Corriere della Sera
31 Gennaio 2020
Scoperta all’Archivio di Stato una relazione sui crimini commessi da truppe Usa, inglesi e canadesi. Dal settembre 1943 al dicembre 1944 ci furono 1.250 morti investiti dai mezzi militari e 342 omicidi
di Alessandro Fulloni
Immaginate un dossier sulla sicurezza in Italia reso noto — poniamo ieri — dal Viminale, uno di quelli che pubblicano i giornali corredandolo con puntuali numeri su delitti, incidenti stradali, grafici e statistiche. Ecco, a questo punto girate la lancetta dell’orologio all’indietro e fate scorrere il tempo — mescolando storia e cronaca — sino ai giorni attorno alla fine della guerra e poco dopo.
Siamo (all’incirca) tra 8 settembre 1943, 25 aprile 1945 ma anche dopo il conflitto, fino al 2 giugno 1946 e pochi mesi successivi. Immaginate adesso la prima pagina di questo corposo dossier (che ne contiene almeno 2.000) titolata così: «Statistica incidenti e crimini commessi da truppe alleate».
Nella parte alta del foglio la grossa dicitura: «Ministero della guerra». Poco sotto l’elenco di tutti coloro a cui la relazione è stata mandata: in primis la presidenza del Consiglio, poi il ministero degli Esteri, quello degli Interni e il comando generale dell’Arma dei carabinieri. E di seguito alcuni dati riepilogativi: quelli sugli «incidenti automobilistici» che hanno provocato 1.250 morti «tra il settembre 1943 e il dicembre 1944». E che diventano 3.047 in un altro focus esteso al giugno 1947.
«Dispregio per le norme di disciplina stradale»
Sinistri «da imputarsi per la maggior parte al dispregio per le norme di disciplina stradale manifestato dai conduttori». E poi: «342 omicidi, risultante di atti spavaldi e malvagi prodotti da militari avvinazzati» dediti «a molestie alla popolazione civile, specialmente donne, sia nella pubblica strada, sia nelle abitazioni private».
Quanto alla cifra su furti e rapine (6.489) «pur considerevole, è da ritenersi molto inferiore a quella reale per il fenomeno —spiegabilissimo — della mancata denuncia per il timore del peggio».
Il corposo studio — già in passato visionato dagli storici — sui crimini commessi dalle truppe americane, inglesi, canadesi e francesi nella Penisola è stato ritrovato in questi giorni all’Archivio Storico di Stato dell’Eur, il maggiore presidio in cui viene conservata la nostra memoria.
Autore della scoperta è Emiliano Ciotti, vigile del fuoco di professione e ricercatore storico per diletto. Assai scrupoloso e appassionato nei suoi studi, il pompiere, 47 anni, è anche il presidente dell’«Associazione nazionale vittime delle marocchinate».
Un suo prozio, Anastasio Gigli, venne stuprato e ucciso dai goumiers — le truppe coloniali francesi composte da marocchini, tunisini, algerini e senegalesi — nel Basso Lazio. Anche per questo, da tempo, Ciotti si dedica alla ricostruzione delle violenze (parliamo, per intenderci, di quelle stesse narrate nel romanzo di Alberto Moravia «La ciociara» poi divenuto celeberrimo film con Sophia Loren) commesse tra il luglio 1943 (dopo lo sbarco in Sicilia) e l’inverno 1944, quando i coloniali vennero trasferiti nel fronte del Nord Europa a seguito delle fortissime proteste italiane indirizzate al comando alleato per quegli stupri di massa.
Carte provenienti dalle stazioni dell’Arma e dai commissariati
Del tutto casualmente il vigile, cercando all’Archivio la documentazione sulle atrocità dei soldati francesi , si è imbattuto nel dossier, più complessivo e inedito, sui crimini degli Alleati. Sono pagine e pagine provenienti dalle stazioni dell’Arma e dai commissariati.
Minuziosi e dettagliati rapporti scritti a macchina da carabinieri e poliziotti che hanno raccolto — né più né meno come si farebbe oggi — le denunce straziate dei genitori di un bimbo calpestato dai cingoli di un tank guidato da un carrista ubriaco o dai familiari di una donna stuprata, e uccisa, dentro casa da militari senza nome.
Colpiscono tante cose, in quei rapporti: intanto l’idea di un apparato di sicurezza, e se vogliamo di uno Stato, che in qualche modo, pur tra le macerie, dava l’idea di funzionare. Mentre infuriava la guerra, addirittura nei giorni del collasso dell’8 settembre, Arma e Polizia erano lì ad ascoltare i cittadini, avviando indagini, per quanto possibile, e scontrandosi con l’indifferenza, se non l’irrisione, dei comandi alleati.
In «presa diretta» come in un film neorealista
Ma poi, soprattutto, ci sono i fatti raccontati: le frasi dattilografate a macchina fotografano l’Italia di allora, quasi in presa diretta come in un film neorealista. Vediamo alcuni rapporti. Uno a caso da Lucca: «18 marzo 1944, un camion alleato, guidato dal caporale americano G. L. Bouer, investì e uccise il motociclista Torcigliani Turiddu».
Da Salerno, il giorno dopo: «Un autocarro alleato, non identificato, investì e uccise Musella Giuseppa». Ad Avellino un ufficiale dei Royal Marines inglesi «investe uccide Barletta Grazia». E via così sino ad arrivare al numero di 1.250 vittime in sedici mesi. Il confronto che ora proponiamo ha poco senso dato che strade e traffico allora erano completamente differenti da oggi.
