16 Gennaio 2020
Il 13 gennaio del 2013 un milione di francesi hanno dimostrato (invano) nella capitale contro il “matrimonio gay”. Contro la deriva etica dell’Occidente ci sono state anche presenze illustri del fronte laico come quella dell’ex ministro della sanità Simone Weil, nota per aver legato il suo nome alla legge sull’aborto
di Giuseppe Brienza
Il 13 gennaio di sei anni fa un milione di persone hanno sfilato a Parigi contro il “matrimonio” gay. Poco tempo dopo, però, il “mariage pour tous” passò esattamente come avvenuto in Italia con la legge Cirinnà, che le Camere hanno bellamente approvato ignorando i due grandi Family Day del 2015 e 2016.
Nel ricordare questo anniversario non solo si deve plaudire all’opera degli organizzatori della Manif Pour Tous-Francia che, contro tutti e tutto, sono riusciti a sorpresa a mobilitare così tanta gente.
Ma si deve anche rilevata l’altra circostanza di rilievo, vale a dire l’impegno che, d’allora, è proseguito ininterrotto, sebbene silenziato dai grandi media, da parte di un settore nono irrilevante del mondo laico. Che si è unito nella lotta contro le nozze gay e contro quella ricaduta di queste ultime consistente nella brutale pratica dell’utero in affitto.
Fra queste personalità c’è l’icona della stessa laïcité d’Oltralpe, ovvero Simone Veil (1927-2017), il cui nome è noto per aver promosso da ministro della sanità del governo Chirac la legge sull’aborto.
Pur su queste posizioni, il 13 gennaio del 2013 la Veil e il marito Antoine hanno sfilato, bandiera alla mano, a supporto della grande manifestazione della Manif pour tous. Subito dopo non sono mancate le moine volte a nascondere questa presenza imbarazzante, comprese quelle del suo entourage dal quale si è spergiurato che la Veil non avrebbe “sfilato, bensì unicamente salutato i manifestanti” (“pas défilé mais uniquement “salué” les opposants”).
Altrove si è scritto anche “brevemente salutato”… Ma meno male che sul web è ancora disponibile il video della “sfilata-salutata”! Dare un’occhiata per credere: https://youtu.be/TzdQUkFuFiI.
Ricordiamo che Simone Veil, di religione ebraica, durante l’Occupazione nazionalsocialista della Francia fu deportata insieme alla famiglia nel Campo di concentramento di Auschwitz. Con la sorella fu l’ultima sopravvissuta, numero 78651 tatuato sul braccio, del campo di sterminio di Birkenau, uno dei tre campi principali che formavano il complesso concentrazionario situato nelle vicinanze di Auschwitz, in Polonia.
Da questo fu liberata il 27 gennaio 1945, giorno dell’attuale “Giornata della Memoria” celebrata ancora oggi in tutti gli Stati dell’Unione europea. Simone Jacob, laureata in giurisprudenza e magistrato di professione, ha sposato nel 1946 Antoine Veil (1926-2013) con il quale è stata unita in matrimonio per sessant’anni, madre di tre figli.
È stata tra i soci fondatori e Presidente onorario della “Fondation pour la Mémoire de la Shoah”, organizzazione no-profit che si occupa della promozione della memoria e degli studi sulla tragedia dell’olocausto ebraico.
Sulla sua vicenda personale e familiare non cessano di uscire in Francia articoli, documentari e libri, l’ultimo dei quali scritto dal regista e sceneggiatore David Teboul [tra i suoi film ricordiamo “Bania” (2005) e il documentario per il cinema “Mon amour, tourné en Sibérie”, che sta per uscire nelle sale francesi]. L’opera di Teboul, intitolata L’aube à Birkenau de Simone Veil (Les Arènes, Parigi 2019, pp. 288, € 20), racconta l’infanzia, la deportazione e l’impatto dell’esperienza del lager nella sua intera vita.