di Tommaso Scandroglio
Secondo il primo rapporto dello European Center for Diseases Prevention and Control (Ecdc), denominato “Infezioni sessualmente trasmissibili in Europa: 1990-2009”, il virus della Clamidia nel 2009 ha contagiato 334mila persone. In 10 anni il contagio si è più che raddoppiato e riguarda nel 75% dei casi giovani tra 15 e 24 anni.
Eccetto per la clamidia, queste malattie tra il 25 e il 98% dei casi interessano omosessuali maschi, questo a riprova che sono le condotte sessuali e non gli strumenti di prevenzione a determinare la diffusione della malattie veneree.
Il dato che potrebbe sorprendere maggiormente è il seguente: gli aumenti più vertiginosi sono registrati in quei paesi dove si fa più informazione sessuale, dove il contraccettivo pensiero è diffusissimo così come i corsi di prevenzione per le malattie veneree. Infatti l’88% dei casi di infezione di malattie sessualmente trasmissibili si concentra in Svezia, Norvegia, Gran Bretagna e Danimarca, nazioni notoriamente assai attente alle cosiddette politiche del sesso sicuro.
In Svezia ad esempio si registra una della primissime associazioni per l’educazione sessuale, nata nel 1933 ad opera della femminista Elise Ottesen-Jensen. Nel ’45 viene dato alle stampe il primo manuale svedese sull’educazione sessuale, e nel ’55 tale materia è obbligatoria nelle scuole sin dalle elementari. Oltre a ciò non mancano i “condom’s days”, giornate in cui anche i giovanissimi imparano ad impratichirsi nell’uso del profilattico. In Norvegia invece la pedagogia del “safe sex” interessa i ragazzi sin dagli 11 anni.
Eccelle poi nell’educazione sessuale impartita nelle scuole la Danimarca. A dirlo è uno studio del 2006 redatto dall’International Planned Parenthood Federation (IPPF) in collaborazione con la Lund University svedese e la WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità) Regional Office for Europe, e con il supporto finanziario della Commissione Europea. In questo report le maglie nere sono assegnate alla Repubblica Ceca, alla Germania, all’Irlanda e alla Polonia. A questo proposito, tanto per capire quanto possa servire l’educazione sessuale nel prevenire malattie veneree, rammentiamo che secondo il report della Edcd su un campione di 100.000 soggetti la Danimarca ha registrato 541 casi di Clamidia e invece l’arretrata Irlanda solo 90.
La Gran Bretagna, paese in testa alla classifica delle malattie sessualmente trasmissibili, sta spingendo per iniziare l’educazione sessuale nelle scuole a 5 anni. Nel programma si prevedono corsi dedicati all’omosessualità e alle malattie veneree. Inoltre si è deciso per la distribuzione gratuita di preservativi agli adolescenti tra i 13 e i 20 anni. Per accedere a questo servizio serve la Condom Card, rilasciata al termine di corsi di formazione sessuale tenuti in ambulatori. In Norvegia e Svezia invece vi sono distributori automatici di profilattici nelle scuole.
Questi paesi d’altronde non fanno che allinearsi alle “Linee guida internazionali sull’educazione sessuale” dell’Unesco, pubblicate nel 2010, in cui si distillavano perle di saggezza quali: parlare esplicitamente di masturbazione ai bambini tra i 5 e gli 8 anni, di orgasmo a quelli tra i 9 e i 12 e di “aborto sicuro” agli adolescenti dai 15 anni in su.
Tutto ciò a riprova del fatto che è falsa l’equazione più educazione e più prevenzione uguale minori rischi per la salute. Anzi abbiamo visto che laddove c’è un surplus di preservativi e di informazioni sulla sessualità più fioriscono i virus. Il paradosso si può spiegare per due ordini di motivi. Innanzitutto il tipo di informazione e formazione sulla sessualità umana è tutta centrata sul genitalismo e sull’assecondamento prono dei propri istinti. Qualsiasi pulsione, per il fatto che è esistente, deve essere lasciata libera di sfogarsi. Ne consegue che la promiscuità è tratto distintivo delle condotte dei giovani del Nord Europa – e non solo di quelli. Ma più partner si cambiano maggiore è il rischio di infettarsi.
In secondo luogo puntare tutto sui preservativi è fallimentare perché nessun profilattico può assicurare una totale protezione contro tutte le malattie veneree, così come ricordano gli stessi bugiardini contenuti nelle confezioni di preservativi e come indicano gli studiosi. Stephen Genuis, professore associato presso l’Università canadese di Alberta, afferma chiaramente: “Il preservativo non può essere considerato come la risposta definitiva al contagio sessuale perché esso assicura una protezione insufficiente contro la trasmissione di molte malattie comuni”.
Se dunque il ragazzo si sente sicuro usando il condom aumenterà il numero di rapporti e di conseguenza aumenteranno le possibilità di contrarre il contagio. E’ la sindrome delle cinture di sicurezza: una volta allacciate si è portati a premere di più sull’acceleratore. Gli esperti parlano di “risk compensation”: più si abbassa la percezione del rischio più i comportamenti saranno avventati (S. Peltzman, The Effects of Automobile Safety Regulation; I. Tazi-Preve, J. Roloff, Abortion in West and East Europe: problems of access and services; T.D. Mastro, W. Cates Jr, M.S.Cohen, Antiretroviral Products for HIV Prevention: Looking toward 2031; J. Richens, J. Imrie, A. Copas, Condoms and seat belts: the parallels and the lessons). In buona sostanza di fronte alla promiscuità e mancanza di castità non c’è condom e informazione sessuale che tenga.
La lezione è stata capita almeno dalla stessa Ecdc che ha stilato il rapporto? Non pare proprio dato che sulla copertina del report campeggiano gaiamente un fila di coloratissimi preservativi