Il Borghese, anno XX Roma febbraio 2020
Per una storia delle massonerie nell’Italia del dopoguerra, 1943-1950
di Giuseppe Brienza
Questo saggio esce nella Collana di Storia Contemporanea diretta da Eugenio Capozzi e Giuseppe Parlato (n. 23) e, attingendo ad una vasta documentazione archivistica inedita, in primo luogo proveniente dai Servizi segreti militari italiani, si è meritato il Premio Acqui Storia 2019, nella sezione scientifica.
Il prof. Giuseppe Pardini vi ricostruisce la vicenda delle massonerie italiane durante il fascismo ma, soprattutto, nell’immediato dopoguerra, ovvero dall’8 settembre 1943 fino al consolidamento del sistema politico e istituzionale nel 1950.
Nonostante le ricostruzioni di comodo di parte massonica (nel senso del millantato credito) e le semplificazioni complottistiche (malate di dietrologia) di certi pamphlet antimassonici, il saggio dimostra come e perché a causa prima della diaspora indotta dalla persecuzione fascista e, poi, della pochezza morale e delle continue diatribe intestine dei suoi leader, le logge italiane non siano state in grado di incidere in maniera significativa sulla politica e sulle dinamiche della ricostruzione della nascente Prima Repubblica.
In sostanza la disarticolazione e la delegittimazione operata dal fascismo ha reso estremamente difficile ai vari gruppi massonici, con la rinascita del 1943, di coordinarsi e unire le forze se, nell’immediato dopoguerra e poi a lungo, assistiamo al sorgere e perdurare di una ventina di massonerie, in aperta lotta tra loro, e al declino definitivo di una intera generazione di “fratelli” e di figure di primo piano nella massoneria italiana, sì da alterare completamente il panorama delle varie Obbedienze.
Come conferma la preziosa Appendice pubblicata alle pp. 149-183 del libro (si tratta di un rapporto stilato per lo Stato Maggiore dell’Esercito (SME) nell’aprile 1946, dal titolo La Massoneria Italiana), «dopo il cosiddetto attentato organizzato dal deputato socialista Zaniboni [Tito (1883-1960)] contro Mussolini, e l’arresto dello Zaniboni stesso e del Generale Capello [Luigi (1859-1941)], 33 di Palazzo Giustiniani […], vennero [dal Regime] sciolte non solo le due organizzazioni massoniche allora esistenti, ma anche […] entrambe le sedi di Piazza del Gesù e di Palazzo Giustiniani invase, saccheggiate e distrutte da squadristi fascisti» (p. 179).
Dopo una lunga (e in parte stucchevole) dissertazione sulle pretese radici antiche e sull’origine del termine Massoneria (pp. 151-159), il documento dell’intelligence militare dell’epoca afferma a chiare lettere, nella parte relativa alla Massoneria italiana durante l’epoca fascista (pp. 179-183), una verità spesso minimizzata se non sottaciuta sui rapporti fra logge e Regime fascista.
Una verità basate su notizie del tempo e di prima mano, ovvero che Mussolini neutralizzò davvero la massoneria italiana che, forse anche per questo, non ha avuto parte irrilevante nella sua deposizione.
Tra gli altri spunti “inediti” offerti dal libro ve ne è anche un altro che permette di inquadrare sotto un profilo davvero originale il tradizionale attributo della doppiezza collegato alla guida storica (ancora da molti osannata) del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti (1893-1964).
Il Migliore è infatti accusato sempre di doppiezza nel senso di predicare da una parte il sostegno alla democrazia parlamentare, ma operare dall’altra (sotto la guida dell’Urss) per l’instaurazione in Italia della c.d. dittatura del proletariato. Doppiezza mostrata ad esempio con il lavoro unitario con i cattolici per incorporare nella Costituzione i Patti lateranensi del 1929, oppure la firma da Ministro di grazia e giustizia dell’amnistia del 1946.
Dai documenti riportati da Pardini, però, la proverbiale “doppiezza” togliattiana emerge con un’ulteriore evidenza parecchio imbarazzante. In sostanza il leader comunista, nel momento in cui dialogava aulicamente durante la Costituente e si affratellava con i partigiani cattolici nell’immediato dopoguerra, infiltrava e brigava con le logge anticattoliche per colpire la Chiesa e il Papato.
