nel Regno Unito è diventata materiale di discussione dopo le dichiarazioni di due anni fa dell’Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, secondo il quale l’uso della sharia in Gran Bretagna sarebbe «inevitabile». Un’opinione appoggiata dall’allora Lord Chief Justice Phillips quando sostenne che «non c’era ragione per cui le decisioni prese dalle corti islamiche non dovessero essere riconosciute da quelle nazionali».
Tra gli esempi di verdetti di questi tribunali che vengono citati da Oxfam ci sono quello di una donna musulmana che non può sposare un uomo non musulmano a meno che questo non si converta all’Islam; quello di una donna cui vengono sottratti i figli perché non li ha avuti da un musulmano; quello che approva la poligamia, un atto illegale in Gran Bretagna.
«Il fatto che molti verdetti sharaitici in Gran Bretagna riguardino casi di divorzi e custodia dei figli – ci dice un portavoce dell’ente – è preoccupante perché le donne non sono rappresentate equamente dalla legge e la sharia non contiene alcun riferimento specifico al dover agire “nel miglior interesse del minore” che è invece un requisito fondamentale dalla legge britannica. Per la sharia un figlio maschio appartiene al padre dopo l’età di sette anni, a prescindere dalle circostanze in cui si trovi».
Il destino della vecchia fabbrica di Brierfield rimane incerto. Nove mesi dopo il “no” del Comune all’ente di carità musulmano Islamic Help che lo voleva trasformare in una scuola esclusiva musulmana per cinquemila ragazze, l’edificio è ancora vuoto e in attesa di qualcuno che sappia dargli nuova vita. Islamic Help ha già detto di essere interessato a venderlo ma solo se troverà un compratore che gli offrirà il giusto prezzo, vale a dire più del milione di sterline con cui l’ha pagato un anno fa.
Una compagnia che lavora in collaborazione con il Comune, la Pearl2, sembra ora interessata a comprarlo per un progetto di “rigenerazione”. Si è parlato di trasformarlo in un centro commerciale o in appartamenti ma niente di più specifico.
«Sempre meglio di una scuola d’elite musulmana – ci dice Judith Preston dell’associazione dei residenti della Ciltheroe Road, una strada vicina al mulino -. Questo edificio è il gioiello nella corona di Brierfield. È il simbolo della nostra zona, ha la stazione della ferrovia davanti e il canale dietro. E quando l’economia si risolleverà sarà un luogo ideale per lo sviluppo di questa zona»
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Elisabetta Del Soldato vive a lavora a Londra da sedici anni. Ha cominciato la carriera giornalistica alla redazione Spettacoli de Il Giornale di Montanelli per poi passare a La Voce, per a quale da Londra ha curato le cronache per due anni. Ha collaborato per diverse riviste e giornali italiani tra cui Sette, Panorama, Donna Moderna, Vogue e Meridiani. Da oltre dieci anni copre le notizie dal Regno Unito per L’Avvenire.