Però rende l’idea: nel 2018 i pedoni morti in Italia sono stati 612. Vale a dire 51 al mese contro i 78 di allora (che diminuiscono a 66 nel conteggio esteso al giugno 1947).
Reati contro il patrimonio
Poi il capitolo dei «reati contro il patrimonio», sovente storielle minime che però raccontano i tempi: a Mondragone «il 15 marzo u.s. certo Riccio Pasquale denunziò all’Arma che il giorno precedente era stato rapinato da 5 individui, indossanti la divisa dell’esercito americano, di 5.600 lire e una bicicletta».
Un’altra rapina a Perugia «dove tre individui indossanti le uniformi degli eserciti alleati penetrarono nell’abitazione di Pievaioli Guglielmo e lo rapinarono di 47.000 lire». Ruberie a tappeto vengono effettuate da «truppe canadesi e greche appartenenti all’Ottava armata tra Jesi e Cattolica, nella Marche».
«Atti spavaldi e malvagi»
Un «rapporto segreto» rivela che dopo la fuga dei tedeschi dalla linea gotica «ogni casa fu visitata e tutti gli effetti dei civili sistematicamente asportati». «Nella maggior parte gli abitanti rimasero unicamente con i vestiti che in quel momento indossavano». Un convento fu saccheggiato e nulla valsero i «turni di guardia» degli sfollati che qui si erano rifugiati portando i loro averi.
«Le popolazioni di Cattolica e Riccione, già vessate dai tedeschi, e che attendevano con ansia le truppe liberatrici, rimasero terrorizzate» da uccisioni «per pura brutalità» e i saccheggi contro cui a nulla valse il «tentativo di mettere un freno da parte del sindaco di Riccione» che parlava «un ottimo inglese».
Chi all’epoca scrisse il riepilogo del rapporto nota che «molti dei conduttori investitori continuano per la loro strada senza portare alcun aiuto agli investiti». E nel capitolo «omicidi, ferimenti, aggressioni e violenze» aggiunge che «tali fatti non debbono essere considerati nella grandissima maggioranza come manifestazioni di malvolere delle truppe alleate verso di noi».
No, sarebbe «la risultante di atti spavaldi e malvagi prodotti da iniziativa di militari avvinazzati; molestie alla popolazione civile, specialmente donne, sia in strada che in casa»; «provocazioni a militari italiani». «Molti omicidi sono stati commessi a danno di civili (spesso genitori, fratelli o mariti) per la resistenza fatta o la difesa da essi esercitata allo scopo di impedire violenze carnali».
Il dossier (si apprende dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo, ndr) è custodito anche negli archivi dell’Ufficio Storico dell’Esercito; un approfondimento accurato e scritto assai bene sui fatti in questione si trova pure in «Arrivano gli alleati», edito da Laterza e scritto da Maria Porzio, storica e ricercatrice.
Lo storico: «Certi fatti accadono anche in guerra»
Ma l’insieme di questi dati cosa racconta? Secondo Gregory Alegi, storico e docente di «Storia delle Americhe» alla Luiss, «bisogna intanto contestualizzare, separare il dato storico dall’idea un po’ ingenua che certi fatti, dagli omicidi agli incidenti stradali, in guerra non accadano, come se dovessero essere sospesi. Invece ci sono, e ce li raccontano queste denunce raccolte presso carabinieri e polizia.
La sensazione è che ci fosse un’idea di Stato, e che nello Stato ci fosse fiducia, indipendentemente dalla risposta data». E ancora: «Prese singolarmente, sono storie che dicono poco. Si rubano galline, maiali, stivali. Si fa a botte nei locali notturni dove interviene la Military Police che, talvolta, qualche soldato lo arresta. Cose di bassissimo livello mescolate a piccole e grandi tragedie individuali. Vicende che non sono dissimili dalle cronache notturne che si registrano al sabato sera in una grande città. Nell’insieme viene però fuori il ritratto dell’Italia di allora. Senza giustificare nessuno, ma cercando di comprendere».
Ma gli incidenti stradali? «Sono la tipologia principale del dossier: per capirne la gravità bisognerebbe confrontarli con dati attuali, tenendo presente che a quel monitoraggio sfugge la parte d’Italia ancora occupata dai tedeschi».
(Ciotti, nelle sue ricerche, ha messo le mani su quattro dossier — «ne sto ancora studiando i dati» — dal senso piuttosto simile. Oltre a quello dei «crimini commessi dagli alleati» e all’altro (di cui la stampa si è già occupata) degli stupri ad opera dei goumiers, ce ne sono altri due che focalizzano momenti e situazioni di cui ancora poco sappiamo: uno riguarda «i crimini commessi dai francesi ai danni dei deportati italiani nella stessa Francia» subito dopo la nostra «pugnalata alle spalle»; l’ultimo ha a che fare con «i crimini francesi commessi sui soldati italiani detenuti nei campi di prigionia nel Nord Africa».
«La sintesi — spiega il pompiere-storico — è il tentativo di farsi sentire, da parte delle autorità italiane, durante le trattative di pace che seguirono la fine della guerra dimostrando che la Liberazione aveva avuto un corollario di conseguenze risultato pesantissimo per la popolazione». Domanda inevitabile: Ciotti, la sua non sarà una tesi revisionista? «È un’accusa che mi fanno spesso. Ma tutto quello che sostengo lo raccontano i documenti che trovo negli Archivi di Stato. Carte che stanno lì da decenni e che meritano di essere divulgate il più possibile».)