Togliatti quindi finanziava, con i rubli di Mosca naturalmente, la massoneria “di sinistra” e, stando ad alcuni passaggi riportati da documenti del tempo, pare che ne facesse addirittura parte in prima persona!
Così ad esempio scrive in proposito il prof. Pardini: «Un altro gruppo massonico completamente infiltrato dal Pci era ritenuto quello (piuttosto screditato, però) che faceva riferimento ad Astuni-Messineo [Pietro, Gran Maestro dal 1946 del Sovrano Ordine Massonico d’Italia e in seguito segretario del Partito agrario italiano]; così una attendibile nota fiduciaria [redatta a Roma per lo SME in data 11 dicembre 1946] al riguardo: “La Massoneria di piazza Fontanella di Borghese, capeggiata dal noto pregiudicato Astuni, è passata completamente al servizio del Partito Comunista Italiano. L’Astuni è confidente di Becco, segretario particolare di Togliatti. Sei logge sono in mano a venerabili comunisti… Le logge sono diventate delle vere e proprie cellule comuniste… Durante la decorsa settimana Astuni ha ricevuto personalmente da Becco 300.000 lire per svolgere propaganda contro la Democrazia Cristiana”» (p. 100).
Su un altro rapporto stilato per i servizi d’informazione dell’Esercito italiano (Massoneria di Palazzo Giustiniani, Roma 20 ottobre 1947), apprendiamo inoltre che «le conseguenze di una attività più marcatamente di sinistra dentro il Grande Oriente d’Italia (GOI) non tardarono a emergere rapidamente all’esterno: “[…] il Grande Oriente, capeggiato dal Gran Sovrano Laj [Guido (1880-1948), eletto Gran Maestro, il primo dopo il periodo fascista, il 18 settembre 1945 – rimase in carica fino al 5 novembre 1948, data della sua morte -] […] attraverso massoni jugoslavi e rumeni, avrebbe ricevuto forti sovvenzioni dall’Urss ed ha immesso nella loggia segreta sottoposta alla sua ubbidienza, alcuni dei maggiori esponenti comunisti, tra cui Scoccimarro [Mauro (1895-1972)] e Togliatti”» (p. 124).
Il prof. Pardini riporta poi ampi stralci del Rapporto sulla Massoneria italiana nel 1948 pubblicato da Enrico de Boccard (1921-1988) sul settimanale Lo Specchio il 23 marzo 1948. In tale interessante testo l’allora noto giornalista romano (aveva collaborato al Popolo di Roma, Cronache italiane, Meridiano d’Italia etc.,), fra l’altro, scriveva: «può dirsi che […] i giustinianei pencolano verso sinistra […]. Fra gli adepti di Palazzo Giustiniani si annoverano in buon numero esponenti marxisti e paramarxisti quali […] gli alti gerarchi rossi onorevoli Terracini [Umberto (1895-1983)] e Gullo [Fausto (1887-1974)] […] e – stando molto ai si dice – lo stesso Palmiro Togliatti» (pp. 126-127).
Giuseppe Pardini è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise (Campobasso), insegna anche Storia dei movimenti e dei partiti politici e Storia del giornalismo. Socio dell’Accademia Pugliese delle Scienze (Bari) e dell’Accademia Lucchese di Scienze Lettere e Arti (Lucca), ha pubblicato i libri Curzio Malaparte, biografia politica (Luni Editrice, Milano 1998), Roberto Farinacci ovvero della rivoluzione fascista (Le Lettere, Firenze 2007), Fascisti in democrazia. Uomini, idee, giornali, 1946-1958 (Le Lettere, Firenze 2009), Nazione, ordine e altri disegni. Vicende politiche nella destra italiana, 1948-1963 (Le Lettere, Firenze 2011), Quel che pensava e diceva la gente. Della guerra dell’Italia e della Marina militare nella censura postale, 1940-1945 (dell’Orso, Alessandria 2015) e, infine, Mussolini e il grande impero. L’espansionismo italiano nel miraggio della pace vittoriosa, 1940-1942 (dell’Orso, Alessandria 2016).
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Giuseppe Pardini Obbedienze disobbedienti. Per una storia delle massonerie nell’Italia del dopoguerra, 1943-1950 – Luni Editrice, Milano 2019